Quasi ottanta e non sentirli. Sirio Maccioni alla conquista dell’oriente

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“La cucina è grande quando è semplice”. E detta da quest’uomo corpulento pronto ad affrontare gli ottanta (classe 1932) con almeno due nuovi progetti, con più di un migliaio di dipendenti, che dichiara al fisco oltre 50 milioni di dollari annui e nel ristorante di punta mette quotidianamente a tavola 300 persone (500 nelle giornate migliori), che la sera dell’11 settembre di dieci anni fa tenne aperto il ristorante dei ristoranti di New York su richiesta personale del sindaco Rudolph Giuliani, il dubbio che abbia ragione s’insinua.

Sirio Maccioni, migrato “anta” anni fa da Montecatini Terme sulle orme del conterraneo Ivo Livi, in arte Yves Montand, oggi rilancia la sfida con la vita spostandosi da ovest verso est e cercando un giovane chef italiano pronto a seguirlo nel nuovo ristorante che aprirà a Manhattan all’insegna della cucina toscana. Certa per il momento è la data a Nuova Delhi, in India: il 7 settembre. L’altro proposito non si concretizzerà prima del 2012.

Forte dell’appoggio dei tre figli Mario, Marco e Mauro che seguono i due locali di New York (Le Cirque, il primo a nascere nel 1974 e Il Circo), cui nel tempo se ne sono aggiunti tre a Las Vegas e due a Santo Domingo (mentre quello in Messico è stato chiuso), Maccioni punta sui capitali indiani con la consapevolezza che “hanno un potere finanziario immenso, al pari della povertà. Sono le grandi contraddizioni che trovammo in America migrando in cerca di riscatto”. Lui stesso partì da Montecatini alla volta della Francia. La gavetta. In sala al Florence di Parigi. Maxim’s, il salto negli States negli anni Cinquanta, nei Settanta la decisione di metterci la faccia. “Sono un povero figlio di contadini della Toscana – scrive nella biografia firmata insieme a Peter Elliot – Ho lavorato duro per avere quello che ho e magari è tutto, magari è niente, ma non è stato facile”.

Parla dritto, guardando in faccia l’interlocutore, con l’aplomb di chi, in quarant’anni di Le Cirque nella Grande Mela (oggi alla Bloomberg Tower, fra la 57ma e la 58ma strada in Upper Midtown), ha messo a tavola cinque presidenti Usa, guadagnandosi honoris causa il diritto di parola. “Siamo diventati la società della Coca Cola, prima i genitori portavano i figli al ristorante come si partecipa ad un evento” si lascia andare. “Oggi più che mai ci viene chiesto di divertire, perché molti clienti di cibo ne capiscono poco o niente”. Il migliore per lui in Italia? La Buca di Zibello. “Luogo suggestivo dove mangi bene, dove l’atmosfera è familiare, dove c’è storia e dove la cantina con i culatelli appesi da sola vale il viaggio”. Parola del fondatore del locale più in voga a New York da decenni, frequentato da Robert De Niro e John Malkovich (nel “lontano” 1998 sfilò con un ristretto gruppetto di amici di fronte al mio tavolo all’allora Osteria del Circo, direzione: privée vista cucina), Andy Warhol, Donald Trump, Ronald e Nancy Reagan, modelle e finanzieri. Dove si accede in giacca come per andare, appunto, ad un evento. L’uomo di cui Henry Kissinger dice: “Avrebbe potuto essere un grande politico, ma a dire il vero insieme parliamo soprattutto di calcio”. Facendo forse riferimento a quella prima apparizione pubblica insieme a Nixon, dopo l’uscita dalla scena politica dell’ex presidente, proprio ai tavoli di Le Cirque.

Ma come dicevamo: the show must go on. Sirio Maccioni ce lo ha raccontato durante un pranzo informale al Four Seasons di Firenze, di fronte al menù firmato da Vito Mollica (assente giustificato in cucina) concluso in macarons e frivolezze dall’executive pastry chef Domenico Di Clemente, allievo di Pierre Hermé. “Desidero creare a New York una tavola che sia di riferimento per la nostra cucina, quella italiana e ciò avverrà all’hotel Pierre che è l’ombelico dell’ombelico del mondo, non appena avrò trovato un bravo professionista che mi dia la garanzia di restare accanto a me per molto, molto tempo” spiega il progetto americano che si concretizzerà nel 2012, dopo l’avvio a Nuova Delhi. “Dove fra dieci, venti anni poco o niente sarà cambiato. La cucina è una cosa seria, si può giudicare minimo tre anni dopo: all’inizio tutti fanno fuochi d’artificio, il problema è resistere”.

E in Italia? “Con i nostri numeri non è facile” riflette appoggiando il pensiero per un attimo sulla Toscana, il grande amore dopo la moglie Egidiana, il cui nome intrufola nel discorso una volta no e due sì, magnificandone la cucina: la zuppa di pesce, il bollito misto che tanto piace a Paul Bocuse. “Stiamo ragionando su Milano, vedremo”.

Nella seconda immagine, Sirio Maccioni con Michael Bloomberg. Nelle due immagini successive, di Riccardo Schirmacher, Sirio Maccioni nelle cucine del Four Season di Firenze

Irene Arquint

7 COMMENTS

  1. C’ho mangiato diverse volte al “vecchio” Le Cirque, prima che Maccioni lo spostasse più downtown, a NYC. Erano gli ultimi anni ’90. Più che il cibo (comunque ottimo), era godibilissima la scena attorno: gli avventori andavano da VIPini italiani (ancora ricordo un tavolo con Andrea Pezzi e Claudia Pandolfi, coppia novella e durata poco…) ad anziane ingioiellatissime, da vecchi avvocati accompagnati da giovanissime, a uomini d’affari alla Trump. Non è il mio genere di locale ma fa molto New York New York e ogni tanto si può fare!

  2. Ciao Claudia,
    bello trovarti qua. In effetti gli Ottanta e i Novanta sono stati anni da favola. Poi le Twin Towers si sono accasciate, seppellendo la grande sbornia occidentale… “Le Cirque” resta un simbolo e un esempio, un luogo da non mancare se si vuole mordere fino in fondo la Grande Mela.

    Ciao Cristina,
    il dubbio resta per il nuovo ristorante di Manhattan. Maccioni sta cercando un ragazzo “responsabile, intelligente, capace di organizzare perché per essere un bravo chef non basta saper fare bene da mangiare, serve anche impartire regole e farle rispettare”. Ecco l’identikit del futuro responsabile della cucina all’interno del Pierre. Sull’avventura indiana, invece poco resta da stabilire, salvo il nome: “Il Circo” oppure “Sirio”? Lo decideranno i finanziatori, mentre il nome dello chef è noto. Si chiama Mickey Bhoite, indiano d’origine ma valdinievolino d’adozione, con studi toscani e carriera ormai rodata.

  3. Avete letto “Aglio e zaffiri” di Reichl Ruth, ex potentissima critica gastronomica del New York Times? Il primo divertente capitolo è dedicato proprio al nostro……

  4. parlare di VIP e VAP per dare lustro a un ristorante mi lascia sempre interdetto. Non penso che la qualità si misuri dai nomi famosi che magari mangiano di tutto e di più…
    Tuttavia, mi ha non poco imbarazzato la frase scritta in un commento: “In effetti gli Ottanta e i Novanta sono stati anni da favola. Poi le Twin Towers si sono accasciate, seppellendo la grande sbornia occidentale”. Sembra quasi che la vera tragedia sia stata quella… Cerchiamo di aprire gli occhi. Il cibo è sempre cibo, qualsiasi sia il prezzo e i vip che lo mangiano. Soprattutto, non prendiamoci troppo sul serio…

  5. Salve Enzo,
    cosa significa “non prendiamoci troppo sul serio”? scrivere forse di alta finanza o di politica mediorientale in un sito che si occupa di vino e di cibo? oh povera me, che cantonata!

  6. cara Irene,
    il cibo può essere anche opera d’arte, ma come tale deve essere semplice, vero, istintivo. Non è certo in luoghi mondani, fuori dalla vita reale, tra personaggi squallidi e finti che si può realizzare. Se il Nostro, che ama andare a mangiare in un osteria, avesse fatto lo stesso non avrebbe avuto tra i pieddi VIP e controfigure umane, ma la realtà più schietta e vera. Ha fatto una scelta e ha preferito i soldi e tanti… Non riesce a piacermi e nemmeno mi affascina sentirne parlare come una speccie di mito o di modello da seguire. Il cibo è come il vino: deve essere allegria, spontaneità, amicizia… se diventa serioso o troppo importante diventa cosa risibile e inutile. Tutto lì. Ovviamente sono idee del tutto personali. Comunque mai andrei a mangiare in quel tipo di locali! (a parte i prezzi ovviamente che immagino non proprio popolari, malgrado la cucinas si definisca “semplice”).

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