Kyle Phillips, appena conosciuto, non poteva non colpire (e divertire) per quella sua parlata “anglo fiorentina”, ma con una “c” talmente aspirata da far pendere nettamente da una parte la bilancia dell’identità. Poi divenne compagno di degustazioni in giro per la Toscana e fuori. Era sempre l’ultimo ad andar via, spesso rimaneva da solo, con il suo inseparabile portatile e la fila dei bicchieri davanti, a rimuginare e a scrivere, ancora e ancora. Persona buona, gentile, mai una malignità (salvo forse per qualche vino “sbagliato”), mai una battuta fuori posto.
Kyle lo conoscemmo veramente quel giorno che ci dette un passaggio alla fine di un “Benvenuto Brunello”. “Ma io faccio le strade vecchie”, avvertì. Fermò l’auto a Murlo, un piccolo borgo vicino Montalcino, e andammo a trovare una vecchina che lo chiamava “’arlo” e ci offrì un caffè. Era stata la cuoca del campo archelogico diretto dal padre, e io mi immaginai il piccolo “’arlo” correre in quelle piazzette di mattoni color cotto, già italiano, già toscano, nella quiete della campagna dove era poi voluto tornare, dopo anni passati nel centro di Firenze.
E poi le “verticali” organizzate da Leonardo Romanelli per la sua Gola Gioconda, dove ci si ritrovava regolarmente. E quella volta, letteralmente “massacrato” da un bambino intemperante ad un tavolo nel Palazzo Pretorio di San Giovanni Valdarno, davanti a un piatto di stufato. Ma non c’era problema, dietro la pazienza e il sorriso non si poteva che intravedere (anche) un padre affettuoso e impegnato.
Infine, quel volto segnato dalle cure che ci colpì a febbraio a San Gimignano. Spiegò e scherzò. “Vedi, una cosa buona è che mi hanno dato il permesso auto per disabili. Ma comunque spero di restituirglielo presto!”.
Con Kyle Phillips non se ne va soltanto un preparatissimo e attento reporter del vino, ma una persona buona, una di quelle che fanno pensare che una fine arrivata troppo presto sia una brutta ingiustizia da digerire. Ma, ripensando a Kyle che sorride, la rabbia va via.
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