Cascina Campazzo. Cascina di città all’ombra di una vite secolare

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Sotto la pergola della Cascina Campazzo si può dire sia passata la storia. Non la grande storia che si impara sui libri: una semplice storia contadina.

Là fuori si faceva l’unità d’Italia, e la vite era già lì, a fare ombra alla casa del fattore. Arrivavano le bufere di due guerre mondiali, e lei continuava a germogliare, ad ogni primavera. E continua a farlo ancora oggi, dopo aver rischiato grosso, proprio negli ultimi anni. Rischiato di esser sacrificata all’avanzare della città.
Oggi nella corte davanti a sé ha un cantiere, ma non è un cantiere che costruisce palazzi: le gru, i mattoni, le travi servono a ristrutturare le stalle, il fienile, le antiche arcate che hanno ospitato le mucche da secoli a questa parte, e che continueranno a ospitarle. Insomma, questa è una storia che merita di essere raccontata.

Cascina Campazzo

Siamo a Milano, al margine sud della città. Cinque minuti a piedi da qui c’è la fermata della metropolitana. Basta scendere e girare due isolati e improvvisamente in fondo ai caseggiati spunta il verde, e la sagoma di una classica cascina lombarda: la cascina Campazzo. La Madonnina è a soli cinque chilometri di distanza, eppure da qui in avanti si allunga la campagna riquadrata da campi, pioppi, fontanili. Fa effetto il contrasto tra questa realtà in cui il tempo sembra fermo, e quello che si vede alzando lo sguardo poco oltre, dove i campi di foraggio confinano bruscamente con i condomini della metropoli.

oche e lavori Campazzo

La cascina ha una classica struttura a corte chiusa, progettata per l’autosufficienza, con la casa per la famiglia del fattore, il forno, le stalle, il pollaio e una grande corte centrale, con al centro il fienile. C’è anche una chiesetta, appena varcato il cancello. Come da tradizione, a fare ombra alla casa del fattore c’è una pergola di vite; una vite enorme, che si fa notare per il suo tronco di dimensioni più che ragguardevoli, e ramificazioni vastissime; un monumento verde vero e proprio.

Vale la pena fare due chiacchiere con Andrea Falappi, il fattore, protagonista di mille battaglie per salvare questo luogo dalle ruspe, per farsi raccontare la storia della vite, e sconfinare poi a parlare della storia passata e presente della cascina, e di quello che l’attende per il futuro.

pergola«Partiamo dalla vite: quanti anni ha, e di che varietà è? »
«In realtà, come si vede guardando il fusto, non si tratta di una singola vite, ma di due viti diverse. Hanno un’età stimata attorno ai 150-180 anni. Una delle due viti è moscatello rosa, l’altra è di una varietà simile, produce un’uva leggermente più colorata. Sono entrambe molto precoci, iniziano a maturare a fine luglio. Era tipico delle cascine avere davanti casa una pergola di vite, che facesse ombra e da cui si potesse trarre un po’ di uva da vino.

«Lei è in pratica cresciuto all’ombra di questa vite; ci racconti quali cambiamenti ci sono stati attorno alla cascina.»
«Sono nato nel 1952, i miei genitori gestivano già la cascina, che a quel tempo era sì vicina alla città, ma non così tanto. Ancora negli anni Sessanta tra questo luogo e la città c’era una discreta distanza. Poi tra il 1970 e il 1990 ci sono stati 20 anni di crescita rapida della città; la cascina ha perso il 60% dei terreni. Poi è seguito un periodo di rallentamento dell’urbanizzazione.»

«Qual è oggi l’estensione dei terreni della cascina?»
«Ad oggi sono 30 ettari; a pieno regime era una azienda agricola da 100 ettari. Con i 30 attuali, produciamo foraggio sufficiente per 100-120 mucche da latte, il numero giusto per rimanere autosufficienti e non dover comprare foraggio fuori.»

«Quindi la produzione è principalmente a foraggio?»
«Sì, produciamo anche un po’ di mais, ma la superficie maggiore è a foraggio. Tra l’altro i campi proprio davanti alla cascina sono strutturati con il sistema delle “marcite”, un sistema antichissimo che consente un numero di raccolti annui maggiore.»

prati a marcita

Nei campi si notano infatti lunghi solchi a tagliare la superficie erbosa: il solco centrale è più in alto e porta acqua dal fontanile; il campo ha poi una lieve pendenza a doppio spiovente, in modo che l’acqua irrighi tutta la superficie e poi defluisca in due solchi di scolo laterali. In inverno, il sistema consente di creare sul campo una lieve superficie d’acqua a temperatura di fontanile, che evita che la terra si geli, e permette una ripresa più veloce della vegetazione in primavera e raccolti più abbondanti.

«Negli anni la cascina ha avuto sempre gli stessi proprietari?»
«Dapprima era di proprietà di enti benefici, poi è passata al Comune, infine nel 1983-84 venne acquisita dal costruttore Ligresti; con lui, specie negli ultimi 10 anni ci sono stati grossi contrasti. La posizione era “appetitosa”, e così… abbiamo ricevuto 40 sfratti esecutivi.»

Andrea Falappi«40 sfratti?»
«Esatto. La proprietà voleva monetizzare i terreni, realizzarci palazzi. E noi ci siamo opposti con tutte le nostre forze. Tra l’altro, dagli anni ’80 era anche nato il progetto di realizzare il Parco agricolo del Ticinello, e nelle nostre battaglie siamo stati aiutati dai cittadini che avevano capito l’importanza di un polmone verde, un parco dove poter respirare e fare attività insieme. Le difficoltà sono state enormi, eravamo al centro di dinamiche complesse tra politica e interessi economici… ma noi continuavamo a batterci per mantenere questo posto vivo.»

La proprietà quindi impedisce ogni opera di manutenzione alla cascina, che lentamente si degrada. Ma Falappi non demorde.

«Cosa è successo poi?»
«Piano piano è maturato il concetto dell’importanza dell’agricoltura per la città. Questa amministrazione comunale ha finalmente acquisito la cascina, espropriandola per pubblica utilità, e ponendola al centro del piano per realizzare il Parco. L’anno prossimo una parte dell’area sarà attrezzata per il Parco, ma non stravolta, per mantenere attiva l’attività agricola.»

«Qual è stata l’importanza della comunità locale, dei cittadini che hanno creduto nel progetto?»
«I cittadini in questa lunga storia sono stati determinanti: sono stati solidali con gli agricoltori, partecipando attivamente da più di 25 anni. Gli stessi agricoltori, senza questa solidarietà avrebbero forse mollato, ma la loro vicinanza ci ha dato coraggio per resistere e andare avanti. È un progetto venuto dal basso, dal territorio.»

mucca«Secondo lei che cos’è che fa sì che dei cittadini si uniscano per difendere una vecchia cascina? Che cosa rappresenta?»
«Riconoscono che questa presenza è un valore; condividono che si mantenga questa specifica realtà in un contesto urbano, ne trovano benefici. Nella cascina riconoscono una visione, quella della comunità locale, in cui l’individuo ha ancora un valore, in cui non si vive come estranei. 20-25 anni di lotte, sono un percorso di un’esistenza.»

«Pensiamo al futuro. Dove andrà la cascina nei prossimi anni?»
«Manterrà di sicuro una natura agricola, ma dovrà sempre più avere un ruolo sociale, una sempre maggiore integrazione con il territorio. Io mi auguro che la cascina non faccia altro che proseguire ciò che ha fatto. Non vorrei vedervi un’idea di sola produzione; la sua potenzialità l’ha già manifestata da 25 anni.
Non vorrei che diventasse una specie di Disneyland dell’agricoltura, con numeri da record… Non è importante creare negozi, vendere…: deve essere un punto di riferimento per il sociale

«Che immagine futura ne ha quindi?»
«Spero che continui a vivere la chiesetta, che i bambini continuino a venire a vedere le mucche… Non servono cose grandi. Non bisogna snaturare il percorso visto fino a oggi.»

«Parliamo della “agricoltura di prossimità” o del famoso “chilometro zero”: la vicinanza della città cosa comporta?»
«Il rapporto tra cibo di prossimità e città si è sempre più rafforzato negli ultimi anni. Ma io credo che in ogni situazione particolare si debba far riferimento al perché storico. Qui ad esempio ci sono sempre state le marcite e l’allevamento bovino. L’associazione degli Amici del Parco Ticinello qui è nata non per produrre cibo, ma per creare esperienze d’incontro, qui si è anche formata una comunità di tipo religioso. Se parliamo di ortaggi e frutta… no, non è quello il fine della nostra presenza in città. Noi siamo partiti molti anni prima di queste ultime tendenze, non è questo il nostro punto di riferimento. La gente apprezza soprattutto lo spirito che è nato attorno a questa lunga esperienza. Il rapporto città-campagna è stato incubato anche qua; la questione della filiera di prossimità può essere remunerativa, ma noi non abbiamo vissuto questo processo come un business.»

vecchio John Deere«Quindi al di là del business ci può essere altro?»
«Se mi fosse interessato il business avrei accettato la ricca liquidazione che mi era stata offerta dalla proprietà; avrei potuto comprarci centinaia di ettari di terreno da altre parti… Ma noi puntavamo a vivere in un modo in cui ci piaceva vivere, ed è stato bello!
La mia visione è questa, e spero continui a essere così in futuro. Il pane lo facciamo [nell’antico forno a legna restaurato, ndr] per condividere, per avvicinare chi ama fare il pane in casa, non vogliamo vendere il pane. Non si può monetizzare tutto!»

Nel frattempo è scesa la sera qua sotto la pergola della cascina. Una famiglia in bicicletta sta rientrando dopo aver preso un litro di latte; il loro bambino ha voluto guardare tutte le mucche, una a una. Le oche sono tranquille, acquattate qua davanti, mentre il cane si è accucciato accanto al John Deere un po’ arrugginito. Le mucche, nella stalla, si affacciano curiose a osservare ogni visitatore; davanti a loro, le travi nuove si stagliano contro il cielo sul tetto del fienile e della stalla; le tegole sono già pronte per essere messe in opera, le gru tacciono in attesa del lavoro di domani.

La cascina Campazzo si rimette a nuovo, per continuare a essere un punto d’incontro per la gente. E la vite secolare sarà ancora qui, a germogliare per molte altre primavere.

Cascina Campazzo
via Dudovich , 10
20142 Milano  (MI)
andrea.falappi@tiscali.it

Associazione Parco del Ticinello: www.parcoticinello.it
telefono: 02 89500565

Un video in cui Andrea Falappi racconta la cascina

La notizia dell’acquisizione della cascina da parte del Comune

GALLERIA DELLE IMMAGINI

 

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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