Taste 10 a Firenze, il cibo italiano dalla A alla Z

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Taste_Firenze_2015-657x360FIRENZE – Il cibo italiano in forma di enciclopedia, dalla A alla Z, è stato svelato a Taste 10, il salone fiorentino dell’enogastronomia che ha compiuto quest’anno il suo primo decennio in una location bella e fashion come è la Stazione Leopolda ma che forse è diventata un po’ strettina. Un panorama immenso fatto di prodotti, razze, animali, metodi produttivi, tradizioni mantenute o ripescate, scelte produttive e di produttori perloppiù di nicchia che ci ha fatto ricordare, se mai ce ne fossimo dimenticati, quale infinita moltitudine di sapori viene creata nel nostro Paese dalla coltivazione e dalla produzione della materia prima, poi dalla sua manipolazione, conservazione, stagionatura, aromatizzazione. Secondo tradizioni locali pervicacemente conservate e miracolosamente tramandate.

IMG_8916Fin qui l’aspetto romantico. Ma Taste ha fatto vedere anche come tutto ciò non sia realizzato solo per riempire le pagine dei giornali ma per andare sul mercato, per convincere all’acquisto, e che per realizzare questo obbiettivo ci vogliono energia, forza di convinzione, bisogna saper evocare paesaggi e peculiarità culturali. Pur inebriati dalle sollecitazioni dei sensi non si poteva non osservare come dietro tutto questo ben di Dio ci sono imprese piccole e medie che possono anche vantare un consistente gruppetto di dipendenti, e che quindi sanno coniugare poesia e lavoro. E che partecipano a Taste, come ad altri eventi analoghi, per sgolarsi e convincere i visitatori delle proprie peculiarità, se non unicità.

Svelando così  la trama più profonda, fine, arabescata, e per fortuna resistente,  del made in Italy alimentare.

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Taste come luogo in cui ascoltare storie, capire filosofie, oltre che imparare a conoscere odori e sapori, allenare naso e palato, acquisire competenze. E qui, per quanto è possibile, si cerca di restituire qualche frammento del grande palcoscenico gastronomico fiorentino.

IMG_8921Per iniziare, è ampio il capitolo dedicato al prosciutto, perloppiù Prosciutto di Parma che assieme al Grana Padano è il nostro marchio alimentare più esportato. Da Devodier (Lesignano de’ Bagni, devodier.com) arrivano delle fette dolci, asciutte e pastose, da Casa Graziano (Tizzano Val di Parma, casagraziano.com) più intensità ma anche qualche rigidità in più, da Antica Ardenga (Diolo di Soragna, anticardenga.it). Italgroup è una azienda di medie dimensioni a gestione famigliare con due stabilimenti a Langhirano. Spettacolare il progredire di prelibatezze: dal prosciutto (30 mesi) alla culata, la parte più pregiata del prosciutto, a sua maestà il culatello, che sta su un piano a parte per intensità di sapori e per tessitura in bocca. Interessante la scelta di Montali (Liano di Langhirano, montali.it) di fare anche un prosciutto da maiali bradi: ma non sarà mica meglio del Parma? Non riuscirete mai ad avere una ammissione del genere, un brand così forte non si tocca.

prosciutto-saint-marcelMa prosciutto non è solo Parma, è anche Saint Marcel, in Val d’Aosta (prosciuttiamo.it; a proposito, c’è anche una festa dal 19 al 21 giugno 2015). Il procedimento di produzione è  peculiare e tradizionale, e deriva dalla stagionatura delle cosce d’orso. Oggi, quelle dei maiali razza  “large white” vengono salate e temponate con sugna mescolata ad erbe alpine; ne viene fuori un prosciutto carnoso e di grande masticabilità.

Dai Salumi Molinari (salumimolinari.it) di Tolmezzo (Ud) apprendiamo che speck non significa solo Alto Adige, ma anche Friuli: ed è uno speck più delicato, meno affumicato e speziato. Poi ci sono salami e salamut, insaccati a macinatura fine. Mentre nei salami di Bazza (Terrassa Padovana, saliumibazza.it), intensi ed equilibrati, è vietato parlare di conservanti: non sono ammessi neanche i famigerati nitriti e nitrati di sodio, che secondo altri sono imposti e inevitabili. Meglio così.

IFUn capitoletto a parte, per gli amanti del genere, deve essere assolutamente dedicato ai selezionatori di formaggi. Prendiamo il caso di Valsana (valsana.it) da Santa Lucia di Piave (Tv), che serve ristoranti e, per dire, preziose gastronomie di Treviso (beati i trevigiani!). Sono arrivati a Firenze con pressoché tutti i loro gioielli da assaggiare: il Paski Sir (caseificio Gligora dall’isola di Pag in Croazie, ovino da pecore Paska Ovka); Le Gruyère stagionato 12 mesi (da Gourmino, associazione di cinque caseifici di Langnau, della valle dell’Emme, canton Friburgo; latte vaccino crudo); Gouda stagionato 24 mesi (da Betty e Martin Koster di Formagerie L’Amuse di IJmuiden, latte vaccino pastorizzato); Brie de Meaux da latte vaccino crudo (Fromagerie Dongè, Triconville); Cheddar Westcombe da latte vaccino crudo (Westcombe Dairy nell’omonima regione, di Tom e Richard Calver); Cahill’s Irish Porter Cheddar da latte vaccino pastorizzato mescolato a birra Guinness di tipo porter (da cui il sorprendente aspetto maculato) prodotto dalla Cahill’s Farm House di Limerick. Ma anche una mozzarella di bufala “padana” prodotta da latte crudo da Borgoluce dagli allevamenti di Susegana (Tv).

IFAntonio Carpenedo (Carnalò di Povegliano, lacasearia.com) da parte sua dal 1976 non si limita ad essere un grande affinatore, ma lascia la briglia sciolta alla creatività. Ed effettivamente i suoi formaggi hanno nomi che si potrebbero assegnare ad opere d’arte: la Toma Blu, l’erborinato alle erbe aromatiche, gli affinati in barrique, gli “ubriachi” alle uve recioto e zibibbo, nero d’Avola… Ed il capolavoro, il pluripremiato Blu ’61, è uno straordinario erborinato a pasta morbida affinato in vino Raboso passito e mirtilli rossi.

Sempre parlando di formaggi, da Caseificio Gennari (Collecchiello di Collecchio, caseificiogennari.it) una linea di Parmigiano da latte di vacca rossa, e comunque tutta la linea si basa su animali allevati solo con erba, fieno e mangimi certificati, no Ogm.

savini-tartufiSua maestà il tartufo è rappresentata, fra l’altro, da quella autentica autorità in materia che è la famiglia Savini (Torcoli, nel pisano, savinitartufi.it), ormai da quattro generazioni. Ed i giovani Luciano e Cristiano hanno energia da vendere, facendo notare come in Toscana si possano trovare sette delle dieci qualità di tartufo, spaziando fra costa ed Appennino, e coprendo, con il nero scorzone invernale, il bianchetto scorzone estivo, fino naturalmente al tuber magnatum Pico, il bianco pregiato autunnale. Sala degustazione con ristorante, escursioni in campagna (della serie: ritrovo alle 10, spostamento in zona boschiva, caccia al tartufo e rientro per la degustazione), ed ora anche sinergie con un altro toscano famoso, quel Dario Cecchini, macellaio a Panzano in Chianti, abbinando con il tubero il “Tonno del Chianti”, da coscia di maiale disossata, salata e poi bollita nel vino bianco, infine sgrassata e messa sott’olio.

Nella sfida che ha segnato la storia della gastronomia, quella delle conserve che preservano il più possibile le caratteristiche del “fresco”, sfidando la stagionalità e spalancando nuovi orizzonti alla cucina, si segnala la peculiare Elòdy (elody.it) di Pontecagnano Faiano (Sa) che ha lanciato il brand “Pizzico”: triti di erbe aromatiche coltivate e trasformate con tecniche particolari in modo da rimanere “semiasciutte”, offrendosi come alternative alle versioni secche o surgelate per condimenti e salse. L’abruzzese Ursini (ursini.com) da Fossacesa (Ch) produce buonissimi e peculiarissimi oli che si potrebbero definire “insaporiti” perché è assolutamente proibito usare il termine “aromatizzati”. Riprendendo una antica villa-realetradizione della Costa dei Trabocchi, vengono infatti selezionate olive di grande qualità (in genere monocultivar), e mescolate con le parti migliori di agrumi biologici; poi viene franto tutto insieme. ispirandosi a questa provcedura vengono realizzati anche oli speziati (peperoncino, zafferano)…

Di Villa Reale si segnalano le conserve, i patè, i condimenti, le salse siciliane  (caponate, olive ripiene, peperoncini, capperi) e poi acciunghe, ricciole, tonni e sgombri.

Buonissimi i ragu che vengono dalla macelleria di Massimo Zivieri (massimozivieri.com) da Monzuno (Bo): sia quello “storico”, con la pancetta, che quello “tradizionale”, con il prosciutto.

crema-lumacheParticolarmente interessante il progetto dell’azienda Cantalupo Lumache (cantalupolumache.it), che riprende una vecchia predilezione per i piccoli animali del borgo umbro di Cantalupo di Bevagna. Il punto di partenza sono due salse: una tradizionale che prevede pomodoro, un trito di erbe dell’orto e finocchio selvatico compreso per pasta, polenta, eccetera, ed una crema senza pomodoro ma con i ceci. In dirittura di arrivo un ambizioso progetto di accoglienza e didattica, con un cascinale ristrutturato con tante vetrate in modo da far sentire gli ospiti proprio in mezzo alla campagna.

Plastico il confronto fra le gigantesche olive in salamoia di Cerignola (Azienda Fratepietro, fratepietro.com) sia verdi, intense e penetranti, che nere, più dolci) e quelle piccole, le taggiasche del Frantoio Sant’Agata Oneglia (frantoiosantagata.com)

IFE può succedere di “accedere” ad un piattino di bottarga di muggine di Stefano Rocca (stefanorocca.com) assaggiandola “a fettine” di colore ambra-arancio, ed emozionarsi  sorbendo un cucchiaiono di colatura di alici di Acquapazza (Cetara, ovviamente, acquapazzagourmet.com). Per poi rinfrescarsi con i succhi di frutta di Masseria Giosole (Capua, masseriagiosole.com), composti dal 75% da frutta fresca (mela annurca, albicocca, privilegiando le varietà locali) ridotta a purea (attenzione, non concentrato conservato e stoccato!). Si evita così la doppia e stressante pastorizzazione del concentrato e del succo finale.

Dulcis in fundo. Dall’Isola del Giglio, la Pasticceria Fausto a riproporre antiche tradizioni: dai cantucci ai tozzetti, dagli gnocchetti ai rusticini. Ma soprattutto, un buonissimo pan ficato, sobrio nella sua dolcezza naturale ed esclusivamente affidata ai fichi.

IMG_8938Bello il contrasto fra il marrone scuro, quasi nero della Tortapistocchi (tortapistocchi.it), l’ormai celebre capolavoro fatto esclusivamente con tanto cioccolato fondente e poca crema di latte ora anche in versione “vegana” per gli intolleranti al lattosio, e il bianco candido dei leggeri e friabili mandorlati di Casa del Dolce (finissimomandorlato.it) a Cologna Veneta (Vr), in cui la inesauribile fantasia italica si scatena anche nelle forme, a stella di Natale compresa.

E, per concludere le poetiche dolcezze di Pietro Romanengo fu Stefano, “confettieri in Genova dal 1780” che con caparbietà conservano e tramandano antiche procedure per confettare, candire, glassare… La sensualità delle caramelline fondenti con il loro liquido che delicatamente dolce invade la bocca accompagna egregiamente il pensiero ottimistico e rinfrancante che sì, in  Italia almeno in fatto cibo sappiamo essere creativi, tenaci ed orgogliosi delle nostre radici.

galleria fotografica

Riccardo Farchioni

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