Lidia Matera, “pianta tra le piante”. La tenacia della produttrice di Terre Nobili a Montalto Uffugo (CS)

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“No, questo non si può fare”. Con questa frase, 25 anni fa, tutti gli operai dell’azienda rispondevano seccamente ad ogni richiesta di Lidia Matera, liquidando bruscamente qualsiasi proposta provenisse dalla allora neo titolare della Tenuta Terre Nobili. Nel 1990 Lidia decide di abbandonare la Romagna, dove ha compiuto i suoi studi di agraria, per trasferirsi definitivamente in Calabria, subentrando al padre scomparso nel 1987. Eccolo qua il problema: una donna ai vertici di un’azienda agricola, alla guida di una squadra di operai uomini. Il pregiudizio maschile e l’ostilità dettata da antichi retaggi culturali sono emersi prepotentemente al cambio della guardia, rendendo difficili i primi anni di convivenza.

Inizia così la storia di Lidia Matera, uno di quei personaggi che in qualche modo si fanno ricordare: l’aspetto di una nobil donna, la sigaretta sempre accesa, la voce rauca che scandisce nettamente ogni sillaba, l’entusiasmo contagioso quando ti accompagna tra i vigneti. E sorride con orgoglio ripensando al duro lavoro per conquistare la fiducia e la stima dei suoi collaboratori, gli stessi a fianco del padre da una vita. Sono passati 15 anni dalla prima vendemmia e oggi Tenuta Terre Nobili è un’azienda di nicchia certificata biologica che produce vini di grande qualità. 16 ettari tutti coltivati a vitigni autoctoni: nerello cappuccio, magliocco dolce, Greco, canino, pecorello e malvasia individuati dal fondatore dell’azienda dopo un accurato studio del territorio.

E visitando i vigneti si scorge all’improvviso una pianta antica di nerello. Un tralcio robusto, l’unico che svetta alto e scuro tra i filari giovani, tutti reimpiantati. È l’unica vite originale rimasta, conservata in memoria del padre e a guardia dell’azienda, a fare da sentinella alle vigne più nuove. Emerge da questo incontro un forte senso di umiltà, la voglia genuina di imparare da chi il vino lo fa da molte più vendemmie. Lidia Matera ammette con sconcertante sincerità di aver commesso molti errori all’inizio della sua impresa seguendo alla lettera la teoria acquisita con la laurea. Confessa la superficialità con cui considerava buono il suo vino prima ancora di aver fatto i corsi Ais. E dice: “Avevo una casa con le finestre chiuse”. Poi le finestre si sono aperte e Lidia ha compreso l’importanza del lavoro in vigna, le correzioni da apportare al suo vino per renderlo migliore. E poi l’approccio umile con i colleghi da cui attingere a piene mani: la certificazione biologica arriva grazie all’incontro con il produttore Roberto Ceraudo, al quale deve anche la decisione di imbottigliare. A Donnafugata copia la tecnica della vendemmia notturna, ai produttori locali solleva l’importanza di fare rete per lo sviluppo e la promozione dei vini di Calabria e di Cosenza.

Riprendiamo il tour e la valle che si ammira dai 430 metri sul livello del mare di questo colle è imponente, si estende dal Pollino alla Sila e si racchiude tutta in un colpo d’occhio. I fichi d’india nei vigneti sono davvero belli, in tutta la tenuta la macchia mediterranea è lasciata intatta per favorire il ripopolamento degli insetti utili. Si arriva in azienda salendo una collina attraverso un sentiero stretto e lungo, fino a che non scorgi la grande quercia su cui la leggenda narra che, all’ombra del maestoso albero, un nobile guerriero di nome Cariglio (in dialetto vuol dire quercia) sostò una notte per riposare. Al suo risveglio, di fronte alla distesa rigogliosa di olivi e vigne, decise di fermarsi per dedicarsi alla coltivazione di quelle piante. Da qui il nome della località Cariglialto.

Sto ancora immaginando lo stupore del guerriero alla vista dei grappoli maturi quando Lidia ci invita a una degustazione privata dei suoi vini, 4 etichette quasi tutte in purezza. Iniziamo dal bianco, il Greco Santa Chiara che sprigiona con forza profumi floreali molto intensi. Colore carico dato dalle bucce. Un vino equilibrato con un’alcolicità incredibilmente misurata nonostante i 14,5% di alcol! L’annata è decisamente più amabile e dolce del 2010. Un bianco di grande dolcezza e bevibilità, potrei dire femminile.

Il secondo bicchiere è il Donn’Eleonò 2011, 50% Nerello e 50% Magliocco. Vinificato in acciaio da salasso. Il terzo assaggio è il magliocco dolce Cariglio 2010, un’uva raccolta in surmaturazione con colore carico e brillante. Un naso così speziato da sospettare un passaggio in legno che invece non c’è stato. Una sorpresa davvero entusiasmante che appassiona un palato poco abituato a questo vitigno generoso e resistente. Chiude l’esperienza sensoriale l’Alarico 2010, nerello al 100% o, come lo chiamano qui, il calabrese. Astringenza piacevole e colore molto intenso lo contraddistinguono.

Tutti i vini di Lidia Matera, creature dell’enologo Mario Ercolino, hanno la dolcezza come denominatore comune, quasi un tocco di femminilità impresso dalla produttrice che nel frattempo sfugge all’obiettivo della mia macchina fotografica, ritraendosi con insolito pudore. Donna tenace che con forza ha deciso di fare suo un territorio che in realtà non le apparteneva. Dai natali a Bari fino agli studi e al lavoro a Bologna oggi si considera calabrese a tutti gli effetti e si definisce pianta tra le piante. Lo dice sospirando mentre guarda le sue vigne da lontano.

Tenuta Terre Nobili – Lidia Matera
C. da Cariglialto, Montalto Uffugo (CS)

Francesca Lucchese

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