Brunello di Montalcino 2010: un’annata da interpreti. E da interpretare

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I love BrunelloQuanta attesa, ma che attesa! Non ricordavo un’attesa così da anni. L’agognato appuntamento con i Brunello di Montalcino della celebratissima annata 2010 ha assunto toni e aspettative da incontro epico e amoroso, di quelli imperdibili, da sentirsi male qualora esclusi o impossibilitati ad andare.

Intendiamoci: l’annata 2010, che in quelle plaghe di collina non puoi non reputare selettiva, proprio grazie alla sua speciale selettività, che dobbiamo poi accordare con l’altrettanta selettività (o unicità) di un vitigno chiamato sangiovese, ha trovato miracolosamente la quadra dopo aver vissuto un avvio di stagione piuttosto incerto (primavera umida, mite e piovosa), segnato da ritardi nel germogliamento e da problemucci nella allegagione, a cui si sono aggiunte piogge agostane -sia pur provvidenzialmente cadenzate- ma che poi, grazie a un finale di partita perfetto, in cui il clima caldo non ha mai registrato eccessi di temperatura e soprattutto ha potuto godere di una buona ventilazione e di salutari escursioni termiche giorno/notte, è riuscita a sintetizzare uno straordinario ed inatteso potenziale fatto di alti parametri, acidità compresa.

Il tutto concentrato in uve ricche ma non stramature, dove per raccoglierle si è ritornati a vendemmie d’altri tempi, come non se ne vedevano da anni. Con le colline a nord dove si è vendemmiato a ottobre inoltrato, e quelle a sud, ovviamente più precoci, dove si è potuto attendere senza patemi metà settembre. Il tutto ulteriormente cadenzato in virtù delle differenze altimetriche, che a Montalcino hanno come sempre giocato un ruolo da protagonista.

benvenuto-brunello-2012_3Dunque, dicevamo, l’annata è da ritenersi selettiva perché la tendenziale provvisorietà delle varie fasi fenologiche ha pesato non poco sull’importanza delle pratiche assunte e sulla più o meno adeguata tempestività delle scelte agronomiche.

E anche perché, più di altre annate, ha chiamato in causa il silenzioso patrimonio che attiene a certi luoghi e non ad altri: il benedetto terroir. Che nella vastità dell’incantevole campagna senese non è dono ubiquitario ma privilegio esclusivo assegnato con una certa parsimonia da madre natura.

E’ così che l’insieme delle condizioni pedologiche ed orografiche di certe zone possono aver costituito la chiave di volta per ottenere un risultato sopra la media, distintivo o eccezionale.

Perché, gira che ti rigira, laddove estri, sensibilità interpretativa e terroir non si sono alleati, ecco che abbiamo assistito al solito refrain: un’annata particolare e potenzialmente eccellente come la 2010 non ha partorito sempre e comunque miracoli. Invece, per i terroir più propizi e per le sensibilità più conclamate, non soltanto le cantine hanno ospitato uve sane e belle, ma si è realizzato il miracolo atteso: vini ottimi od eccezionali. In quel caso si è assistito al picco. Le distanze qualitative però, traguardate nel complesso della produzione del territorio, restano invariate. A volte sentite.

Benvenuto Brunello 2015_logoIndi per cui, l’annata 2010 è una annata da interpreti, perché ha avuto bisogno di essere interpretata dall’uomo e al contempo essere accondiscesa dal terroir. Così come dovrà essere interpretata, ed enucleata con dovizia di particolari, da chi si appresterà a parlarne, bicchieri alla mano. Con sincerità, senza arrière-pensée, paraocchi ideologici o riverenza emotiva.

D’altronde gli alti parametri in gioco – colore, alcol, acidità, estratti- non sempre hanno generato portavoce liquidi virtuosi, e non sempre hanno generato equilibrio (vedi i casi in cui l’alcol è apparso ridondante, appesantendo la beva, oppure i casi nei quali il tannino si è rivelato irriducibile e non completamente maturo, rendendo il sorso stretto, “obbligato” e amaricante).

Perciò io penso che, così come buona parte della stampa di settore aveva preventivamente e frettolosamente derubricato l’annata 2009 come una annata all’altezza delle aspettative e invece, alla luce dei fatti e dei vini, quella vendemmia ha messo in mostra sia una generalizzata, apprezzabile capacità interpretativa sia una qualità di base più che soddisfacente (magari chiudendo un occhio sul reale potenziale di longevità, che non deve rappresentare sempre e comunque l’obiettivo unico di una stagione), così le altisonanti parole anticipate sulla vendemmia 2010 probabilmente andranno limate di un po’, com’é nell’ordine (in)naturale delle cose umane.

Certamente però l’emozione suscitata da un grande Brunello 2010 è una emozione più pura e più forte di altre, quello sì. Direi imperdibile per gli amanti del Sangiovese con la S maiuscola.I vini più riusciti, ne siamo certi, potranno giocarsela alla pari coi migliori del mondo. Questo è il bicchiere mezzo pieno.

A vedere il bicchiere mezzo vuoto, a fare cioè le pulci alla bellezza, resta sempre quel “vulnus” costituito da una buona percentuale di Brunello per i quali l’annata miracolosa non ha in fondo costituto il toccasana o la panacea (escluso forse che per le tasche dei produttori, vista la bramosia dei mercati). E questo è pur sempre un argomentino da mettere sul piatto dei ragionamenti le cui concause sono ormai note.

Montalcino_viewNella intensa tre giorni ilcinese (sì, sono arrivato prima, prendendomi un giorno di tempo in più), che ha ruotato attorno ad una riuscitissima ed affollatissima edizione di Benvenuto Brunello magistralmente organizzata dal locale Consorzio di tutela, i circa 160 Brunello 2010 assaggiati (almeno 40 dei quali riassaggiati il giorno successivo da bottiglia diversa) hanno piacevolmente obbligato il narratore a partorire una lenzuolata di suggestioni, ciò che riportiamo qua sotto chiedendo venia per le lungaggini. Una lenzuolata da cui sono stati cautelativamente estromessi quei vini per i quali l’immedesimazione si è rivelata incerta, vuoi a causa di personali idiosincrasie, vuoi per le bottiglie farlocche e poco probanti circa la qualità effettiva del liquido in esse contenuto (casi questi ultimi non infrequenti). Una lenzuolata -ovviamente senza numeri e punteggi- da affidarsi unicamente alle parole. E anche ai silenzi.

Non posso non ricordare infine alcune assenze pesanti; etichette che, a sentimento, potrebbero anche dire la loro nei piani alti altissimi del buon bere ilcinese: da Cerbaiona a Baricci, da Pian dell’Orino a Stella di Campalto, da Salicutti a -perché no?- Santa Maria (Colleoni)…… vini da attenzionare, e che non mancheremo di farlo nel prossimo futuro, a bocce ferme. Per tirar le somme alle somme.

Abenvenuto-brunello-2012_1GRICOLA CENTOLANI FRIGGIALI (PIETRANERA) – Ben bilanciato, gioca di sottigliezze, mostrando un profilo scattante e agrumato nonostante manchi un po’ di peso e di complessità. Bevibilità assicurata.

AGRICOLA CENTOLANI FRIGGIALI (POGGIOTONDO) – Ro-tondo (nomen omen), garbato, placidamente caldo e gradevole, senza cambi di passo. In una parola: accomodante.

ARGIANO – Ben tratteggiato ai profumi, l’eloquio si arrochisce sul tannino, dopo uno sviluppo coerente e tendenzialmente brevilineo, con qualche sbuffo alcolico di troppo e un più intrigante coté affumicato da mettere sul piatto dei ragionamenti.

BANFI (POGGIO ALLE MURA) – Materia non manca, pienezza strutturale neanche. Da migliorare semmai l’equilibrio complessivo, dal momento in cui la potenziale ariosità delle trame tende a subire l’influsso del rovere e lo sviluppo ad apparire oltremodo contratto, incupito da sentori leggermente liquiriziosi.

BARBI – Vino a cui senti appartenere, in fieri, i requisiti “classici” del Brunello “classico”. Ma è come se ci girasse attorno, in un continuo accennare senza che approdi al dettaglio atteso. Forse per timidezza, forse per momentanea ritrosia. Eppure è proporzionato, assai sciolto nelle trame. Solo non profondo.

BELPOGGIO – Pirico, mentolato, fresco e pulito, attacca baldanzoso per poi inasprirsi su una montata tannica che obbliga e frena, ostacolandone gli allunghi.

benvenuto-brunello-2012_2BIONDI SANTI TENUTA IL GREPPO – Aulica austerità, cipiglio e determinazione. In leggera riduzione al naso, possiede una bocca vibrante in attesa di esplosione. Rintocca oggi la proverbiale sua seriosità, il classico portamento da vino flemmatico, dalla forte interiorità e dall’acidità fremente. E’ un passista, e lo sa fare bene. Il tempo gli darà ragione, e allora ne riparleremo.

BRUNELLI MARTOCCIA – Cremoso, grasso, fruttato, più istintivamente piacevole che non profondo, il brivido di freschezza finale ne risveglia il torpore e ne alleggerisce la beva.

CAMPOGIOVANNI SAN FELICE– Caldo, sanguigno, potente. L’alcol si sente e brucia un po’ il finale.

CAMPI DI FONTERENZA – Elegante, carnoso, di trama fitta e raffinata, è fresco, tonico, dai tannini puntiformi che sembrano una nuvola. Profilato e succoso, è l’anima sua minerale che pulsa, per emergere da un disegno puro, senza forzatura alcuna.

CANALICCHIO FRANCO PACENTI – Apre netto sulla ciliegia, con nuance di menta e sottobosco a commento, per poi svelare un tratto gustativo adeguatamente fresco e coeso, meno cupo rispetto alle ultime edizioni. Finale buono come intensità ma incisivo come dote tannica, da che il sapore vira in una scia di liquirizia.

CANALICCHIO DI SOPRA – Roccioso, altero, con gli umori di ghianda e sottobosco in prima linea, deve ancora sciogliersi ma ha un bel caratterino, stimolato dalla freschezza tannica. Forte e caparbio, chiede solo tempo.

CANNETA – Se non fosse per quel rovere infiltrante, respireremmo volentieri la freschezza e la naturale ariosità di cui è solitamente portatrice sana questa etichetta. Peccato.

CAPANNA – Finalmente un Capanna liberato da certi “ingorghi” amaricanti che lo avevano contraddistinto in alcune recenti versioni, rendendone il tratto oltremodo severo e intransigente. Qui risplendono la qualità del disegno, la melodia gustativa, la carnosità del frutto, la tannicità soffusa e stratificata. E’ un buon conseguimento.

CAPARZO – Compatto, fruttato, d’indole aggraziata ed accomodante, ispirata di tecnica consapevolezza, ha corpo soffice e passo felpato, sia pur non complesso; intrigante il coté floreale, alcol ben digerito.

CAPARZO (VIGNA LA CASA) – Saldezza e profondità nel segno di una eleganza interiorizzata, sottotraccia, temperata. E se lo sviluppo me lo sarei immaginato più ampio e dettagliato, la melodiosa dolcezza di quel finale invoglia alla riprova.

CAPRILI – Pienezza, compattezza, verve e grinta. Peccato per quel finale arrochito dai tannini del legno, perché è un vino di carattere. Manca di rifiniture semmai, ma sono questioni di lana caprina.

CASISANO COLOMBAIO – L’aspetto più convincente sta nella freschezza, ciò che ne corrobora la beva. Per il resto è un vino affusolato e poco diffusivo, anche se la compattezza, soprattutto all’attacco di bocca, rappresenta una dote interessante. Discreta la personalità.

CASTELLO ROMITORIO – Frutto “scuro”, grafite, terra; tatto granuloso e carattere severo. Perlomeno ora. Deve aprirsi, e rimuovere arroccamenti.

COL D’ORCIA – Sciolto e godibile, preciso e tutt’ammodino, si beve bene anche se non stacca il biglietto della complessità.

COLLELCETO – Ricco, sodo, alcolico, un po’ squadrato e rigido nell’incedere. Materia buona, disegno nsci nsci.

CONTI COSTANTI – Un’eleganza trattenuta ma propositiva la sua, intrigante direi. Bocca ancora da sciogliersi ma di adeguate freschezza e tonicità. Un po’ stretta ed affilata, se vogliamo, ma propulsiva, futuribile, ispirata.

CUPANO – Baccello verde e catrame al palato, lì dove il rovere si fa sentire. La saldezza d’impianto eppure è quella giusta, lo stile meno “esibito” rispetto alle precedenti edizioni, piuttosto condizionate dall’estrazione e dai toni boisé. Mancano un pizzico di profilatura e di dettaglio in più, quelli sì.

FATTOI – Pirite, ciliegia durone, viola ed erbe aromatiche, dolcezza di frutto bilanciata e accorta, bel sostegno acido, definizione e compiutezza: ecco un Fattoi che al proverbiale carattere associa finalmente un nitore e una pulizia nel disegno mai apprezzati finora. Carnoso e voluttuoso, dalla chiusura fresca e minerale, è vino con anima.

FORNACINA – Stilizzato, ombroso, tipico negli accenti di sottobosco e menta, l’influenza del rovere tende a smorzarne l’espansione, e se il sorso non disperde la nervosa reattività di fondo (che fa ben sperare nel futuro), oggi appare fin troppo disadorno, stilizzato.

FOSSACOLLE – Carnoso, potente, intenso. Buon amalgama frutto-legno, più di impatto che di profondità ma davvero determinato.

FULIGNI  – Bella freschezza aromatica, sviluppo teso e dinamico, corroborato da una corrente acida che sostiene e (sos)spinge. Ancora da espandersi ma c’è tempo. E poi va giù che è un desìo!

GIANNI BRUNELLI LE CHIUSE DI SOTTO – Note piriche e fumé in avanscoperta, bocca consistente, di buona dolcezza tannica, progressiva, apparentemente “lenta” nel distendersi poi -con l’aria- più convinta sul da farsi. Sia pur incline ad una avvolgenza mellita, realizza un componimento interessante.

IL MARRONETO – Fresco, elegante, di una ritrosia aromatica che non distoglie attenzioni dalla sostanziale purezza, è nitido nel tratto gustativo, charmant e reattivo. Solo parzialmente frenato dal rovere.

IL MARRONETO (MADONNA DELLE GRAZIE) – Bella complessità aromatica; sostenuto, freschissimo, aereo, i tannini come un soffio, leggiadro il finale. Vino librato.

IL PARADISO DI FRASSINA – A due velocità: tanto seducente e garbato all’approccio aromatico, e in questo molto “montosoliano”, quanto largo ed accomodante al gusto, lì dove emerge un rovere impiccione, dai toni dolci veicolanti.

IL POGGIOLO – Buona compattezza, tipici sentori di sottobosco, deciso, classico negli accenti, solido e tosto nello sviluppo. Bel caratterino.

IL POGGIONE – Bella determinazione, lato minerale intrigante e sviluppo sostenuto, solo moderatamente alcolico. Tipologicamente ben connotato, lo senti che è Brunello e ti piace così com’é.

LA FORNACE – Liquirizioso, catramoso, la flessuosità e la leggiadria non sono le sue armi migliori, quello no, ma non manca di temperamento e solidità. Solo ancora un po’ rigido.

LA FORTUNA – Carnoso, caldo, alcolico, senza (forse) quella capacità di dettaglio a cui ci aveva abituato nelle sue edizioni migliori. Certo avvolgente, presente, intenso, anche se un po’ velato e non del tutto chiaro nell’eloquio.

LA GERLA – Buone sfumature in un affresco di trattenuta eleganza e sobrietà, improntato sul “dico non dico”. Si beve bene, è dinamico, non immenso ma riconoscibile per dignità territoriale e cifra stilistica. Forse timido, ma “canalicchioso” dans l’ame.

LA LECCIAIA – Naso fresco e puntuale negli accenti e nei rimandi, di bella filigrana speziata e minerale; bocca scorrevole, non troppo diffusiva né profonda ma agile e proporzionata.

LA MANNELLA  – Esotismi, cenni vegetali, reattività e dinamismo. La beva ne guadagna rendendosi guizzante, anche se la dote fruttata ti apparirà un po’ in debito di maturità e il disegno parzialmente incompiuto.

LA MANNELLA (I POGGIARELLI) – Rispetto al “base” maggiore concentrazione di frutto e al contempo una densità importante sorretta da una fresca vena acida. Tornito da un bel tannino, ci regala un tatto cremoso e un sorso futuribile.

LA PALAZZETTA – Molte trasparenze cromatiche qui, molti riflessi di luce, e una sensazione di evoluzione che da bottiglia a bottiglia cambia un po’ gli accenti: dall’indolenza alla “finta evoluzione”. Disegno classico, austero, caldo per l’alcol, con un tannino che pompa freschezza e ti fa ringalluzzire. Personale.

LA VELONA – Spezie ed esotismi al naso; “cicciotto”, caloroso, definito negli assetti, la tendenza dolce al gusto ne smorza i contrasti.

LAMBARDI – Bella densità di frutto a coprire la montata tannica; ciliegia, china e viola le dominanti al gusto, un gusto morbido e voluttuoso con il futuro che potrebbe ispessirne il profilo. Nonostante risulti più materico rispetto alla proverbiale fisionomia stilizzata dei Lambardi che ricorderete, è tutta roba buona.

Montalcino_vigneLE CHIUSE – Profondo, percussivo, solido e mineralissimo, baritonale nei toni, fresco e vibrante nelle chiose (ho detto chiose, non chiuse!), è un vino questo di rare compiutezza e misura, caratteriale e nobilmente austero.

LE MACIOCHE – Svolazzante la matrice tropical dei profumi, quasi invasiva per intensità e presenza scenica. Di contro bocca aggraziata, modulata, di bella armonia complessiva. Insomma, digerisco male quei toni esotici fuorvianti, che tendono ad uniformare tanti vini costituiti da vitigni diversi e provenienti da nord a sud della penisola. Ma è questione di gusti.

LE RAGNAIE – Un soffio di bontà: qui nonchalance, leggiadria, sfumature, bevaibilità. Meno profondo dei cru ma enormemente aggraziato, tanto da librarsi e restar “sospeso”.

LE RAGNAIE (FORNACE) – Sodo, caldo, viscerale, ti inchioda all’ascolto e sa bene come conquistarti per spessore aromatico e intensità. Denso e grintoso, al palato non molla la presa, avvolgendo e coinvolgendo.

LE RAGNAIE (VECCHIE VIGNE) – Raffinato, fresco, aereo, un caleidoscopio di umori sottili, un tannino impalpabile e finissimo, un finale ispirato e trascinante, sulle ali dell’equilibrio. Senza peso, possiede l’interiorità di un “vino-aliante”.

LISINI – Definizione e compostezza aromatica, scandita da un frutto di perfetta maturità. Compassato, cesellato, preciso, una provvidenziale corrente acida lo instrada sui sentieri propri di un Brunello dagli accenti “chiantigiani”, tante la droiture e la profilatura.

MADONNA NERA – La timbrica vulcanico-fumé annuncia un vino di stile moderno, carnoso, “tornito” nelle forme, quasi un distillato di tecnica consapevolezza. Il rovere ne frena parzialmente gli allunghi, ma il temperamento è di quelli grintosi.

MASTROJANNI  – Molto riconoscibili sia l’impronta della casa che quella del terroir. Te ne accorgerai sin dai primi giri di bicchiere: toni ferrosi e sottoboscosi in evidenza, confortanti riflessi agrumati, solidità & pochi fronzoli. Bella dimensione in bocca, tosta e decisa, senza irrigidirsi poi troppo sul tannino.

MASTROJANNI (VIGNA LORETO) – Soffuso e nobilmente ritroso ai profumi, armonioso e avvolgente al gusto, con un pelino di legno in esubero, sciorina un tannino dolce e levigato e una “morbidezza reattiva”, mai fine a se stessa.

MATE’ – Bella melodia, compendio riuscito di erbe aromatiche, ciliegia, viola e alloro. Scioltezza e souplesse come maritate in un profilo gustativo proporzionato, dai fondamentali eleganti e dalla raffinata dote tannica. Continua l’ascesa di questa cantina ilcinese, soprattutto in termini di focalizzazione stilistica, aspetto un tempo forse disatteso.

MOCALI – Sottile, sfumato, assai intrigante per ritmo e dinamismo, certo un po’ magrolino ma senza che intralci poi troppo con asprezze, verzure ed amaritudini, una fisionomia sostanzialmente piacevole e garbata.

MOCALI (VIGNA DELLE RAUNATE) – Bella definizione, sinuoso, importante, “sottoboscoso”, succoso, grintoso, di bilanciata densità e grande caratura tannica. Ottimo!

MUSICO – Nonostante un naso remissivo, in attesa di dettagli migliori, vi coglierai una certa propensione alla naturalezza espressiva: per via dei cromatismi poco accentuati ma prodighi di trasparenze, e per quella sua fisionomia apparentemente fragile giocata su disinvoltura e finta-evoluzione. Il disegno è intrigante, la complessità media, l’esordio curioso.

PIAN DELLE QUERCI – Dopo due o tre annate ammirevoli per garbo espositivo e compiutezza, il nuovo Brunello della famiglia Pinti si presenta sempre classico nelle forme, sempre melodioso nello sviluppo ma sconta un pelo di evoluzione di troppo nei registri, risultando più morbido che reattivo, più “confortevolmente dolce” che contrastato.

PIETROSO – Naso sfumato ed invitante, su risvolti minerali e floreali; beva deliziosa, fresca e succosa. Proporzioni rispettate, nulla che sia fuori posto. Davvero ineccepibile, per forma e sostanza.

PODERE BRIZIO – Rotondo, pacioccone, lì dove concentrazione e maturità di frutto appaiono un po’ spinte “in avanti”, anche se per adesso il tratto si mantiene armonioso e il gusto morbido, piacevole, accomodante.

POGGIO ANTICO – Sia pur ombroso nel carattere -gli capita sovente- se ne esce grintoso e volenteroso, capace di spingere adeguatamente sulla scorta di un tannino presente ma ben integrato. Qui tempra e determinazione, assieme ai proverbiali accenti di grafite.

POGGIO ANTICO (ALTERO) – Sviluppo caldo e piacevole, con il rilievo dell’alcol ad ostacolare i pertugi e ad allargare le trame. Gli umori di roccia e grafite accompagnano un sapore morbido, assai garbato nei toni.

POGGIO DI SOTTO –  Classico filo di volatile (mai fuori misura) a dar respiro ai profumi, sempre incanalati in un registro sfumato e super raffinato. Sviluppo armonioso, articolato e fine. Chiusura ricamata, tutta in scioltezza, caratterizzata e riconoscibile.

QUERCE BETTINA – Il coté esotico dei profumi (pesca, mango e via discorrendo) è assai caratterizzante (e un pochino straniante). E mentre ‘sti profumi si fanno aerei e diffusivi, lo sviluppo gustativo appare un po’ “verde” negli accenti, nonostante la buona reattività di fondo.

SALVIONI LA CERBAIOLA – Tanta determinazione in un missile di personalità: calibratamente austero, intrigante per i toni di ghianda, sottobosco e alloro, in questa annata recupera mirabilmente linee classiche nella silhouette e assesta il colpo a effetto grazie a una gustativa incalzante, sostenuta, ineludibile. Tannini di gran classe, freschissimi, profondissimi. Il futuro abita qui.

SANLORENZO – Goudron e frutto rosso restano incanalati in un profilo coeso e compiuto, senza sopravanzi alcolici. Bella ciccia e buona melodia gustativa. C’è calore ma senza esagerare. Davvero saporito il finale.

SAN CARLO – Buona definizione aromatica e buon componimento, molto Brunello old style, con provvidenziali ritorni agrumati a dar contrasto. Peccato per quel legnetto infiltrante, che tende ad asciugare un po’ il finale.

SCOPONE (OLIVARE) – Qui senti calore e forza alcolica. Ma discreto hai l’amalgama, invitante l’umore della terra arsa e delle erbe aromatiche. Nonostante la voce calda e arrochita non si inasprisce sul finale. Non più di tanto.

SESTA DI SOPRA – Naso tonico, netto, delineato. Buon amalgama, stile classico, tannini ben integrati in tessuto importante, a cui non fan difetto freschezza e dinamica.

SESTI – Tratteggiato in bello stile, fragrante, autentico, fra istinto e complessità, profuma di catrame, alloro, fogliame e agrumi. In bocca è ampio e trascinante; in stretta ed ingenerosa sintesi: struggente.

SIRO PACENTI (PELAGRILLI) – Calore e sostanza brunelliche (o brunellesche). Netto, affilato, di buona propensione al dialogo (aromaticamente parlando), si fa più nervoso e “stretto” nello sviluppo gustativo, arricciandosi inquieto su una montata tannica amaricante. Da sciogliersi.

SIRO PACENTI  – Ricco e sostanzioso, sfodera una bella silhouette ai profumi, apparendo più denso, bilanciato e carnoso rispetto allo stilizzato Pelagrilli. Ma percepirai la stessa “dinamica” del rovere, un rovere che si infiltra e asciuga, increspando il finale.

SOLARIA PATRIZIA CENCIONI – A una trama flessuosa, di sostanza dolce e matura, fa da contraltare un legnetto impiccione. Solo il tempo dirimerà questioni.

TALENTI – Bella compostezza e sostanziale eleganza per un Brunello nitido, saporito, senza punti deboli. Bel tannino. E bel frutto.

TASSI (FRANCI) – Buon carattere e buona capacità di dettaglio per un Brunello caldo ma non pesante, di discreta fibra sapida ed apprezzabile scioltezza.

TENIMENTI RUFFINO (GREPPONE MAZZI) – Stile condivisibile, classico nelle forme, terroso nella sostanza, solo non un mostro di reattività e freschezza. Affascinante, quello sì, ma si adagia un po’ troppo sui registri dell’evoluzione.

TENUTA CROCEDIMEZZO – Profumi “tesi”, senza sbrodolature o impicci. Insomma, ben disegnati, “mossi”. Lodevole per rigore e disciplina, non appare troppo diffusivo ma non difetta certo di sincerità espressiva.

TENUTA DI SESTA – Profumi intensi di matrice anche esotica; flessuoso nelle trame, cede un po’ troppo alla dolcezza (del frutto e del legno) lungo lo sviluppo gustativo, risultando accomodante anche se non troppo contrastato.

TENUTA LA FUGA – Impronta tipica e indole piacevole per un vino che resta in debito di articolazione per via di un rovere dolce in leggero esubero.

TENUTA LE POTAZZINE – Sciolto, arioso, elegante, sostenuto e dinamico, fila dritto alla meta. Giocando di sottigliezze e “finta essenzialità”, più che di presenza scenica.

TENUTA SAN GIORGIO (UGOLFORTE) – Diverse le bottiglie provate, con esiti diversi. Ci affidiamo alla migliore, che ci parla di una trama aromatica definita e coinvolgente, di uno sviluppo arioso e un gusto agrumato, con terra e bosco a commento. Ci fidiamo di lei, perché ci racconta un vino carnoso e saporito.

TIEZZI (POGGIO CERRINO) – Qui giocano a contrasto un umore di fondo dolce, melodioso e rassicurante, e un’anima più verace veicolata da certe note selvatiche. Buon allungo finale però, anche se l’eleganza se ne esce con il punto interrogativo.

TIEZZI (VIGNA SOCCORSO) – Bel componimento, sciolto, espressivo, dinamicissimo e caratteriale. Una scheggia di vitalità: bella spina acida, tratti agrumati e salini…… una gioia per lo spirito, e una sveglia per gli assopìti.

TORNESI – Frutto rosso “ceroso”. Una certa purezza nei tratti, morbido, avvolgente, naturale nello sviluppo, alcolico.

UCCELLIERA – Ghianda, china e corteccia, forza e intensità. Gioca in avanscoperta, rivelando le sue carte e facendosi riconoscere subito per virgulto e determinazione. Certo la finezza tannica non è il suo forte, dal momento in cui si fa irruenza.

VALDICAVA – Un velo di tostatura ad attraversarlo tutto; eppure la materia è buona, matura al punto giusto. Davvero integro e croccante il frutto, senza quelle forzature che ne sancivano l’aura ultra avanguardista di qualche vendemmia fa. Senti la forza e lo spirito del sangiovese, così come senti la voce del rovere che si porta via il finale, spogliandolo un po’.

VAL DI SUGA – Fra le maglie di una trama tipica negli accenti e stilisticamente apprezzabile si insinua un pelo di evoluzione di troppo, ciò che ne scopre inopportunamente il tannino.

VASCO SASSETTI – Naso ben delineato, gusto classico, ampio, etereo, più largo che teso. Pacioccone.

VENTOLAIO – Stilizzato, apparentemente disadorno ma convincente per dettaglio aromatico e droiture. Sono terra arsa, erbe di campo e arancia sanguinella ad indirizzarne i profumi. Tannini un po’ affilati ma ritmo e agilità sono di casa.

VILLA LE PRATA – Varie bottiglie provate, con esiti alterni. Ci affidiamo alla più convincente: ottima complessità aromatica e vino proporzionato, di bel disegno e sostanziale eleganza. Si distingue, certo che sì.

VILLA POGGIO SALVI – Saporito, nitido, rotondo, garbato: di polputa ricchezza, sia fruttata che strutturale, mantiene le giuste proporzioni riuscendo nell’intento di rendersi godibile, anche se non scava in profondità la sua traccia.

FERNANDO PARDINI

2 COMMENTS

  1. Complimenti davvero per la capacità di rendere in modo sintetico ed efficace le impressioni derivate da una così significativa mole di assaggi. Per me che la seguo da anni un importante punto di riferimento.

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