“L’intelligenza del fuoco”. Ovvero, siamo quel che siamo perché cuciniamo

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Si pensa spesso, ed è quasi un luogo comune, che l’uomo è intelligente e quindi cucina. E se lo fosse invece perché cucina? Ossia, è possibile che lo sia diventato perché ha imparato a trasformare il cibo con il fuoco? In questo libro, il cui titolo originale “Catturando il fuoco. Come la cucina ci ha reso umani” è più eloquente di quello italiano, l’autore Richard Wrangham difende questa tesi, grazie non solo ad una documentatissima e minuziosa analisi delle fonti bibliografiche, ma anche ad osservazioni di tipo antropologico e nutrizionale svolte in prima persona.

Il “terreno di gioco” è quel fondamentale e per molti versi misterioso passaggio che, semplificando, ha portato “dalla scimmia all’uomo” e le cui tappe fondamentali possono essere così disposte sulla freccia del tempo: 2,6 milioni di anni fa, le prime punte di lancia ritrovate in Etiopia; 2,3 milioni, le testimonianze di un homo abilis (misto preumano-umano, con un cervello di dimensioni presumibilmente doppie a quello delle grandi scimmie attuali); 1,8-1,9 milioni, l’homo erectus, l’inizio dell’uomo “propriamente detto”. Il ruolo del consumo di carne in questa evoluzione è stato proposto e sempre più accettato a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. Ma basta consumare carne per giustificare tutti i passaggi?

Il controllo del fuoco è un’altra prerogativa umana, ma il ruolo della cottura nell’evoluzione della nostra specie non è stato considerato influente, neanche da grandi menti come Charles Darwin o Claude Lévi-Strauss. E pensare che sarebbe bastato forse leggere attentamente qualche riga illuminante di Jean Anthelme Brillat-Savarin (un “semplice” gastronomo, ebbene sì!) sulla carne cruda meno desiderabile da mangiare, per intuire che la cottura non è stata irrilevante dal punto di vista evolutivo, come non lo è stata dal punto di vista sociale.

Ma perché un ruolo così importante? L’evoluzione ha portato l’uomo ad avere bocca, denti, mandibole, stomaco ed intestino troppo deboli o piccoli per il consumo di carne cruda ed in generale di cibi coriacei. Questa evoluzione deve aver avuto dei vantaggi, visto che, appunto, è stata quella vincente, ed è una evoluzione compatibile con la nutrizione a base di cibi cotti. Una fitta messe di prove scientifiche (che continuano ad arrivare, si veda la notizia ripresa qui di nuove pubblicazioni corroboranti in merito) dimostrano come gli alimenti cotti assicurino un maggior apporto energetico all’organismo e quindi in particolare al cervello, che è l’organo più affamato e il più decisivo per lo sviluppo umano e per il dominio sulla natura.

Ma, come in un libro giallo, c’è anche il colpo di scena: il contenuto di energia di un cibo crudo è pressoché uguale a quello del corrispondente cibo cotto. E allora? La soluzione è tutto sommato semplice: anche digerire costa energia, e la cottura non fa altro che ridurre il “costo energetico” della digestione. Quindi, se l’energia utile per il nostro organismo è la differenza fra energia dell’alimento e il suo costo di digestione, essa sarà senz’altro maggiore nel caso di alimenti cotti. Mangiare cibi cotti, per usare una formula semplicistica, porta al rimpicciolimento di bocca, stomaco ed intestino e all’ingrandimento del cervello. La rigida routine mangiare-riposare venne modificata, consentendo di dedicare maggior tempo alla caccia. Il conseguente cambiamento di dinamiche famigliari non fu propriamente positivo per le donne, intrappolate in un ruolo stanziale e servile. Insomma, alla cottura va anche addebitato “un nuovo sistema di superiorità culturale del maschio. Non è un gran bel quadretto”, conclude l’autore.

Ed oggi? I benefici energetici della cottura, che hanno permesso lo sviluppo di quella meravigliosa branca della cultura che è la gastronomia, si sono trasformati nei nemici della nostra forma fisica, e nei responsabili di obesità e malattie che in certi Paesi portano alla morte più che la denutrizione. L’indicazione delle calorie contenute da un alimento che leggiamo in etichetta, e prendiamo per oro colato, è un dato ingannatore: venne sviluppato verso la metà dell’800 da un valente studioso, Wilburn Olin Atwater, attraverso un sistema che è stato modificato diverse volte fino al 1970, senza riconoscere però (nuovamente!) che la digestione è un processo dispendioso, che fa innalzare il nostro metabolismo, che digerire proteine costa più che digerire carboidrati, che costa di più digerire cibi duri che teneri, più quelli a grana grossa che a grana fine, più un unico pasto sostanzioso che tanti spuntini, più i cibi freddi che quelli caldi.

Ingrassiamo mangiando ciò che è facile digerire, un po’ la versione odierna di un vecchio proverbio riportato, ancora, da Brillat-Savarin: non si vive di ciò che si mangia, ma di ciò che si digerisce.

Richard Wrangham
L’intelligenza del fuoco. L’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo
Bollati Boringhieri, ottobre 2011
293 pagg., 20 euro

Riccardo Farchioni

3 COMMENTS

  1. Lo dicevano anche Greci e Romani che barbari, quindi poco più che animali, sono coloro che mangiano cibi crudi. Lucrezio Caro, cronista romano del primo secolo a.C. , ci informa che i primitivi “si cibavano solo con quello che la terra dava spontaneamente”. Diodoro siculo, nel primo secolo d.C. , scrive che i primitivi “erano per le selve e vivevano solo di erbe, di radici e di frutti; vivevano nudi, senza case e senza fuoco”.
    Che la civiltà e il cucinare siano strettamente legati lo si vede anche nella fonte del cibo, che per i Romani era quasi esclusivamente “l’ager”, la terra coltivata, civilizzata, e non l’incolto, il “saltus” com’era invece per i Celti ad esempio. Neanche si può negare come la decadenza, l’esagerazione di quella stessa civiltà romana si esprimesse in cucina con cotture plurime e col fatto che il cuoco era considerato tanto più abile quanto risultava difficile capire se fosse carne o pesce ciò che si mangiava…
    Cucinare è civiltà! Concordo pienamente. Il rovescio della medaglia, o perlomeno uno, è il grosso rischio cancerogeno legato ad ogni alimento fatto alla brace ma si sa, se non fa male…che piacere è!?

    Saluti!
    Diego

  2. Grazie del commento Diego. La tesi qui è che la cottura sia direttamente collegata, prima che alla cultura o alla civilizzazione, proprio all’intelligenza “in senso stretto”. Ed è vero che assieme allo sviluppo cerebrale, abbiamo sviluppato una maggior resistenza alle sostanze cancerogene prodotte dalla cottura.

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