Ricordi di Expo Milano 2015: successo o flop, nutrire il pianeta o nutrire la pancia?

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expoExpo 2015: un successo o un flop? Come al solito in Italia, alla fine non si capisce mai bene come siano andate le cose.

Da una parte, il foltissimo gruppo dei celebranti, praticamente tutti i giornali e tv sui quali pende peraltro qualche sospetto di partigianeria, visti gli ingenti investimenti dell’organizzazione in “contenuti sponsorizzati”: dopo la pagina oscura degli arresti e dei padigloni ancora incompiuti al momento dell’apertura è stato tutto un narrare di una eroica rimonta che ha guidato l’Expo IMG_0262verso un clamoroso successo.  Dall’altra, mediaticamente parlando, praticamente solo i gufi del Fatto Quotidiano che hanno implacabilmente chiesto i dati degli ingressi. Prima silenzio di tomba e nessuna informazione, omertà anche sui viaggiatori della metro e sull’immondizia ritirata. Poi le mezze bugie, i tornelli che si bloccavano o non registravano, l’imbarazzo per una prima fase fiacca alla quale sono seguiti, da agosto in poi, mesi di grande affollamento. I numeri finali parlano (forse) di 20 o 21 milioni di visitatori che hanno consentito di andare di poco sopra Hannover 2000, la peggiore degli ultimi anni (18 milioni), ma molto sotto Siviglia 1992, città forse paragonabile a Milano, per non parlare di Shanghai 2010: in questo caso siamo praticamente alla metà. Sarà perché è stata una Expo “meno invasiva” in fatto di spazi occupati come ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera il giorno della chiusura?

Invasività o meno, l’impatto sui conti pubblici (cioè sui nostri soldi, per uscir di metafora) un pochino rilevante comincia ad apparirlo, secondo lo schema solito “profitti ai privati, perdite allo Stato”. Perché la scontistica selvaggia degli ultimi tempi ha reso fluttuante il prezzo medio del biglietto, perché i terreni sono stati comprati a prezzi alti, perché la società di parcheggi andrà indennizzata per mancati incassi, perché ora si dovrà gestire il dopo, con le bonifiche dei terreni. I gufi di cui sopra stimano 500 milioni di “buco”. Sarà vero, sarà falso? Sarebbe bello saperlo prima o poi con certezza.

Ma perché, poi, si è andati a Expo 2015? Da una parte, c’è il momento (che dura da un po’) di indubitabilmente alta attenzione per quel che riguarda il cibo e vino e, di riflesso, per i più volenterosi, per l’agricoltura e la vita di chi produce alimenti di qualità. E poi, una Expo è una Expo, uno si ricorda della Torre Eiffel, si svolge in Italia, la curioIMG_0242sità c’è tutta. Magari parte il tam tam nelle scuole, i figli vengono  permeati da un (benvenuto, miracoloso) interesse; e così una famiglia media, diciamo di quattro persone, inizialmente agnostica se non scettica si organizza. Strategia possibile, un’entrata serale a 5 euro “per assaggiare” (valeva dalle 19 in poi) e uno per tutto il giorno successivo. Gli sconti per famiglie sono previsti e acquistando il biglietto tramite uno degli sponsor si risparmia. Per dire, sul sito della Coop lo sconto era sul 30%.

A luglio, precisamente il fine settimana del 12 e 13, non c’era praticamente fila ai tornelli. Si entrava “lisci”, ed arrivando dalla metro c’era una lunga passerella da percorrere per “planare” finalmente verso il “Padiglione zero”. Che, forse, come è stato osservato, era una delle tappe più suggestive: partendo dalla terra, per finire con i grandi schermi che mostravano le quotazioni di cereali, il cibo come “commodity”. Peccato per quella bustona di patatine surgelate appena fuori il padiglione belga, ma aveva perlomeno il merito di anticipare uno degli aspetti più caratterizzanti di questa Expo: va bene nutrire il pianeta, ma bisogna anche nutrire chi passa la giornata lì. E quindi chioschi e chioschetti, un po’ da sagra a dire il vero.

Expo2015-39Usciti dai padiglioni, la prospettiva del Decumano era sempre comunque affascinante ed invogliava a continuare, fra gli orgogli nazionali e le espressioni di tenera semplicità. L’Irlanda forniva occhiali 3D per guardare i suoi immensi pascoli pieni di muccone (l’80% della superficie, il doppio della media europea), e i suoi oceani densi di invoglianti crostacei. La Spagna si attribuiva il maggior grado di biodiversità d’Europa (ma va’?) e aggrediva il visitatore con maiali neri pascolanti e chef pensosi e geniali.

Certo, il motto nutrire il pianeta non poteva che spingere verso i padiglioni africani, dove risaltavano le differenze che anche da quelle parti esistono fra Stato e Stato. Il padiglione del Sudan, praticamente un mercatino. Quelli ospitati nei distretti del caffè e del cioccolato. In Burundi ti danno un chicco di caffè per avere uno sconto di 10 centesimi sugli 1,30 della DSCN5735tazzina. In Arabia cercano di venderti un sacchettino di chicchi di un bel colore biondo a 20 euro, un po’ troppo. In Angola, lo spettacolo di un grande baobab tecnologico fatto di schermi da cui si affacciano belle ministre che rilasciano interviste; da altri schermi, ricette eseguite da cuochi locali. Ci si ferma a mangiare nel padiglione del Nepal in cui scorrono piccoli fiumi artificiali, e si pagano 10 euro per due o tre cosce di pollo fritte. Belli i fiori tecnologici e interessanti i touch screen che spiegano l’Azerbaigian. In fondo al viale, un po’ tristanzuolo l’orto di Slow Food visto il ruolo che l’associazione poteva avere e che poi non ha avuto. La grande bocca del padiglione Usa inghiotte tanta gente promettendo una nuova era nel cibo a stelle e strisce (speriamo). Divertente (e comodo per i genitori) lo spazio Ferrero dei giochi istruttivi per i bimbi, con simpatici animatori (speriamo pagati). Incute timore l’enorme insegna di Eataly (spazio ottenuto per chiara fama, ossia senza gara): sei ristoranti regionali di qua e sei di là. Divertente il Supermercato del futuro Coop: punti il dito verso una mela e appaiono provenienza, valori nutritivi, eccetera. E così si impara che la zucca degli “Gnocchi di mamma Emma” arrivano dal Cile.

Expo2015-25Le file ai padiglioni ci sono, non “bibliche” come reciterà qualche pittoresco titolo di giornale da settembre in poi: attirano Giappone, Emirati Arabi, Messico, Kazakistan (prossima sede Expo). E, per caso, ci si mette in coda nello Zimbabwe, per toglierci la curiosità di provare la carne di coccodrillo, che sorride chissà poi perché nei manifesti, e che sa un po’ di pollo e un po’ di pesce spada. Dopo, non rimane che guardare i giochi di luce dell’Albero della vita con il sottofondo di una musica un po’ trionfale e un po’ melensa e guardare le luci e i rimbombi sguaiati delle discoteche all’aperto montate da Polonia e Russia.

Non fa per noi, pensiamo forse  un po’ seriosi ricordandoci il “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Sarà energia anche quella, ma noi riprendiamo la passerella per tornare alla Metro.

galleria fotografica

Riccardo Farchioni

2 COMMENTS

  1. Io sono più sulla linea dei Gufi, mi è sembrata molto una manifestazione di regime dove ogni giorno c’era il politico di turno che davanti alle telecamere ci diceva quanto era bello l’Expo e quanto le cose andassero alla grande nel paese. Silenzio assordante invece sui compensi da fame ai lavoratori tutti assunti attraverso agenzie interinali che hanno lucrato alla grande, sulla concessione senza alcuna gara all’amico Farinetti di un business da oltre 20 mln., sulla vergognosa gestione del padiglione vino “appaltato” alle grandi cantine e ai produttori VIP (ricordate la ridicola degustazione dei vini di Vespa, Nannini, D’Alema e company?).
    Si è persa secondo me una grandissima occasione di dare visibilità alle nostre eccellenze enogastronomiche, visto il tema sarebbe stato più che opportuno, a discapito dell’uomo solo al comando che invece ha promosso la sua leadership.
    Aspetto comunque, con i tempi della giustizia italiana, le risultanze a proposito delle aziende vincitrici di appalti piuttosto discutibili, ma si sa a quel punto la corta memoria degli italiani avrà già rimosso il tutto.

  2. Le mie considerazioni esulano da quelli che sono e saranno gli aspetti giudiziari di questo expo, dal suo uso come palcoscenico fatto dai soliti noti, dai favori concessi agli amichetti e persino allo sfruttamento di giovani entusiasti. Non perché non siano importanti o gravi ma perché rappresentano quello che sta dietro o intorno alla manifestazione non il suo tema conduttore.
    Sono stato all’expo una sera e la giornata successiva ovviamente non ho visto tutto e nemmeno molto, però ho avuto assolutamente chiare queste impressioni: in molti stend del cibo non c’era praticamente traccia, erano invece sempre presenti ciondoli, collanine, magliette, statuette in materiale vegetale o pietra, ma non era una fiera dell’artigianato, e da questo punto di vista mi sento di consigliare senza possibilità di smentita la fiera dell’artigianato che si svolge ogni anno agli inizi di dicembre alla fiera di Milano a Rho è molto più bella c’è molta più merce e l’ingresso è gratuito. Dal punto di vista turistico i molti manifesti presenti proponevano splendidi paesaggi e interessanti monumenti, che inducevano sicuramente desiderio di visitarli, ma senza indicazioni riguardanti alberghi e trasporti, ma d’altra parte non era una fiera del turismo, in teoria era sempre una fiera sul cibo.
    Ecco si il cibo, non dal punto di vista culturale o etico ma più banalmente quello dello spuntino o pasto, all’expo si mangiava cibo mediocre o pessimo, spesso senza sapere dove sistemarsi, e pagandolo ad un prezzo inutilmente elevato, detto in due parole in un qualunque centro commerciale si mangia meglio spendendo meno.
    Vorrei tanto sapere dalle persone che sono state all’expo cosa hanno imparato sul cibo, sulla sua produzione, distribuzione, impronta idrica, limiti di produzione, sostenibilità, sarei veramente tanto curioso.
    Eppure in tutti i mesi in cui l’expo è stato aperto, non ho mai letto niente su questi aspetti nessuno li ha notati tutto era meraviglioso e interessante, ho dovuto andarci di persona per verificare cosa è stato realmente questo expo, la più grande presa in giro del secolo.

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