Jura: note di viaggio e di assaggio. Seconda parte

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Continua il viaggio di Massimo Zanichelli à la recherche della Jura la più autentica. Per riavvolgere il filo dei ragionamenti, ossia per la prima parte, leggete qui.

Interno-della-cantina-Aviet-2… È invece a nord di Arbois il villaggio di Montigny-les-Arsures, zona tipica del Trousseau e luogo ad alta concentrazione di produttori importanti, con gli interpreti più intransigenti e tradizionali quali Lucien Aviet e Jacques Puffeney che convivono con gli spiriti più giovani e “modernisti” come Stéphane Tissot, senza che i diversi pedigree produttivi intacchino l’alta qualità e lo spiccato carattere dei rispettivi vini.

Con Aviet e Puffeney si entra in contatto con l’anima più isolata e rurale della Jura, dove la gente del vino parla raramente un’altra lingua che non sia il francese, e dove l’iniziale introversione si stempera via via in accoglienza, generosità, passionalità. Entrare ad esempio nella casa-cantina di Luciet Aviet, soprannominato Bacchus, e del figlio Vincent, che lo affianca dal 1991, significa essere inondati da una ventata di calore umano equamente suddiviso tra aneddoti, chiacchiere, battute e bottiglie stappate. Lucien AvietTra vecchie botti, foto, articoli di giornale, manifesti, libri, bottiglie, documenti storici e altri oggetti raccolti senza apparente soluzione di continuità, sembra quasi di essere a casa di Lino Maga, il padre del Barbacarlo. Tra le diverse etichette di Trousseau, che si segnalano per uno stile lineare e gustoso (il più interessante è sembrato l’Arbois Trousseau Cuvée des Geologues 2011, fruttato, fresco, contrastato), spiccano i due bianchi a base di savagnin: l’Arbois Savagnin 2005, un concentrato di frutta secca e succo che si esprime in termini di polpa e allungo e, va da sé, l’Arbois Vin Jaune 2004 (prodotto in sole 1000 bottiglie) che sprigiona carattere, densità e tensione.

Più chiuso e solo all’apparenza più burbero (anche per il look rudemente barbuto) Jacques Puffeney, i cui vini – tra i più eleganti e profondi dell’intera denominazione – sanno invece incantare per luminosità e purezza, frutto di cure senza compromessi e di una meticolosa, artigianale attenzione (per non dire devozione). La dimensione è ancora una volta familiare, con cinque ettari e mezzo di vigna per una produzione complessiva all’anno di circa 30.000 bottiglie. E se l’Arbois Pinot Noir 2011 stupisce per la pienezza, la naturalezza e la succosità di un frutto che echeggia note di ribes e lampone, l’Arbois Trousseau Cuvée Les Bérangères 2011 è il capolavoro della tipologia e l’emblema di cosa può offrire in termini di profondità, naturalezza e miracolosa nonchalance un Trousseau in purezza. Il fuoriclasse è però ancora una volta l’Arbois Vin Jaune: il 2006 incanta per le note iridescenti di nocciola tostata, cedro candito, iodio e torba; per la succosità irresistibile del centro bocca; per un finale continuo e incessante, tenacemente sapido e brillantemente tonico. Più “dolce” e con qualche sentore più boisé, a lato di una materia di grande densità, è invece la versione “X” 2003 dello stesso vino: un Vin Jaune affinato per ben dieci anni in barrique.

Domaine TissotDi tutt’altro profilo il Domaine André et Mireille Tissot,  sia per volano produttivo (quasi 15 ettari vitati per 130.000 bottiglie annue) sia per stile, risolutamente innovativo e compiutamente versatile. Merito delle capacità di Stéphane Tissot, che guida l’azienda dal 1990 e che l’ha integralmente convertita al biodinamico a partire dal 1999: meticoloso, eclettico, intraprendente, preparatissimo, Stéphane è interprete di vini estremamente precisi pur senza sacrifici sul piano del carattere, riuscendo a esprimersi brillantemente in tutte le principali tipologie del territorio e dello scibile enologico (bianchi, Vin Jaune, curiose ancorché perfettibili versioni di Savagnin e Trousseau in anfora, piacevoli rossi a base di Poulsard e Trosseau, gustosi e spumeggianti Crémant du Jura, vini dolci) attraverso un catalogo di etichette quasi senza fine (ben 28) e sempre mirabilmente compiuto. Più che i Vin Jaune (Les Bruyères e La Vasée del 2006), che, pur di alta qualità, cedono qualcosa sul piano delle sfumature a vantaggio di forza alcolica e densità, è qui la gamma degli Chardonnay a rappresentare l’apice della gamma, vinificati terroir per terroir in versioni di rango borgognone pur se di spirito tutto “jurassien”. Da suoli argillosi provengono sia il Côtes de Jura Chardonnay En Barberon 2011 sia l’Arbois Chardonnay La Mailloche 2011: il primo è sottilmente agrumato e sprigiona un gran bel sale nel finale, il secondo, egualmente strutturato, è più teso e fresco, con invitante sviluppo acido-sapido. L’Arbois Chardonnay Les Bruyères 2011, da suoli calcarei, seduce per le note piccanti, la struttura permeante, la classe del legno, le vibrazioni sapide: stilisticamente è giusto nel mezzo tra l’eleganza della Borgogna e la visceralità della Jura. Il terreno calcareo da cui arriva l’Arbois Chardonnay Les Graviers 2011 è più bruno e ricorda alcune aree di Corton: il vino sprigiona un carattere al contempo succoso, teso, empireumatico, piccante, minerale e altamente persistente. Stéphane TissotLa sua grandezza rivaleggia solo con l’Arbois Chardonnay Les Amants 2011, perfetta cuvée tra l’argilla del Mailloche e il calcare del Clos de La Tour de Curon (un altro cru di Chardonnay della casa) per un’espressione assoluta che alterna e fonde continuamente densità, finezza, tonicità, sapore e persistenza: al contempo potente e slanciato, piccante e saporito, coniuga ricchezza, carattere ed eleganza. E se stupisce la qualità varietale dell’Arbois Pinot Noir En Barberon 2012 (così come non è meramente aneddotico il “ritorno alle origini” dell’Arbois Traminer), altre delizie arrivano dal reparto dei passiti: lo Spirale Passerillé 2009 è un taglio di Savagnin, Chardonnay e Poulsard con uve fatte appassire per sei mesi sulla paglia che sfoggia viscosità ed equilibrio, frutta sotto spirito e brillante contrasto acido, mentre il PMG 2009 (Poulsard e Savagnin appassiti sulla paglia per sei mesi e mezzo; raccolta per colatura dalla pressa dopo cinque ore dalla pigiatura; affinamento per un anno a contatto con i lieviti naturali in piccole botti di rovere da 114 litri chiamate “feuillette”) seduce per i sentori di prugne e ginepro, per il tatto irresistibilmente denso e oleoso, per la finezza del tannino e per l’interminabile persistenza. L’anno prossimo, poi, uscirà il primo Château-Chalon dell’azienda con il millesimo 2007. Stéphane Tissot è davvero un fiume in piena.

Ci sono naturalmente in Jura molti altri produttori e vini degni di menzione, soprattutto nella parte più a sud. Ve li racconterà la prossima volta.

Per chi fosse interessato ad acquistare questi vini in Italia: Berthet-Bondet è distribuito dalla Terroir di Ceretto; Overnoy–Houillon e Tissot da VELIER; Jacques Puffeney da Maurizio Cavalli. Non mi risulta che attualmente Lucien Aviet sia importato (o ignoro chi lo faccia ora): fino a poco tempo fa il suo distributore era Les Caves de Pyrène. Potete comunque trovare i suoi vini – insieme a molti altri della Jura – alla Locanda Mariella a Fragnolo di Calestano (Parma), la cui cantina – diventata giustamente proverbiale – è meta frequente di numerosi enoappassionati d’ogni dove: Guido e Mariella hanno una passione vera e una conoscenza non comune per questo territorio.

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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