I casari e i pastori scendono dagli alpeggi: immagini e suggestioni dalla Fiera di San Matteo a Branzi

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BRANZI (BG) – Branzi è un centro dell’alta Val Brembana, in provincia di Bergamo, a quasi 900 metri di quota. È un caratteristico paese di fondovalle, solcato dal fiume Brembo e circondato dalle Alpi Orobie, ricche ancora oggi di alpeggi e di tradizione casearia. Da tempi remoti, il giorno di San Matteo, il 21 settembre, giorno del passaggio dall’estate all’autunno, a Branzi scendevano i casari e i pastori dagli alpeggi, e salivano i commercianti dai borghi di pianura, e venivano battuti all’asta i formaggi prodotti nella bella stagione.

Qui arrivava il prezioso Formai de Mut, che proveniva dall’alta Val Brembana, ma anche il longevo Bitto, altro formaggio grasso d’alpeggio che nasce poco più a nord, a cavallo del Passo San Marco, tra le Valli del Bitto in Valtellina e gli alpeggi brembani attorno al passo orobico. E oltre alla vendita dei formaggi, la Fiera era anche una importante occasione di scambio e acquisto di bestiame.

Branzi Fiera di San Matteo

 

Oggi le cose sono assai cambiate, ma la Fiera di San Matteo di Branzi ha mantenuto il fascino verace di  una festa campestre, in cui i pastori e gli allevatori vanno per mostrare il loro bestiame, i migliori capi di Bruna Alpina, e i casari portano in concorso i loro migliori formaggi.

Al mattino, l’attenzione è tutta rivolta al prato centrale, dove sfilano le diverse categorie in gara: manze, vitelle, giovenche, primipare, pluripare da 6 a 10 anni, oltre 10 anni… Insomma, una festosa sfilata di mucche, agghindate per la festa, condotte davanti alla giuria e al pubblico. Il clou è l’elezione della “reginetta della fiera”; quest’anno si chiama Mira, una bellissima bruna alpina dell’azienda di Sebastiano Monaci, di Branzi.

Attorno al prato delle mucche fervono altre attività; dal venditore di abiti in lana tradizionali per la pastorizia, alla tessitrice al telaio, dall’artigiano che spacca la pietra ollare con lo scalpello e crea le “piode” per coprire i tetti e quelle per arrostire la carne, al venditore di formaggi…

Tra gli stand, non può mancare il ristorante con le specialità locali: ravioli ai formaggi e burro di malga, polenta orobica con i formaggi Principi delle Orobie, polenta taragna con “usei scapà” (piatto in cui gli uccelletti sono “scappati” e sostituiti da involtini di carne che ne ricordano la forma), oppure con salsiccia e funghi… e abbondante Val Calepio rosso.

morra 2

Improvvisamente, si forma un capannello e si sentono voci maschili in una lingua che pare incomprensibile: attorno a un tavolo di legno, è iniziato il gioco della morra, con i numeri scanditi in bergamasco. Velocissime, le mani giocano il loro turno battendo sul tavolo; gli occhi sono concentrati ma ridanciani, le esclamazioni tutte incomprensibili.

Nello stand principale invece si alternano i corsi di degustazione dei formaggi orobici, organizzati dall’ONAF; tutto intorno, vere chicche della tradizione locale: dalla produzione di olio di noci, ai raccoglitori di erbe officinali, dai coltellinai brembani, ai produttori di giochi in stoffa e legno, fino allo stand della Latteria Sociale di Branzi, che produce il Formaggio Tipico Branzi.

La produzione del Formai de mut
Ottima l’idea dell’organizzazione di ricostruire nello spiazzo affianco al padiglione centrale una tipica capanna d’alpeggio per la produzione del Formai de mut; nel pomeriggio, grazie al racconto e ai gesti esperti del casaro Lodovico Monaci, è stato mostrato l’intero processo di produzione, raccontando a bambini incuriositi (ma non erano solo loro a veder fare il formaggio per la prima volta!) e adulti, tutto il processo di produzione.

alla scoperta del formaggio

Nella culdera (la caldaia in rame) si versa il latte: da 100 litri di latte si otterranno 10 kg di formaggio. Il latte viene riscaldato con l’accensione di un fuoco a legna, poi, alla giusta temperatura, il casaro toglie la culdera dal fuoco e versa il caglio. Si mescola e poi si lascia riposare il tutto. Dopo un po’ di tempo, sulla superficie si sarà formata la cagliata. Dapprima vi si fanno tagli orizzontali utilizzando la panarola, poi tagli verticali con l’attrezzo chiamato spada. Poi si fanno progressivi tagli fino a che non si ha una grana sufficientemente fine (come chicchi di mais). Poi, con lo spino si fa un’ulteriore rottura. Dopo che i chicchi hanno raggiunto la giusta dimensione (all’incirca, come chicchi di riso) si usa la borela per mescolare continuamente, e si rimette la culdera al fuoco. La cottura va fatta molto lentamente per far spurgare bene tutto il siero, ed evitare futuri problemi alle forme. Quando si raggiungono i 43 gradi, si toglie la culdera dal fuoco e segue la fase di agitazione fuori dal fuoco. Il casaro immerge le braccia in mezzo al siero, e inizia a compattare la parte solida, il futuro formaggio. Lo raccoglie in un ampio telo, e infine lo estrae, andandolo a depositare sulla tavola di sgrondatura, lo spressùr. Qui viene messo nella fascera regolabile, che grazie al diametro variabile, può adattarsi alla quantità di formaggio della giornata, non sempre di volume uguale. Le forme vanno da 8 a 12 kg. Lo si lascia sgrondare con un peso sopra, poi si cambierà telo, inserendo nello scalzo lo stampo con il marchio e i codici CE. In seguito, verrà salato per immersione in salamoia (per 2-3 giorni) oppure a secco (per 15 giorni).

Il siero rimasto nella caldaia di rame lo si rimette sul fuoco, lo si porta a 90 gradi, e si ottiene la ricotta.

La produzione del FTB Branzi
Poco lontano dai prati della Fiera sorgono i locali della Latteria Sociale di Branzi. In occasione dell’evento il caseificio ha aperto le porte per mostrare i metodi di produzione del formaggio Branzi (FTB sta per Formaggio Tipico Branzi). Oggi la Latteria, fondata nel 1953, è alla terza generazione, e raccoglie la produzione di latte di numerose piccole aziende del comprensorio della Valbrembana, val Serina e Valle Imagna, tra i 600 e i 1000 metri di quota. Il latte arriva con le autobotti e viene immesso in silos termocondizionati. Passa poi in caldaie inox orizzontali, a 35-36 gradi, dove viene aggiunto il caglio. Enormi lire meccaniche rompono la cagliata riducendola in chicchi grandi quanto il riso. La pasta del formaggio viene tagliata, messa nelle fascere, e disposta su assi, dove la forma verrà girata per 4-6 volte al giorno; segue la salatura per salamoia in vasche per 2-3 giorni. Le forme vengono poi messe ad asciugare sulle tavole in legno.
Una stagionatura minima di 60 giorni dà origine all’FTB Branzi etichetta rossa, mentre 180 giorni di stagionatura fanno sì che il formaggio venga etichettato con l’etichetta blu. La denominazione “stravecchio” si dà a forme che abbiano superato l’anno.

Le dimensioni dei soci conferitori sono generalmente piccole (piccolissime, se comparate agli allevamenti di pianura): si va da stalle da 3 mucche a stalle da 70 mucche. La produzione giornaliera del caseificio è attorno alle 90 forme.

Per non perdere perdere la bussola nel mare dei formaggi orobici, vale la pena di stilare una piccola mappa dei formaggi assaggiati, cercando di sfruttare gli spunti metodologici forniti dalla dott.ssa Grazia Mercalli, esperta assaggiatrice dell’ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio).

Agrì di Valtorta
Piccolo formaggio cilindrico a latte crudo vaccino, originario di Valtorta, minuscolo paese all’ombra del Pizzo dei Tre Signori, in una valle laterale della Valbrembana.  È un formaggio da 50 grammi, senza crosta, fresco, bianco e senza occhiatura. Col tempo, la crosta acquista sfumature grigioline. All’analisi olfattiva ha odore lattico, acidulo, la consistenza è morbida, con piccoli glomeruli solubili, prevale in bocca l’acidità sulla dolcezza. Aroma: nota lattica, acida. Viene prodotto da latte vaccino (ma un tempo si usava anche quello caprino), a cui viene aggiunto l’agra, ossia il siero inacidito.

Formai de mut dell’Alta Valbrembana
Uno dei cosiddetti “Principi delle Orobie”, formaggio importante, dalle grandi capacità di invecchiamento. Il nome significa “formaggio di montagna”. Si tratta di un formaggio grasso a pasta semicotta, prodotto in alta Val Brembana nei 100 giorni dell’alpeggio estivo (nella versione marchiata in blu) o nel fondovalle nel resto dell’anno (forme marchiate in rosso). La forma ha lo scalzo dritto, e sul marchio sono raffigurati 21 campanacci, simbolo dei 21 comuni della provincia di Bergamo in cui può essere prodotto. La crosta è liscia, di color giallo paglierino intenso, derivato dai betacaroteni presenti nelle erbe brucate dalle vacche. Al tatto è elastico, la pasta è compatta, e al naso sprigiona un caldo aroma di burro fuso. Al primo anno, ha aromi dolci, se stagiona ulteriormente diventa più piccante. È un formaggio ricco, pieno, dolce. Avendo la fortuna di assaggiarne anche uno stagionato, una preziosa forma dell’alpeggio 2011, le sensazioni si moltiplicano: pasta di colore giallo deciso, occhiellatura rada o quasi assente, al tatto è compatto; il naso è ricco, ricorda foglie e erbe selvatiche. In bocca è grasso, avvolgente, con la presenza tattile dei granuli di caseina. Ricchissimo, persistente, leggermente piccante. Vino da grandi nebbioli.

strachituntStrachitunt della Valtaleggio
Formaggio erborinato, frutto dell’unione di due cagliate: quella della sera, lasciata a raffreddare, e quella calda del mattino. Fa 30 giorni di stagionatura. È un formaggio senza crosta, e viene bucato per favorire il formarsi delle muffe. La pasta non ha colore uniforme, ma è a strati, e presenta occhiellatura. Al tatto si percepisce più morbido ai lati e più gessoso al centro: questo è il frutto dell’unione delle due cagliate. Al naso, non si avverte la nota lattica ma la nota fungina e di sottobosco dovuta alle muffe. In bocca è dolce, leggermente piccante e con un accenno di nota amara-metallica tipica degli erborinati. Si abbina a vini molto alcolici ma poco tannici (il tannino infatti esalterebbe l’amaro).

Bitto Storico
Probabilmente il formaggio più longevo del mondo. Prodotto solo all’interno della zona tradizionale d’origine, tra le valli a cavallo del Passo San Marco, nel solo periodo dell’alpeggio estivo e con metodi tradizionali (mungitura a mano, riscaldamento a legna, nessun uso di fermenti, nessuna integrazione di mangimi al bestiame); nasce da latte vaccino con una integrazione di latte di capra fino a un massimo del 20%. Lo scalzo è concavo, sulla facciata viene scritto a mano il nome del casaro e l’alpeggio. La cagliata viene rotta molto finemente in modo da favorirne la capacità di stagionare a lungo (può arrivare a superare i 10 anni, ma anche oltre). Da giovane è molto elastico, grasso al tatto. Il naso è equilibrato, sa di burro. In bocca sprigiona note di frutta secca, note di affumicato (le caldaie in rame vengono scaldate a legna, e gli ambienti del primo affinamento sono per forza di cose esposti al fumo). In bocca è equilibratissimo, bilanciato, di gran persistenza. Si sposa benissimo con il Valtellina Superiore e lo Sforzato.

FTB Branzi
Prodotto con il latte conferito alla Latteria Sociale di Branzi, che produce questo formaggio dalla forma simile al Formai de mut. Il latte proviene da stalle a quote comprese tra i 600 e i 1000 metri d’altitudine. Lo scalzo è concavo, l’occhiellatura abbastanza fitta, grasso ed elastico al tatto. Al naso regala sensazioni di burro, morbide, ma con una sottile punta acida. In bocca è pastoso, molto dolce, grasso. Si tratta di un “fratello minore” del Formai de mut, prodotto tutto l’anno, dal buon rapporto qualità-prezzo e assi reperibile anche nelle gastronomie fuori della val Brembana.

Mascherpa
Una chicca poco facilmente reperibile, ma di grande valore storico: ha la forma classica della ricotta, ma è molto più grande; si tratta di una ricotta salata compatta, creata apposta per una lunga conservazione. Al siero del latte ottenuto dopo la caseificazione, viene aggiunto latte fresco di capra, quindi si procede alla cottura della ricotta. L’interno è compatto ma morbido, il colore è bianco, al naso è ricca, lattosa, con accenni di affumicato. In bocca si sente il contrasto tra il dolce e l’acidulo, che gli viene dall’innesto di “agra”. Ricorda l’erba e il latte. Si presta anche a un invecchiamento di qualche mese. Di media persistenza in bocca, è un latticinio raffinato che purtroppo rischia l’estinzione a causa  di norme burocratiche cieche e poco attente alla tradizione artigianale.

Cala la sera su Branzi, si sentono in lontananza le voci della morra. Col giorno di San Mattero finisce la stagione calda degli alpeggi, è tempo di ridiscendere a valle. Di sicuro, per chi non conosce questo angolo di montagna a pochi chilometri da Bergamo e da Milano, il consiglio è quello di programmare un giro da queste parti, ricche di tesori paesaggistici, di sentieri nella natura, di delizie gastronomiche assolutamente imperdibili. Perché anche in un solo pezzetto di formaggio, oltre al gusto, c’è la storia millenaria dei popoli che hanno vissuto queste montagne.

Qualche riferimento:

Dov’è Branzi:
LINK Google Maps
Fiera di San Matteo
www.fierasanmatteo.it
Consorzio Formai de Mut
www.formaidemut.info
Latteria sociale di Branzi
www.formaggiobranzi.com
Consorzio Bitto Storico
www.formaggiobitto.com
Il sito dell’ONAF, assaggiatori di formaggi:
www.onaf.it
L’allevatore della mucca che quest’anno ha vinto il titolo di Reginetta della Fiera
www.monaciformaggitipici.it

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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