Bruges, una città da ammirare ed assaporare

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coniglioBRUGES – Dopo Bruxelles era obbligatoria una visita a Bruges, o Brugge che dir si voglia, la città principale delle Fiandre nonché patrimonio dell’Unesco. Spesso si usa etichettare una deliziosa località di villeggiatura con “la perla del…”, nel caso specifico ritengo doveroso appellarla “la pralina del Belgio” in omaggio alla tradizione di alta cioccolateria della nazione.

Due notti e due giorni sono sufficienti per girare in tutta tranquillità il centro storico. Poiché Bruges è stata risparmiata dalle ultime guerre ed è stata conservata con una cura quasi maniacale – di fatto la città medievale europea più estesa – è facile rimanere ammaliati dal susseguirsi di edifici, stradine, canali e ponti dal fascino indiscutibile.

Au Petit GrandOvviamente l’economia principale della cittadina è costituita dal terziario: così, tra pasticcerie-cioccolaterie, ristoranti e birrerie ho avuto modo di contribuire adeguatamente e con sommo piacere alle casse locali. Da non dimenticare anche i tipici negozi di merletti (con tanto di beghine che ne mostrano l’arte), per gli appassionati/e del genere.

La prima attività a beneficiare del tributo è stato il Bistro De Schilder in Jan Van Eyck Plein 13. Il locale è situato in una graziosa piazzetta con vista sul canale. Menù con i piatti tradizionali: stavolta ho preso il coniglio alla Brugge ossia coniglio arrosto, portato nella casseruola con il suo sugo, e servito con una pera cotta coperta da salsa di mirtilli. Buono, un po’ dolciastro ma ben fatto e cucinato. Viene abbinato nel menù con un bicchiere di birra Hoegaarden, un connubio perfetto. Per 22 euro ne vale la pena.

filetto e tartarePer cena abbiamo optato per una location più raffinata basata sulla cucina francese: Au Petit Grand, in Philipstockstraat 18. Ristorante carino dall’atmosfera romantica dove si mangia a luci soffuse. Io ho preso un menù a 46 euro composto da un’insalata con formaggio caprino, bacon, uvetta, pinoli e miele molto appetitosa, poi un piatto di carne metà tartare metà filetto molto buona e ben cotta (ovviamente il filetto) accompagnata da patate preparate secondo la scelta del cliente tra tre possibilità. La mia compagna ha preso le spare ribs – nella norma – e una bella porzione di foie gras per il quale sospirava ad ogni boccone. Come accompagnamento per una volta ho dovuto abbandonare le birre e “accontentarmi” di una mezza bottiglia di Bordeaux d’annata (Chateau Pomys, Saint Estephe, cru Bourgeois 1999): naso notevole, bocca ampia e di buona struttura ma con un’acidità un po’ troppo elevata sul finale. Per concludere un Irish coffee compreso nel menù. In due abbiamo speso 125 euro, tutto sommato una cifra corretta.

't Nieuw WalnutjeIl giorno dopo, visto che Bruges dista solo 10 chilometri dall’oceano, sentivo il bisogno di tornare su piatti “marini”; così in attesa di entrare al birrificio De Halve Maan non ho resistito al richiamo di una serie di pentole piene di cozze preparate in diretta nella cucina esterna del ‘t Nieuw Walnutje. Seduti nell’animata e piacevole piazzetta Walplein, in una bella giornata estiva, ho mangiato le classiche cozze alla birra del birrificio di fronte: buone! Valido per una sosta veloce e non troppo dispendiosa.

La visita della birreria è stata molto interessante e non mancherò di darne un ampio resoconto nella terza parte di questa “trilogia belga”.

“L’ultima cena” si è svolta all’interno dell’area recintata per un festival. Mi spiego meglio: durante il periodo di ferragosto ogni quattro anni, così mi è stato detto, in nove siti del centro vengono riproposti alcuni momenti storici importanti della città con “attori” in abito dell’epoca, musiche, balli, sbandieratori finanche effetti speciali. Per l’occasione alcune vie sono chiuse e vi si può accedere solo pagando l’ingresso. Niente Chocolate Kissd’imperdibile ma ho assistito volentieri alle varie scenette riproposte ad intervalli regolari in modo da consentire di vederle tutte girovagando dall’una all’altra, un ottimo motivo anche per fare due passi digestivi dopo cena. Tornando all’aspetto culinario, dietro uno degli angoli di Bruges più fotografati, comodamente seduti fuori al Den Gouden Karpel in Huidenvettersplein 4 ci siamo goduti una prelibata cenetta mangiando un piatto solo a testa ma decisamente gustoso: io una sogliola alla Normanda, ossia con crostacei, cozze e champignon in salsa leggermente pannata, la mia compagna un’aragosta all’armoricane squisita. Unica pecca i tempi di attesa lunghi.

Le birre bevute qui non sono state molte ma ho trovato qualcosa da scrivere comunque…

Westvleteren blondCHOCOLATE KISS: probabilmente prodotta dall’omonimo negozio di cioccolata (o prodotta in collaborazione con questo) situato di fronte al birrificio. Si presenta ovviamente color cioccolata e con un fine perlage in trasparenza. Cappello color crema non molto persistente. Anche al naso è molto delicata. In bocca è vellutata, di una certa consistenza ma alleggerita dalla carbonazione; la cioccolata si avverte più al latte che fondente complice anche la base dolciastra di sottofondo. Sul finale si sente netto l’alcol, più moderato l’amaro. Niente di particolare.

WESTVLETEREN BLOND: un mito, forse la trappista più rara ma penso sicuramente tra le più care: questa e le altre due bottigliette di seguito descritte sono costate al beer shop la bellezza di 30 euro: una cifra davvero ragguardevole considerato il costo medio delle birre di alta qualità. Questa blond di 5,8° si presenta con la bottiglia nuda dal collarino in rilievo con su scritto “trappister” –  giusto per rimarcare l’appartenenza alla stretta cerchia dei birrifici trappisti ufficialmente riconosciuti – e il tappo verde su cui sono riportate tutte le informazioni obbligatorie per legge. Westvleteren 8Arancione ambrata ed opalescente lascia intravedere una leggera carbonazione, il cappello è bianco brillante. Il naso è abbastanza intenso, giocato principalmente su note agrumate anche con ricordi canditi; mela verde, pera, miele e un leggero erbaceo rifinisco il quadro olfattivo. In bocca è setosa ed elegante, più secca rispetto alla morbidezza del naso grazie anche ad una luppolatura discreta e persistente. La beva è agevolata dal piacevole perlage. Ottima, una vera goduria con frutti di mare e formaggi freschi.

WESTVLETEREN 8: otto come i gradi della birra. La tappo blu appare ambrata scura tendente al cioccolato con cappello crema non molto persistente. Naso di media intensità dove gli aromi di malto dominano su quelli tostati, in secondo piano liquerizia, miele di castagno e prugna. In bocca è corrispondente, di discreto corpo snellito dalla giusta carbonazione e con l’amaro ben bilanciato dalle note dolci. Sul finale un leggero ritorno alcolico.

Westvleteren 12WESTVLETEREN 12: la tappo giallo può fregiarsi del titolo di birra più buona al mondo vinto a suo tempo. 10,2° i gradi dichiarati e ben celati dalla coltre cioccolato scuro con cui si presenta. Gli aromi delicati della tostatura fanno da sponda a quelli maltati, poi ricordi biscottati – plasmon – di speziatura pungente – principalmente peposa – e la frutta, dattero e banana in evidenza tra quella secca/disidratata. In bocca è piena, ricca ma scorrevole grazie al fine perlage. I sentori tostati assecondano l’amaro, quelli maltati ammorbidiscono la secchezza. Bevuta appena fresca – alla giusta temperatura per evidenziarne gli aromi – l’alcol si fa sentire ma senza pregiudicare l’equilibrio. Lunghissima, innesca un ritorno altalenante nella memoria delle note avvisate al palato, più che altro quelle amare di caffè e cioccolato fondente. Una birra degna dei riconoscimenti ricevuti, da bere possibilmente con l’accompagnamento culinario giusto (e non solo…) per goderne fino all’ultima goccia.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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