75 Art: chicche gastronomiche nella Mostra internazionale dell’artigianato di Firenze

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FIRENZE – Nel 1931, il trentenne gerarca mussoliniano Alessandro Pavolini decise di creare una vetrina per promuovere l’alta qualità dei prodotti delle botteghe artigiane di Firenze. E da quell’anno, nonostante una pausa quinquennale dal 1941 al 1946 imposta dal conflitto mondiale, la kermesse continuò a crescere e a far diventare Firenze un punto d’incontro di artigiani e compratori sempre più ampio. Infatti, se nelle primissime edizioni, gli espositori erano essenzialmente fiorentini, con il tempo e l’interesse che la manifestazione suscitava vennero accolti prima sempre più produttori provenienti dal resto della penisola e poi anche dall’estero, il che nel 1975 portò al trasloco degli spazi fieristici dall’edificio noto all’epoca come “Palazzo delle Esposizioni” in Piazza della Libertà alla più grande Fortezza da Basso.

E così, tra espositori, visitatori, prodotti e traslochi la manifestazione è arrivata alla sua settantacinquesima edizione e vi si può trovare un po’ di tutto: oggetti di alta oreficeria nazionale ed estera, accessori, abbigliamento, arredamento, giocattoli, bigiotteria, prodotti per la cura del corpo, poltrone massaggianti e tanto altro, basta che sia artigianato! E naturalmente dove si parla di artigianato, manualità, amore e cura del prodotto non possiamo non trovare anche la gastronomia.

Principalmente dislocati nel piano attico del padiglione centrale, gli stand offrono un’ampia panoramica del gusto della penisola italiana, ed è sempre bello poter viaggiare dalla Sicilia al Trentino Alto Adige in pochi passi. Scoprendo sempre quanta scelta offra la nostra gastronomia ma anche quanto ingegno ci sia in produttori che, pur rimanendo attaccati alla tradizione del passato, sperimentano e propongono nuove idee. Tra questi troviamo ad esempio Antonio Martorana, titolare di “Sfizio”, azienda che dal 2006 produce biscotti tra cui spiccano i cantucci e i biscotti al tè verde. Siciliano d’origine, ma innamorato di Firenze e della Toscana dove si è trasferito, insiema alla moglie di origini giapponesi ha deciso di creare dei prodotti che unissero le loro origini all’amore per la loro terra d’adozione. Perciò, se tra i primi nati ci sono stati, ovviamente, i classici cantucci con le mandorle, con il tempo però hanno visto la luce cantucci ai sicilianissimi pistacchi di Bronte, al cioccolato con l’arancia e soprattutto al passito e sale marino.

Questi ultimi, che hanno nell’impasto farina di farro e granella di nocciola, possono far storcere il naso ai gastroscettici che non accetteranno subito l’idea del sale in un impasto dolce. Tuttavia, come sempre, è l’abilità del produttore che fa la differenza, e che deve saper equilibrare anche ciò che in un primo momento può sembrare inabbinabile. Ed infatti il cantuccio appena messo in bocca sprigiona le prime note salate per poi passare a sensazioni dolci, senza sovrapposizioni. I biscotti al tè verde, invece, hanno una particolare nota aromatica che li rende assai freschi. Il colore verde potrebbe far pensare alla presenza un colorante, ma Antonio ci tiene a specificare che è proprio il tè a dare all’impasto quelle sfumature cromatiche. E naturalmente per un prodotto così particolare è proprio la scelta del tè è importante e per questo viene utilizzato il tè matcha, che possiamo trovare spesso nelle cerimonie giapponesi. Ad occuparsi di questo è naturalmente la moglie, che unisce così la sua originaria cultura orientale a quella toscana.

Orgogliosamente affezionato alla tradizione modenese che vede in ogni famiglia un piccolo nucleo di produttori di aceto balsamico è Giuseppe Sighinolfi, titolare dell’Acetaia Montale Rangone. Dopo avermi mostrato i vari prodotti esposti con differenti tempi d’invecchiamento che arrivano anche a 25 anni, Giuseppe mi racconta come nasce il suo prodotto e come l’abilità da sola non basti, perché per far invecchiare un aceto per tutto questo tempo ci vuole pazienza e dedizione. Dedizione che lo ha coinvolto fin dall’età di 14 anni, partendo prima da due piccole botti per arrivare a creare una propria azienda e a far parte della commissione di assaggiatori di aceto balsamico. E con la stessa pazienza mi ha spiegato come nasce questo prodotto così diverso dal più diffuso aceto di vino. Innanzitutto viene utilizzato spesso del trebbiano, nella varietà montanaro o di Spagna. Si usa, naturalmente, il mosto, che viene pigiato e poi cotto a novanta gradi. La cottura è importante perché serve a regolare l’acidità: nel caso di cottura eccessiva, diminuendo l’acidità si otterrebbe un prodotto più dolce e che al di sotto dei 6° deve essere definito, secondo la legge, “condimento”. Il mosto viene lasciato fermentare almeno un anno prima di metterlo in botte. E poi, per ottenere un vero aceto balsamico, servono almeno cinque botti di grandezza diversa. Tutti gli anni si fanno dei “rincalzi”, ovvero dei rabbocchi di botte in botte, da quella più grande a quella più piccola fino a che, raggiunto l’invecchiamento desiderato, si preleva dalla botte più piccola l’aceto destinato alla vendita. Perché l’aceto venga bene le botti devono soggiornare in ambienti dove si possano avere sia temperature calde, per permettere al mosto di continuare a fermentare, sia fredde, per farlo decantare un po’. E, come già detto, tanta, tanta pazienza.

Relativamente più recente è invece l’Azienda Agricola Casearia Pinto, che nasce nei primi anni 2000 ad Oria, in provincia di Brindisi. Qui si lavora soprattutto latte di pecora o capra, mentre alcuni prodotti, come ad esempio il caciocavallo o la mozzarella, sono a latte vaccino. Cosimo Pinto mi presenta uno dei suoi prodotti di punta, la ricotta forte, anche fatta in crema. “Si chiama forte perché è piccante” mi spiega. Viene presa la crema della ricotta, lasciata nei contenitori e poi girata di tanto in tanto. Il sapore piccante è naturale, ottenuto senza l’aggiunta di aromi od altro, e ci vogliono sette od otto mesi di lavorazione prima di poterla mettere nel barattolo. E poi essere mangiata, con i taralli, naturalmente, oppure, come mi ha ben suggerito Cosimo, con un po’ di fagioli o ceci. Basta mettercela sopra appena questi sono cotti e conferisce al piatto un sapore particolare, leggermente piccante sì, ma che si equilibra bene con il resto senza essere invadente.

Direttamente dalla tradizione toscana, e più precisamente da Montevarchi in provincia di Arezzo, l’azienda familiare L’Antica Cesta, sul mercato da oltre dieci anni, propone invece dei prodotti che mirano a riscoprire il gusto e le ricette di un tempo. Claudio Poggesi, uno dei quattro soci, mi spiega che all’inizio la loro attività si basava soprattutto sulla vendita di funghi porcini secchi provenienti da tutta Italia. Poi, però, la voglia di partire da un prodotto della terra così semplice li ha portati a studiare e ricercare abbinamenti che facessero riscoprire anche i sapori e gli aromi di una cucina nostrana un po’ dimenticata, o relegata nelle cucine delle nonne. E quindi prima partendo dai condimenti per poi arrivare gradualmente a delle pietanze vere e proprie, incontriamo il Farrotto, un mix di farro proveniente dalle terre senesi e funghi porcini. Tutto rigorosamente essiccato da far “rinvenire”, come diceva mia nonna, con un po’ di acqua. E per chi ha voglia di assaggiare un piatto troppo lungo da preparare per i nostri tempi o di portare un po’ di Toscana agli amici di altre regioni, possiamo trovare un’ottima ribollita toscana. Nel retro della busta naturalmente ci sono tutte le istruzioni per l’uso e non manca quella fondamentale “se avanza, far ribollire il giorno dopo, diventerà ancora più buona”.

Tradizionalmente sarda è invece la bottarga, conosciuta anche come il “caviale sardo” come mi dice Giovanni Spanu, proprietario dell’omonima azienda situata a Cabras, in provincia di Oristano, tramandata da padre in figlio da almeno centocinquanta anni. La bottarga solitamente è prodotta con le uova di muggine essiccate e pressate; le sacche delle uova vengono prima salate e poi essiccate in un ambiente fresco e ventilato per almeno trenta giorni, in modo tale che si asciughino lentamente non perdendo però i sapori che la rendono così tipica. Naturalmente possiamo trovare anche quella fatta con le uova di tonno, anche se ha un sapore un po’ più forte e salino rispetto a quella prodotta con le uova di muggine. Tuttavia, che ci piacciano i toni più o meno sapidi, l’intensità degli aromi rimane sempre molto forte e persistente in bocca, ed è possibile utilizzare la bottarga in molte ricette, dall’antipasto al secondo di mare o anche con una semplice pizza. Ma nella sua semplicità sicuramente la possiamo gustare al meglio, affettata sottilissimamente, con un filo d’olio extravergine d’oliva, magari toscano, accompagnata poi da una conterranea vernaccia. Un esperimento che effettivamente ha ottenuto un ottimo successo.

Maria Lucia Nosi

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