Felici contaminazioni di Langa alla Locanda del Pilone

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EsterniChe il posto ci metta del suo per stregarti è indubbio. In bella vista su di un “bricco” tondeggiante circondato dai vigneti, dai noccioleti, dal silenzio e da certe visioni di Langa a cui non sai opporre resistenza, d’istinto predispone all’ottimismo e agli smottamenti emotivi. Ti circuisce, questo fa, e tu senti di starci bene in mezzo. C’è aria buona qui. Siamo alla Cascina Bompé di Madonna di Como, frazioncina collinare del comune di Alba, a un passo dalle Langhe classiche dei Barolo e dei Barbaresco. Ma intendiamoci, è Langa pure questa; non gli manca niente, figuriamoci. Magari meno illuminata dai riflettori della ribalta, quello sì, ma altrettanto suggestiva. Anzi, quasi quasi più integra, più pura, meno soggiogata dalla logica a tratti perversa della monocoltura. E’ terra di vino ovviamente, di apprezzabili Barbera e piacevolissimi Dolcetto, più che di Nebbiolo.

Panorama 1Bene, questa cascina, oltre che a funzionar da cantina, dal momento in cui accoglie ed elabora una parte della produzione enoica dei proprietari, la famiglia Boroli (i celebri Barolo della casa vengono invece vinificati e affinati alla Cascina Brunella di Castiglione Falletto), è anche sede di una confortevole locanda di charme, la cui principale attrattiva risiede, manco a dirlo, nel ristorante d’autore che ospita fra le sue mura e che da qualche anno, sotto la guida dell’estroso chef giapponese Masayuko Kondo, è divenuto un approdo obbligato per “gastroviandanti” smaliziati d’ogni dove.

Il nostro tavoloDentro le belle sale della locanda, in cui raffinatezza e décor di campagna si sposano senza incutere soggezione, va in scena una cucina parlante, dialettica e ricercata. Che accoglie, della Langa, gli umori suoi più cari, trasponendoli in piatti-rivisitazione stimolati da alcuni irrinunciabili capisaldi della tradizione albese, come tajarin, agnolotti, risotti, carni rosse, per riproporne le coordinate organolettiche giocando sulla filologia o sulla (re)interpretazione. Oppure che scarta di lato, tenendo bene a mente gli insegnamenti della cucina mediterranea, contaminandoli ad arte con ingredienti e accentature di provenienza diversa. I percorsi sensoriali restano efficacemente appesi ai contrasti, alla fusione, alla brillante intuizione figlia di una sensibilità interpretativa influenzata dalla nostra cultura gastronomica ma al tempo stesso libera dai dogmi e dai sentieri obbligati. Eppure non per questo la definiresti eterodossa. Si muove semmai in bilico fra tradizione e innovazione, su di un crinale espressivo dove i sapori sono sovente sferzati da note fresche, dolci, agrumate e speziate, e difficilmente accolgono la parola “ridondanza”. Ispirate da una ricerca dell’equilibrio che si fa urgenza, le creazioni più risolte offrono un dettaglio che si arricchisce tanto del contributo di una studiata definizione del quadro visivo (il colpo d’occhio utile all’immedesimazione), quanto di sapori infiltranti più che assertivi, giocando sui chiaroscuro e sulle mezze tinte, lì dove purezza e bilanciamento sono le voci fondanti. Eppoi gli elementi cardine di un piatto non vengono vivaddio trasfigurati in qualcosa d’altro. Perché non ci si vergogna di ciò che si è.

Rosso, rosa e violaIl menù Esperienze di una sera d’ottobre compendia suggestioni autunnali secondo estro e sensibilità. Sono variazioni intriganti su temi terragni e radicati come il fungo, le animelle o il risotto, inusuali come l’anguilla. Un percorso avvincente, mai stancante, capace di far discutere ed innamorare, e che trova forse la sua epitome in due piatti emblematici, caratterizzati entrambi da una visione zen: il vegetariano Rosso, rosa e viola, colorato patchwork dalla verve “artistica” e solo apparentemente stralunata in cui consistenze, temperature, cotto e crudo sono le chiavi di volta per entrare dentro a una girandola di sapori punteggiata da note dolci, amare, acide e speziate, dove l’essenzialità degli ingredienti di base quali verdure a foglia (radicchi), uovo (tuorlo), barbabietola (resa spugnosa), formaggio (Seirass), cipolla rossa, mirtillo (disidratato) e lampone apre in realtà ad orizzonti gustativi inattesi. Da qualunque punto del piatto tu peschi qualcosa, avrai sempre un sapore diverso in bocca: geniale! Yogurt_1E poi il metafisico e quintessenziale Yogurt, dedica intimista fondata su una dominante sola. La purezza del bianco declinata sui mezzi toni e sulle diverse consistenze. L’intimità di un sapore fresco, sottile e delicato che si lascia cogliere in profondità, nobilitandosi.

E mentre lo sfizioso aperitivo ha aperto le porte della fantasia grazie ai tacos di barbabietola, ai cioccolatini bianchi con tartufo d’Alba (che buoni!), ai macaron di cacao e paté di coniglio, ai baci di dama al parmigiano, ai bouchon di peperoni con crema di tonno, agli spaziali fagottini ripieni di melanzana alla parmigiana, al riso soffiato e ai crackers al sesamo,  con gli amuse-bouche, da un lato, si è inteso onorare la stagione classica dei funghi traducendola in un piatto costruito sullo stesso concetto dello Yogurt (il fungo cardoncello nella sua essenza, accompagnato da polvere di fungo e maionese di fungo), dall’altro la selvatica irruenza dello sgombro, rintuzzata a stento dalle note dolci della cipolla, dell’uvetta e dei pinoli.

Animelle, mela, patata affumicataMa il cambio di passo stimolato dalla prima entrée, il Rosso, rosa e viola a cui vi accennavo, trova adeguata conferma nella struggente Animella, mela e patata affumicata. Finalmente il coraggio di rappresentare la (in)dimenticata frattaglia alla stregua di un piatto importante. Con i crismi di un piatto importante. Riuscendoci appieno.

Risotto con ricotta affumicata, granita e uova di salmone, crema di cime di rapaStrepitoso il Risotto Carnaroli con ricotta affumicata, granita e uova di salmone, crema di cime di rapa, sicuramente uno dei piatti più risolti della serata: mantecatura d’autore (con burro acido), tecnica sopraffina unita a sensibilità nel saper propiziare incroci di sapore mai banali, continuamente aggiornati dalla notevole persistenza, cremosa, fresca e salmastra al tempo stesso.

Spaghettoni Gragnano aglio olio e profumi di mediterraneoSembra invece di sentire il “fiato” di Antonino Cannavacciuolo (lo chef che ha consentito a Masa di approdare alla Locanda) nello Spaghettone aglio, olio e profumi del Mediterraneo: una pasta parlante, davvero ben amalgamata, con quella polvere di olive nere e verdi, capperi e pomodori che odora di robe “nostre”, anche se non propriamente langarole. Una pasta lunga apparsa peraltro sorprendentemente intonata con la sequenza delle pietanze, ché non lo avresti detto “quagliasse”, dopo quel risotto! Poi, la stranezza e l’originalità di proporre l’anguilla come portata principale. Cotta nel mosto d’uva, la tendenza grassa e le screziature umorali della sua carne vengono fortunatamente controbilanciate da una elegante timbrica agrumata, grazie all’uso di un sale aromatizzato allo yuzu (sorta di mandarino giapponese).

Coccole finali_2Ma eccoci alla sarabanda finale: dopo il meditativo Yogurt entra in campo la gola, che qui in Piemonte fa spesso rima con nocciola e cioccolato. E cosa sono, se non pura gola, il pane, cioccolato e nocciola “Tonda gentile” o il ludico e ricreativo Cioccobosco? Infine, fra tiramisu allo zenzero, tartellette al tartufo, bouchon di mandorle e crema di Cassis, cacao e creme di zucca, frizzanti all’arancia, torroncini, cioccolatini al lampone e gelatine di cocco al frutto della passione, comprenderete che è assai facile confondersi e sentirsi coccolati. Convinti di essere stati fatti partecipi di una esperienza sensoriale in grado di unire istinto e complessità. Doti queste ultime che attengono, oltre che ai grandi vini, alla cucina di cui non ti scordi.

E se della cantina non potrai certo lamentarti, visto il gran numero di referenze (circa 1300) e visto il cospicuo campionario piemontese, non potrai parimenti lamentarti dell’accoglienza che il personale di sala ti riserverà. Ebbene sì, per una volta plaudiamo ad uno staff giovane, spigliato, professionale e non ingessato. Che abbina, alla maniera, gesti finalmente disinvolti, e un senso dell’ospitalità che chiama lo scambio, l’approfondimento e, perché no, un sorriso. Che non si piega ai cliché, al rito con la freddezza di un rito, alla celebrazione servile senza spina dorsale, ciò che troppo spesso ammorba (e affloscia) locali ambiziosi e stracelebrati. Per questo ha un senso la citazione, a partire dalla responsabile Sofia Brunelli (l’assente giustificata di una sera) per passare al maitre Marco Cicchelli, al preparato sommelier Marco Loddo, al valente chef de rang Nicola Pomo, al commis de rang Alessandro Arcari, all’aiuto sommelier Alessandro Frisario. Se una grande cucina vive e vegeta il merito è sì di chef come Masayuko o di una brigata affiatata (vedi per esempio il giovane talentuoso Federico Gallo), ma il merito va anche a loro, alla sala. Per saperla, quella cucina, veicolare e presentare, nel rispetto della forma ma soprattutto del buon senso, della sensibilità, della spigliatezza e della simpatia.

Frequentazioni e visite nel mese di ottobre 2015.

L0canda del Pilone – Frazione Madonna di Como, 34 – Alba (CN) – tel 0173 366616 – info@locandadelpilone.com

galleria fotografica

FERNANDO PARDINI

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