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Identità Golose 2015/Per Daniel Burns cucina significa gusti puliti. E birra nel bicchiere

DANIEL BURNSMILANO – Un giovane cuoco d’ispirazione nordica ci parla del suo modo di cucinare. Piatti diretti, che serve solo con la birra. Lui è Daniel Burns, canadese, lo abbiamo incontrato tra i relatori di “Identità Estreme”, nove diversi interventi che si sono avvicendati durante una delle tre giornate del congresso internazionale degli chef che si è tenuto a Milano dall’8 al 10 febbraio. Ospiti, tra gli altri: Daniel Burns (ex pastry chef al Fat Duck di Blumenthal e poi al Noma di Redzepi), Paolo Lopriore (ottima la Cassoeula scomposta), Poul Andrias Ziska (giovane e talentuoso chef danese delle isole Faroe). Tra loro Pasquale Torrente, ex scugnizzo della Costiera Amalfitana. Portava la colatura di alici di Cetara. Che c’entra, mi chiedo. Territorio, mi dico. Vero protagonista è lui, pronto a stupirci con ciò che di più antico e ancestrale possiede.

DANIEL BURNS 2Daniel Burns racconta la sua esperienza, molleggiando su gambe esili, in quel volto incorniciato da una barba bionda e un ciuffo di capelli indeciso tra il gettarsi in avanti o di lato. Dopo le importanti esperienze in Europa e America, Burns nel 2013 apre il suo locale a Greenpoint (Brooklyn), 15 minuti di auto da New York City. Lo chiama Torst: un bancone con 25 tipi di birra alla spina, ambiente gotico, buio. Il nome? Dalle parole inglesi thirst (sete) e luxury (lusso) ossia una birreria fuori dai soliti schemi, di qualità elevata. Sul limitare del locale, proprio in fondo, pochi mesi dopo aggiunge 4 tavoli con cucina a vista, menù di impronta nordica e chiama Luksus questo angolo in cui si può cenare. Un ristorante unico al mondo perché al Torst/Luksus servono solo birre artigianali da tutto il mondo, 150 in carta, una ventina alla spina, niente vino, cosa che fa trasecolare quando appena l’anno dopo arriva la stella Michelin.

Daniel Burns ph. Brambilla:SerraniDue lauree: matematica e filosofia. Ma la strada non era tracciata nel modo cui siamo abituati a pensare. Daniel Burns voleva avere il miglior beer bar con qualche piatto freddo. Poi, dato che nel locale c’era già una cucina, l’inserimento di qualche piatto (creativo) è venuto da sé. Il primo menu degustazione aveva tre piccoli snack da mangiare con le mani. Adesso sono sei. Inizialmente erano 3 piatti principali, adesso 4 per un totale di 13 voci che cambiano con le stagioni. “Perché la ristorazione è ormai orientata verso un menù snello” ha spiegato lo chef dal look che ricorda un modello hipster. “Il riconoscimento della Michelin è stato inatteso – ammette – Il ristorante ha aperto solo un anno e mezzo fa. I trascorsi in Europa hanno influenzato molto il mio stile, che si concentra su sapori puliti e decisi, dalla forte personalità, tipico della cucina nordica: tanti vegetali, poche proteine, anche se definirla nordica è un estremizzazione perché a New York non è facile reperire quelle specifiche materie prime. Sento di definirla più che altro una cucina stagionale”.

Daniel Burns, scallops, maitake and silverberry - ph Brambilla:Serrani4La materia prima che predilige è il “sea food”: crostacei, cappesante, aragoste. Così, per farsi conoscere alla platea, opta per una cappasanta cruda con purea di funghi, alghe e chips di funghi. “L’idea è di combinare il mare con il bosco, con una nota acida data dall’aceto. Viene aggiunta un’alga marina rossa molto usata in Scandinavia. Di nuovo il fungo polverizzato e ridotto in chips”. Et voilà, il gioco tra gli ingredienti è fatto. Sapori netti, acidi come gli è tipico. Da gustare, ovviamente, con una birra artigianale.

Le foto sono dello studio Brambilla Serrani

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