La prospettiva del bufalo 2015. Vini fuori dal coro: Alto Adige

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La prospettiva del bufaloInutile negarlo, la girandola infernale degli assaggi “guidaioli” mi stordisce. Mi stordisce straniandomi. Le migliaia di vini sorseggiati e commentati diventano sogno e ossessione, e mi catapultano in una strana dimensione psicofisica, a metà strada fra amaro disincanto e ardore agonistico. Ci vuole tempo per digerire tutto, per risalire all’aria dopo la lunga apnea enoica. Ci vuole tempo per elaborare e raccogliere i segni utili per una scrittura che possa considerarsi arricchita, maggiormente consapevole o ispirata. Per ritrovare il senso di un lavoro tanto maniacale quanto straniante.

Un aspetto che mi conforta e che stimola sempre aspettative nuove è quello che riguarda il lato oscuro della ribalta, tutto ciò che sta in penombra. Quella fitta rete di vignaioli e di piccoli-grandi vini che per una ragione o per l’altra non hanno ancora i riflettori della notorietà puntati addosso. Perché sono ancora troppo pochi coloro che li riconoscono per quanto valgono, perché magari trattasi di giovani realtà, perché la comunicazione è quella che è, perché la diffusione è quella che è. Perché dei riflettori, forse, potrebbe fregargliene il giusto.

Insomma, non si vive di soli nomi noti, ecco. Una consapevolezza questa che mi aiuta a riemergere dal cono d’ombra tipico del criticone, abitato da pedisseque e micragnose puntualizzazioni notarili, quasi a tarpare le ali alla spontaneità e al mero trasporto emozionale. Ed è per questo che invariabilmente mi prende la voglia di parlare dei vini fuori dal coro, dei vini obliqui, dei vini che non ti aspetti, di quelli che non conoscevi, di quelli che scartano di lato (come il bufalo, ci direbbe De Gregori), di quelli che- indipendentemente dal tasso di complessità- disegnano traiettorie stilistiche con le quali è bello averci a che fare. Di quelli che ti attraggono e non sai perché. O forse lo sai ma non ti importa di spiegarne i motivi.

Questi piccoli pezzi, quasi fossero schizzi impressionisti, sono dedicati a quei vignaioli lì, a quei vini lì. Con la speranza di instillare un briciolo di curiosità in più nei coraggiosi lettori. O di poter diventare tutti un po’ più bufali.

ALTO ADIGE

Inevitabili premesse

Costruire una prospettiva del bufalo sull’Alto Adige: sembra facile! Ma come poter ignorare la micrometrica precisione che governa la produzione enoica di questa regione, instradandola nel verso di una compiutezza formale inattaccabile e di una chiarezza espositiva a prova di bomba? O l’invidiabile standard qualitativo che da quei vini traspare, discendenza diretta di un puntiglio simil teutonico e di una diffusa capacità interpretativa? E come non tener conto del riconoscimento, spalmato su millanta cantine altoatesine, da parte dei mercati nazionali e non?

Insomma, a pescare dal cappello un nome realmente outsider ti ci voglio! E allora ci siamo chiesti: ma cos’è che può scartare di lato, oggi, in Alto Adige? E una risposta per la verità ce la siamo data: i vini rossi. O meglio, certi vini rossi. Magari quelli autenticamente autoctoni. Di sapiente mano artigiana. Che dignità, che fierezza e che goduria certi bicchieri, quando li riconduci a nient’altro se non alla loro terra e alla loro cultura. E siccome non ci vogliamo far mancare niente, abbiamo aggiunto alla lista un “bianco a metà”: ebbene sì, un macerativo. Cosa? Un macerativo sulla weinstrasse altoatesina? Noooooo! Sì.

Pulsar – Profil Roberto Ferrari  (€34/39)

ferrari-roberto-profil-logoChe bello, per una volta, essere all’oscuro e non conoscere niente di lui! Storia, origini, vignaiolo… niente. Dell’incontro raccontarne semplicemente l’esito, scevro come non mai di sentimentalismi, saccenterie o predilezioni pregresse. Nel frattempo, il profilo (o forse solo profil?) macerativo di questo bianco si accende di una illuminante sensazione uvosa, sostenuta da una intensa energia aromatica: ben scandita, variegata, vivida, presente. Sono buccia di mela, agrumi canditi, tè alla menta, spezie fini e zenzero. Dal piglio sapido e personale, l’anima artisan che ne caratterizza l’eloquio si fa sferzante. Non un’ombra ossidativa, nessun tannino ad ingombrare il passaggio, solo grinta e acidità impettita ad indirizzare il sorso verso un finale arioso, fresco, lungo, coinvolgente, dove tutto, ma proprio tutto, depone a favore di bevibilità.

Un vino che tradisce gli aspetti più ovvi della tipologia solo dal colore. Per il resto ha un respiro, una fragranza e una fisionomia assolutamente non scontati.  Concretizza traiettorie coronate di compiutezza, questo è, con le quali è bello averci a che fare. Poi approfondisci, e ti accorgi che sono tre uve aromatiche a comporre la palette “costituzionale”: sauvignon, moscato giallo e traminer. E scopri pure che in etichetta l’annata non è specificata perché vi si mescolano i contributi di due vendemmie diverse, nello specifico 2012 e 2013. Una cuvée, insomma. Ma una cuvée di pregio, che apre una finestra nuova sul chiacchierato orizzonte stilistico degli orange wines, una genìa la quale, fra incrollabili ammiratori, detrattori incalliti, slanci entusiastici e “discese sulla terra” non smette mai di incuriosire, infervorare ed affascinare. Ecco, qui il fascino (indiscreto) acquisisce un senso oggettivamente reale, che non puoi evitare. Per questo la storia futura di Pulsar, oltre che tutta da scrivere, sarà tutta da seguire.

Lago di Caldaro Superiore Plantaditsch R 2014 – Tenuta Klosterhof (€ 18/21)

Plantaditsch_etiPer le anime romantiche in cerca di sicurezze affettive: ebbene sì, esistono ancora i matrimoni d’amore. Quello dell’uva schiava (localmente vernatsch) con i dolci declivi che degradano verso il Lago di Caldaro, e quello del vino Lago di Caldaro (localmente Kalterersee) con lo “spirito” dei cibi e della gente del posto, è uno di questi: incondizionato, puro. Trova compimento nel candore, nel delicato cesello aromatico, nella “pericolosissima” bevibilità, nel gioco sottile dei rimandi fra frutti rossi e sapidità, nel pungolo ferroso e terroso dei sottotraccia, nella golosa spigliatezza che istintivamente richiama condivisione. Sta nella scorrevolezza di un vino sussurrato e debolmente tannico la chiave di accesso per comprendere e godersi un tipico Lago di Caldaro wein. Quando poi hai la fortuna di trovare combinate tutte queste doti in un sorso solo, allora ti vien da parlare di unicità. In questo senso, Plantaditsch R di Oskar e Andres Andergassen rientra di diritto fra gli esemplari migliori della specie. Anche un’annata insidiosa come la 2014 non ne ha scalfito la purezza, il dico non dico, la vitalità. In sua compagnia starai bene.

Lago di Caldaro Classico 2014 – Niklaserhof  (€ 10/11)

Niklas_logoE’ nel Lago di Caldaro Classico che si ricompongono armoniosamente tutte le tensioni e le asprezze caratteriali della proposta di Josef e Dieter Solva, eclettici ed appassionati vignaioli di Caldaro. L’umorale, dialettica fisionomia dei vini della casa ritrova qui eleganza nelle forme, dettaglio, grazia espressiva.  Doti che, con la spigliata bevibilità, incoronano questo vino fra i migliori dell’anno nell’ambito della tipologia. Perché nella sua veste gioiosa, dal profondo substrato sapido-minerale e dalla florealità gentile, grazie al corpo snello, al passo svelto e al colore leggero, onora da par suo una vitivinicoltura impregnata del germe della personalità.

Gran Lareyn 2013 – Loacker Schwarhof (€ 17/19)

Loacker_Gran Lareyn etiNon solo wafer. Il colosso Loacker, nelle sue declinazioni enoiche, non di rado mette in campo una decisa forza espressiva, assistita da tempi non sospetti da una agricoltura d’impulso biodinamico. E ancor di più nei casi in cui l’esuberante silhouette dei suoi rossi riesce a tramutarsi in energia motrice. Per i cambi di ritmo, la verace tessitura aromatica, la sanguigna e nient’affatto omologata personalità, Gran Lareyn 2013 (lagrein in purezza) è un campione indiscusso di “altoatesinità”: i rivoli affumicati, la grafite, la pietra focaia, la grinta, il dinamismo, la reattività gli appartengono. Nonostante la pienezza del sorso, qui non ti annoi. E non potrai esimerti dal definirlo un miracolo di equilibrio e selvatica sensualità. Perché letteralmente “sanguina terroir”.

Elda 2011 – Nusserhof Heinrich Mayr  (€ 17/19)

Nusserhof_EldaAll’antico maso Nusser, avamposto di “resistenza” ormai quasi risucchiato dalle tentacolari esigenze abitative della città di Bolzano, appartiene il racconto (e la vita) di molte generazioni contadine. Storie intrise di caparbietà, testardaggine e amore incondizionato per la propria terra. Heinrich Mayr produce oggi, con vero spirito artigianale, vini non omologati, splendenti, ricchi di spigliatezza ed espressività, che trovano in un ispirato Lagrein e in una straordinaria Schiava (quasi) in purezza, chiamata Elda, gli eloquenti portavoce del carattere altoatesino più profondo.

La versione 2011 trasuda terra e territorio. E’ un brivido di freschezza, un sorso librato; è libera energia, non la puoi trattenere. E’ un qualcosa che si tende e si profìla verso l’inarrestabile finale, dopo aver intessuto un delicato ricamo di profumi floreali, speziati, “argillosi”, con il commento prezioso della gelatina di lampone, del cuoio, del rabarbaro. E dopo averti circuito con uno sviluppo snello, agile, sotto peso, di “ricca essenzialità”. Dedicata alla moglie Elda, cosa chiedi di più da un’amore?

Precedenti prospettive del bufalo: LIGURIA, FRIULI

FERNANDO PARDINI

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