Salone del Gusto e Terra Madre: istruzioni per l’uso

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TORINO – Su questa kermesse biennale al Lingotto di Torino, giunta alla decima edizione, sarebbe necessario scrivere più di un libro solo per accennare a tutti i temi trattati e ai prodotti esposti. Tanto per rendere l’idea, butto lì due numeri: l’area allestita copre circa 80 mila metri quadrati, gli espositori da tutto il mondo sono oltre 1200, più di mille le etichette presenti nell’enoteca e oltre 500 gli appuntamenti tra conferenze, incontri, attività didattiche e laboratori del gusto.

Questa grande macchina, manovrata sapientemente da Slow Food, si muove in un’unica direzione: salvaguardare la biodiversità nel mercato. Tutelando i piccoli produttori – agricoltori, allevatori, pescatori o trasformatori che siano – e promuovendone i prodotti, viene tentata una faticosa resistenza all’omologazione “imposta” dai grandi distributori.

Come dicevo sono argomenti troppo vasti per essere riassunti in un breve articolo e così, rifacendomi al titolo – forse un po’ pretenzioso – preferisco dare delle linee guida ai non addetti ai lavori, ovvero alle famiglie o gruppi di amici che vogliono passare una giornata in quello che, per gli appassionati di enogastronomia, potrebbe essere presentato come il “paese della cuccagna”. Se ci sono bambini al seguito tanto meglio: l’area a loro dedicata è ricca di attività ludiche e didattiche e il vero problema sarà riportarli a casa.

Anzitutto, per chi deve farsi qualche ora di viaggio, consiglio di rimanere a dormire almeno una notte: tra la partenza in prima mattinata e il girovagare per ore nella fiera, magari fino a dopo cena se la si vuole vivere il più possibile, se ne esce piuttosto “cotti” e il rientro notturno potrebbe essere più faticoso del previsto. Inoltre, il giorno dopo potrebbe essere impiegato per tornare un po’ all’evento oppure per visitare una delle tante attrattive che offre questa regia città. Comunque si giunga a Torino, muoversi con i mezzi pubblici è davvero facile e comodo.

Prima di partire è praticamente d’obbligo acquistare i biglietti sul web, si risparmia così una fila che può durare anche più di un’ora. Quindi leggere attentamente il programma del giorno: tra conferenze o gustose degustazioni è bene fare un’accurata selezione, primo perché sono cose che durano un po’ di tempo e poi perché tanti appuntamenti prevedono il numero chiuso e/o pagamento di un ingresso e quindi occorre prenotarli in anticipo. Personalmente, rimanendo un giorno solo, ho preferito essere libero da tali impegni sebbene con un certo dispiacere.

L’abbigliamento consigliato è sicuramente sul comodo per camminare senza problemi per ore, e pratico per adeguarsi facilmente alle temperature tra zone interne (va bene una maglietta o una camicia), zone miste (quanto prima più felpa o maglione leggeri) e zone esterne (aggiungere eventualmente un giubbotto non troppo pesante). Inoltre, visto che le panchine sono in pratica inesistenti, è necessario sedere dove capita senza il pensiero di rovinare capi importanti. Tocco finale lo zainetto o shopper bag per gli inevitabili acquisti, qualcuno addirittura osa girare “armato” di capienti trolley per una spesa importante.

Per rifocillarsi, oltre ai piattini degustazione degli espositori (prezzi da 5 a 10 euro l’uno), è possibile mangiare in uno dei tanti ristorantini regionali o internazionali (quest’anno presente anche un ristorante di veri monaci buddisti) o nella zona street food con il classico cibo da strada tipo olive ascolane, focaccia di Recco, gnocco fritto, ecc.. Volendo si può approfittare gratuitamente dei tanti appuntamenti che i vari consorzi usano per promuovere i piatti tipici – per esempio un piatto di riso, uno spaghetto, affettati particolari o formaggi – ma bisogna mettere in conto una discreta perdita di tempo e la solita fila presente quando c’è da “scroccare” un piatto gratis. Sul fronte bevande e alcolici in generale, da segnalare le funzionali fontanine di acqua potabile gratuita; nell’enoteca, invece, le degustazioni sono a pagamento così come presso i birrifici dove l’assaggio di una singola birra varia dai 2,5 euro ai 4; gratuite invece le degustazioni di vino dei consorzi o gli assaggi di liquore delle distillerie.

Appena entrati ci si sente un po’ spaesati, come avviene ad esempio al Vinitaly e in manifestazioni similari, ma le indicazioni sono chiare e ben visibili, idem la mappa che viene fornita all’ingresso. Non rimane che decidere dove iniziare e lasciarsi guidare dalla curiosità. Ho scoperto tante cose interessanti parlando anche con espositori di prodotti che mi attraevano relativamente, dietro a queste “particolarità” enogastronomiche si nascondono delle realtà che meritano di essere conosciute sia dal punto di vista organolettico che da quello umano.giare in uno dei tanti ristorantini regionali o internazionali (quest’anno presente anche un ristorante di veri monaci buddisti) o nella zona street food con il classico cibo da strada tipo olive ascolane, focaccia di Recco, gnocco fritto, ecc.. Volendo si può approfittare gratuitamente dei tanti appuntamenti che i vari consorzi usano per promuovere i piatti tipici – per esempio un piatto di riso, uno spaghetto, affettati particolari o formaggi – ma bisogna mettere in conto una discreta perdita di tempo e la solita fila presente quando c’è da “scroccare” un piatto gratis. Sul fronte bevande e alcolici in generale, da segnalare le funzionali fontanine di acqua potabile gratuita; nell’enoteca, invece, le degustazioni sono a pagamento così come presso i birrifici dove l’assaggio di una singola birra varia dai 2,5 euro ai 4; gratuite invece le degustazioni di vino dei consorzi o gli assaggi di liquore delle distillerie.

Da quanto detto sopra, ne deriva la più ovvia delle conseguenze: è fondamentale portarsi il cosiddetto (dalle mie parti) “portafoglio a organino” perché resistere alle innumerevoli tentazioni è davvero difficile e si finisce sempre con lo spendere molto più di quanto preventivato. Il sottoscritto, ad esempio, pur reprimendo tante “voglie”, è riuscito a spendere circa 100 euro solo in piatti degustazione…

In chiusura voglio ricordare qualcuno dei miei assaggi:

Ostriche: ho fatto un giro dei produttori stranieri presenti partendo dalle note ostriche bretoni dal deciso sapore iodato, una bella boccata di mare; bella sorpresa quelle piatte irlandesi da Galway, saporite e carnose; parziale delusione quelle olandesi, grandi e polpose ma non molto saporite; eccellenti invece quelle della costa occidentale svedese del produttore Evert’s Sjöbod, notevole la complessità aromatica, tra il minerale e il dolce “nocciolato”, e la consistenza quasi callosa: i sub le raccolgono a circa dieci metri di profondità quando raggiungono le dimensioni medie intorno ai sette anni di vita, mentre le più grandi possono raggiungere i trent’anni!

Vini, birra e alcolici: ho volutamente tralasciato i vini italiani per assaggiare qualcosa di diverso, quelli turchi ad esempio, specialmente i bianchi, non mi sono dispiaciuti: il Cotes D’Avanos ’12, blend di karince 70% e chardonnay 30% è un potente vino barricato, il DLC ’13 da uve sultaniye 60% ed emir 40% è piuttosto aromatico e di facile beva – ottimo come aperitivo, il Kayra ’13, narince al 100%, è un vino secco di medio corpo dai sentori di nespola e nocciola. Nei rossi alcuni vitigni in purezza: il Tugra Kalecik Karasi ’12 esprime una fresca frutta rossa e nera, leggera tostatura e speziatura, di medio corpo e buona persistenza; il Tugra Okuzgozu ’11 è un vino più strutturato, dai toni austeri, tannini presenti ma di buona fattura e legno abbastanza integrato; il Tugra Bogazkere ’12 evidenzia la frutta rossa e un leggero vegetale, in bocca non è particolarmente dinamico ma è vellutato e di discreto corpo, legno un po’ eccessivo.

Birre ne ho assaggiate diverse: da segnalare sicuramente la Rubus di Birra del Borgo – l’ultima nata dall’unione della birra al farro (Duchessa) con i lamponi – decisamente rosata, dai netti profumi di frutta di bosco e con un bel bilanciamento dolce-acido in bocca: il rimando alla Framboise di Cantillon è immediato. Come non ricordare poi il “nostro” Birrificio del Forte con la Cento volte Forte, una blanche particolarmente aromatica ed equilibrata, nata per festeggiare i cento anni di Forte dei Marmi e proposta dal Comune versiliese, nella giornata di giovedì, in abbinamento agli spaghetti alle arselle.

Salendo di gradazione, piacevoli i sidri della costa nordorientale americana: secchi, dolci, più o meno mossi ma sempre molto gradevoli ed infine l’interessantissimo ice-cider, preparato come un ice-wine, per i quali servono ben quaranta chili di mele per una bottiglietta. Nell’occasione ho scoperto che l’apple McIntosh è la varietà di mele più tipica del nordest americano, non solo un computer…

Nei liquori meritano un accenno la persistente Sambuca Vecchia (la prima e originale) del Liquorificio Sarandrea Marco, oggigiorno in buona compagnia di un battaglione di altri ottimi elisir, e i genepy  valdostani della Distilleria Erboristica Alpina DEALP, proposti nelle varianti classico, a bassa gradazione (più aromatico) e classico affinato in barrique.

Frutta: dalla Sicilia due piacevoli scoperte: l’azienda iCarusi (non è un refuso, si scrive così) produttrice di una sublime confettura delle pregiate albicocche di Scillato e, soprattutto, le pesche di Leonforte – una varietà tardiva – chiamate anche pesche nel sacchetto poiché, appunto, insacchettate in una busta particolare direttamente sull’albero, quando sono della grandezza di una noce, per proteggerle durante la crescita. Il risultato è un pesca dal profumo inebriante, polpa soda e gusto che ricorda molto quelle sciroppate.

Altri ricordi di prodotti più conosciuti ma per questo non meno apprezzati: il parmigiano in varie stagionature, idem per il prosciutto di San Daniele e quello iberico, i golosi Sospiri di Bisceglie, i pregiati fior di sale aromatizzati di Gourmet Sardegna e, infine, una curiosità: al termine di una conferenza, alla quale però non ho assistito, ho assaggiato un baco essiccato – dal gusto pressoché inesistente – quale risorsa alimentare proteica fondamentale nel futuro prossimo venturo: speriamo più tardi possibile!

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Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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