Il Salone del Gusto investe su Terra Madre

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TORINO – La grande sbornia chiamata Salone del Gusto ha chiuso i battenti. Restano negli occhi i tanti colori dell’Africa, i profumi dall’Oriente, gli sguardi dei contadini ancora non abituati all’indigestione consumistica che ha rapito l’Occidente. «È interessante – ha detto il presidente Slow Food Carlo Petrini durante il convegno Diritto al cibo: come si fa? in programma al Salone – che in un periodo di crisi come quello attuale, il cibo sia relegato nell’opprimente contesto ludico della tv. Questa non è gastronomia, è pornografia alimentare. Il cibo ha perso valore, è diventato merce. Occorre invece tornare a un approccio olistico, e per fare questo bisogna ascoltare le quattro categorie da cui possiamo imparare tanto e che invece sono relegate ai margini della società: donne, anziani, contadini, indigeni».

Partendo da qui, ci siamo diretti a Terra Madre, la rete di comunità del cibo, accademici, cuochi, giovani provenienti da 150 Paesi nel mondo. L’evento organizzato ogni due anni al Lingotto di Torino da Slow Food, nell’edizione che si è conclusa lunedì, ha unito le due anime (Terra Madre e Salone) macinando grandi numeri: 220mila visitatori italiani e stranieri con un incremento del 10% rispetto al 2010, 16mila partecipanti alle 56 conferenze, 8mila studenti e 3700 bambini che hanno preso parte alle attività educative, affrontando temi molto attuali quali acqua, salute e ambiente.

Alla fine cosa è rimasto in chi scrive? I sapori, i profumi, le consistenze, le tante storie dei numerosi artigiani del gusto che quotidianamente sfidano il futuro. Le immagini più belle le abbiamo rubate agli stand che incorniciavano i 400 mq di orto africano allestito nel centro dell’Oval, la struttura ospite di Terra Madre, il mercato dei contadini. Qui abbiamo assaggiato i biscottini realizzati in Burkina Faso con frutto di baobab (Teedo), ricchi di vitamina C e calcio che un cartello scritto a mano pubblicizzava “contro le rughe, la fatica, fortificanti” ceduti a 3 euro il sacchetto da 150 gr. Un fatto che ci ha sorpreso è stata la grande partecipazione femminile e la disponibilità delle donne a raccontarsi, a condividere le proprie esperienze.

“Il Salone nasce nel 1996, Terra Madre si aggiunge nel 2004. Durante le prime edizioni i contadini sgattaiolavano dai contesti più propriamente divulgativi e di confronto – ci ha detto una volontaria – per improvvisare mercatini spontanei o addirittura allontanarsi da Terra Madre per andare a vendere la loro merce a piazza Bengasi o Corso Spezia. Così abbiamo rivisto le pirorità, dando loro un luogo attrezzato deputato allo scambio”. È stato tra quei banchi che abbiamo cercato di comptenderne il punto di vista, assaggiando ciò che ci offrivano.

La pasta Katta preparata dalle donne di Timbuctu e Gao (città della zona centrale del Mali), ottenuta muovendo le dita un po’ come stessero tessendo. I katta sono fili corti e sottili di farina di grano, considerati una leccornia e dunque destinati alle cerimonie e agli ospiti di riguardo, lessati qualche minuto in una salsa a base di pesce essiccato, pomodoro, carne e spezie locali.

Che dire delle spezie dei Dogon, antica etnia maliana radicata da millenni in un territorio aspro. Sono famosi per un ottimo scalogno, insieme dolce e sapido, caratteristiche donategli dai terreni rocciosi in cui viene coltivato insieme ad altre piante. Da queste le donne ricavano il Somè, vari condimenti riuniti sotto un unico nome, ottenuti essiccando e triturando: foglie di baobab, di acetosella, di nerè (un albero locale), di peperoncino che aggiungono al cous cous o alle zuppe. A noi hanno suggerito di impiegare la polvere di foglie di baobab per insaporire il risotto o un pesce al cartoccio, mentre lo scalogno ci dicono sia perfetto con carni alla griglia.

Dal Senegal ci siamo imbattuti nei produttori della Casamance, il granaio di Stato per via delle molte etnie presenti dedite prevalentemente all’agricoltura, ma anche alla pesca e all’allevamento. Baciate dalle piogge, in questa regione  – come un po’ ovunque in Africa – sono le donne a trasformare la materia prima (soprattutto i frutti della foresta) in marmellate, succhi e sciroppi.

Dalle Isole Gandoul arrivano i succhi di frutta selvatica raccolti in un Presidio – come del resto tutti i prodotti citati – come alternativa sostenibile al sovrasfruttamento delle risorse marine locali.

Nel villaggio di Fadiouth, su un’isola senegalese interamente fatta di conchiglie, i Seerer producono miglio Sunnà, utilizzato per un cous cous tipico salato, setacciato, quindi lavato in mare.

Le bustine di miglio e mais accatastate in ordine sui banchetti sotto la dicitura Dakar, raccontano di un progetto avviato una decina di anni fa che coinvolge (ancora una volta) prevalentemente donne, ciascuna delle quali ha una propria mansione: dall’uso del setaccio, alla trasformazione manuale del cous cous in granuli (più o meno grandi: i piccoli sono pregiati, gli altri vengono consumati a colazione con latte cagliato e yogurt) fino all’imballaggio.

Elemento essenziale della dieta senegalese, il Fonio è uno fra i cereali più antichi coltivati in Africa. A Tambacounda gli uomini falciano le spighe, le mettono a seccare su assi di legno, quindi vengono trebbiate con bastoni o pigiando con i piedi sul terreno. Alle donne, poi, il compito di setacciarne i chicchi, ripulirli e stoccarli nei granai.

Dalla zona di Baguinéda (Mali) sono arrivati a Torino l’aglio essiccato ma anche il mango. Miele e datteri dall’Egitto, come i frutti dell’oasi di Siwa, nella depressione nord-occidentale di Qattarah, vicino al confine con la Libia. L’intera economia dell’oasi si basa sulla produzione di datteri e su quella dell’olio di oliva, anche se la trasformazione per il momento viene affidata a ditte esterne. Ma il Presidio voluto da Slow Food, nato nel 2006, oltre allo scopo di tenere in vita la tradizione, ha quello di realizzare un laboratorio di essiccazione e confezionamento gestito direttamente dall’associazione locale dei coltivatori.

Anche nella vicina Libia esiste una folta comunità che ha basato la sua economia sulla palma, importante fonte di sostentamento nei periodi di crisi. Siamo ad Al Jufra, regione al centro della Libia in cui donne come Hana (nella foto) arrotondano le entrate realizzando dolci a base di dattero: “prima lo riduco in crema poi vi mescolano cacao o frutta secca, quindi formo delle palline da impanare in granella di nocciole, semi di sesamo e quant’altro”.

Padre Zanotelli, ex missionario che oggi lavora a Napoli, rimarcando l’importanza politica di Terra Madre ha affermato: «Non aspettiamoci più nulla dall’alto, adesso tocca a noi”.

galleria fotografica

Irene Arquint

2 COMMENTS

  1. Ciao Cristina. Terra Madre è ogni edizione sempre più bello, sono certa che fra due anni batterà l’ultima edizione, giusto in tempo per ospitarti. Le mie foto non sono niente rispetto agli originali…
    Anche il prossimo articolo racconterà di un evento interno al Salone, fuori dai soliti schemi. Ma non anticipo niente… Alla prossima!

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