Un bordolese au contraire per raccontare Capalbio. Monteti in verticale

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T Monteti_ i guardiani della vignaUna giovane storia nata dal nulla, così come i vigneti; l’adozione dei vitigni internazionali e un territorio non propriamente sulla bocca di tutti (eufemismo): sì, sotto questi chiari di luna in materia vitivinicola certi elementi costitutivi potrebbero non deporre a favore di racconto e far girare a vuoto gli ingranaggi emozionali. La mancanza di un pregresso, l’assenza di autoctonie e la nomea ancora incerta per una denominazione new generation come Capalbio –ci troviamo nella bassa Maremma toscana- potrebbero far derubricare in fretta la vicenda umana e professionale della Tenuta Monteti, portandoci però a commettere un errore inqualificabile. Perché se quelli sopra citati sono alcuni degli elementi costituivi, chi l’ha detto che siano gli elementi fondanti? Non considerano infatti la vocazione, le consapevolezze, i gesti, la passione e -più di tutti- i conseguimenti, questi sì i reali “concetti” che contano. Soprattutto dal momento in cui sanno e sapranno mantenersi a debita distanza dalla banalità o dai deja vu.

T Monteti_ panoramaPer questo a parlare oggi di Tenuta Monteti non si rischia di essere tacciati per passatisti o superficiali. Anzi, perfino i detrattori più incalliti sarà il caso che mettano in conto la possibilità di rimanere sorpresi, positivamente sorpresi: per almeno un paio di ragioni o tre. Ci troviamo, enologicamente parlando, nei cosiddetti colli meridionali della Toscana, lì dove luce e sole rendono abbaglianti i contorni, stordenti i paesaggi, limpide le visioni. In questo senso la campagna attorno Capalbio, con i suoi dolci ma reiterati movimenti collinari, resta un affresco struggente di mediterranea forza evocativa. Basta lasciarsi alle spalle la retta infinita dell’Aurelia per accorgersene. Ed è in quel contesto che si è consumato il primo strappo: l’ingombrante luminosità dei luoghi, all’apparenza portatrice sana di calore ed esuberanza, trova nei rossi di casa Monteti un riflesso fortunatamente più interiorizzato, dove le trame riescono ad acquisire una modulazione, un chiaroscuro e un’attitudine alle sfumature che non ti aspetteresti. Accade così che a Caburnio (vino cadetto ma anche no) e a Monteti, i due rossi della gamma, non appartengano la ridondanza e l’eccesso, e che la polposa consistenza di cui si vestono non si tramuti mai in mollezza. C’è, a ben vedere, un fil rouge di freschezza tannica che ne propizia tono, contrasto e conseguente piacevolezza. E la loro “dissimmetria” costitutiva, che non intende apparentarsi con nessuno (vitigni internazionali sì, ma combinati in modo non scontato), trova compimento grazie ad una silhouette al tempo stesso generosa e sfumata, ricca ma bilanciata, che non si fa mancare un certo piglio austero e riflessivo. Aggiungeteci la capacità di ben evolvere nel tempo e l’inusuale maturità espressiva -sorprendente se rapportata alla giovane età del vigneto- e realizzerete che bastano questi elementi per sintetizzare con il giusto equilibrio le rotte stilistiche di un’esperienza che esige rispetto e “chiama” individualità. Senza per questo dover ricorrere a confezioni enologiche omologanti. E senza appiattirsi su apolidi cliché espressivi, checchennedicano i vitigni internazionali che, di quei vini, ne costituiscono pur sempre l’ossatura!

TMonteti_vignetoI gesti e i modi ci parlano di cinque varietà messe a dimora alla fine degli anni ’90 del secolo scorso (petit verdot, cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, alicante bouchet), su terreni vergini di argille profonde e fitto scheletro. I gesti e i modi ci parlano di lieviti indigeni. E di una idea maniacale e sistematica di parcellizzazione sia in vigna che in cantina, che altri non è se non “parcellizzazione metodologica”. E di una palette costitutiva da bordolese au contraire per il vino di punta, Monteti, dove la parte del leone è stata curiosamente assegnata al petit verdot (non c’è pericolo che non maturi a queste latitudini), seguito in proporzioni decrescenti da cabernet franc e cabernet sauvignon. Ma i gesti e i modi ci parlano anche delle persone: di Paolo Baratta e Gemma Bracco, gli iniziatori della storia. E della figlia Eva, la còlta ed elegante direttrice dell’ambaradan, assistita nella promozione commerciale dal marito Javier Pedrazzini, ex diplomatico di origini argentine riconvertitosi senza pentimento alle ragioni della terra. Sono affiancati da un team giovane e preparato, che fin dall’inizio si è reso partecipe  -quando non protagonista- del processo di crescita aziendale. E’ vero, a Monteti niente è stato affidato al caso.

T Monteti_tappiDalla stimolante verticale completa dell’etichetta di punta, effettuata in azienda qualche settimana fa, emergono una fisionomia di vino sempre più definita e un cambio di passo, quest’ultimo databile a partire dall’annata 2010. Con la 2008 a far da spartiacque e a disegnare una prova tanto “obliqua” quanto affascinante. Da lì in poi i vini sembrano aver acquisito una stratificazione tannica più importante e una profondità più manifesta. E’ il segno atteso che la scommessa di un giorno non è stata invano. Testimone privilegiato è proprio Monteti 2010, forse la migliore riuscita di sempre. Ma anche il 2011, in barba al millesimo insidioso, mostra una proporzione nelle forme e una integrazione tannica esemplari. E il 2012, pur figlio di una stagione ostinatamente calda e difficile, è in grado di esprimersi con un senso della misura che non dimentichi, facendosi forte di tutte le attenzioni assunte dall’azienda per connotare i vini secondo un’impronta stilistica coerente e, adesso sì, orgogliosamente riconoscibile.

Monteti 2010_etiMonteti 2012

Ricco, carnoso, di buon tessuto aromatico e gustativo, non possiede la qualità tannica di un 2010 o di un 2011 ma mostra un equilibrio convincente, senza sfrangiarsi poi troppo in larghezza e vacuità. E nell’intuire che un adeguato periodo di maturazione in bottiglia non potrà che fargli bene, sopportabile giudicherai il leggero esubero alcolico che al momento tende a frenarne l’espansione.

Monteti 2011   

Ancora da sdilinquirsi al naso, i riflessi floreali puntano ad alleggerirne la pienezza fruttata, lasciando presagire una maggiore propensione al dialogo, instradata da ricordi di humus, cola e menta. Bella consistenza in bocca, senza lordure o sopravanzi alcolici. Avvolgente ma reattivo, polposo ma senza svenevolezze, nella sua veste levigata e abbracciante si staglia come un buon conseguimento in rapporto al millesimo.

Monteti 2010

Già al naso ti inchioda all’ascolto: fresco, complesso, vibrante, balsamico e minerale. Bel contrasto gustativo en bouche: in lui ritmo, dinamismo e progressione. Intenso, lungo, saldo e sostenuto, senza sfocature né ridondanze, ha il passo giusto per conquistare il futuro.

Monteti 2008

Buon amalgama qui, e assai particolare peraltro. A fargli le pulci potrai rimproverargli cenni più evoluti rispetto alla media, ma quanto a portamento non è secondo a nessuno. Flemmatico e nobilmente compassato, dissimula la pienezza di forme in un sorso sciolto e chiaroscurale. I suoi profumi, grazie all’evoluzione tutto sommato “propositiva”, si portano appresso una capacità di dettaglio intrigante, che ti fa guardare lontano. Sì, un Monteti diverso, trasfigurato negli umori dalla particolare annata tanto da ricordare un Sangiovese (pensa te!), ma non per questo meno attraente.

Monteti 2007

L’evidenza fruttata e la configurazione aromatica concedono qualche chance di troppo alla staticità. Insomma, non hai la sinuosità e il grip delle altre annate, e c’è una punta selvatica a screziare il quadro dei profumi. Però, sia pur mancando della finezza e della tensione attese, una salutare freschezza di fondo non lo infiacchisce. Resta un sorso a cui manca il conforto di un disegno più flessuoso e a cui il tempo ha rallentato i movimenti rispetto alla prim’ora, ma la morbida avvolgenza del tratto gustativo non ha abbandonato i lidi della piacevolezza.

Monteti 2006

A due velocità. Lì per lì ne percepisci la ricchezza, la presenza scenica e l’intensità. Ciò che nei primi momenti di aerazione gli fa perdere qualcosa in nitidezza, soprattutto ai profumi, da quando la composizione di frutti neri maturi sembra non riuscire ad alimentarsi di sottodominanti diverse, per rendere cangiante la melodia. Cambia passo se lo bevi, lì dove un’acidità perfino viperina e un tannino refrèchissant gli consentono di recuperare in snellezza e vibrazione. La trama sterza sull’agilità, svelando un frutto croccante e una beva più ariosa, contrastata e sottile.

Monteti 2005

Introspettivo, a suo modo tenebroso ma affascinante. Profondo il quadro dei profumi, da che ti aspetti sempre un sottotraccia in più, un pertugio ulteriore ad aprire varchi emozionali nuovi. Nell’attesa non ti stufi: frutti neri, liquirizia e spezie ne annunciano il profilo fresco e roccioso, dichiaratamente balsamico e austero, solo screziato da una venatura amaricante sul finale di bocca, ciò che ne incrina l’equilibrio svelandone -forse- l’imperfetta maturità tannica.

Monteti 2004

Peperone, terra, menta e cuoio disegnano lo spettro aromatico più “bordolese” dell’intera compagine. Mi piace la consistenza tattile, e mi piace la tenuta all’aria, anche se quel finale non possiede la scioltezza e la chiarezza espositiva attese. La tonicità di questo primogenito però è confortante, e la capacità di dettaglio sottende una maturità espressiva che non ti verrebbe proprio di associare ad un vigneto “in fasce”.

Tenuta Monteti – Via della Sgrilla, 6 – Capalbio (GR) – tel. 0564.896160  www.tenutamonteti.it

Degustazione effettuata nel mese di maggio 2016

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FERNANDO PARDINI

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