Hermitage Stube, una stella nel cielo di Campiglio: racconti di ottimo cibo e grande vino

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Hermitage-002Il Trentino rappresenta una meta turistica importantissima e un territorio dall’enorme vocazione agroalimentare e vitivinicolo, con una lunga lista di produttori di qualità, nonché materie prime e prodotti enogastronomici di altissimo livello. All’interno di questo particolare spaccato del nostro Paese, Madonna di Campiglio (TN) è indubbiamente un luogo a cui sono affezionato, dove abitualmente trascorro le mie vacanze estive, dove mi sono sposato e dove “albergano” i miei amici e testimoni di nozze, Giovanni e Chiara, imprenditori con la catena Effehotels e quindi titolari a Campiglio dello storico Hotel Spinale e del suggestivo Cristal Palace Hotel.

A loro devo un’esperienza sensoriale avvincente ed emozionante che ha visto coniugare, in un connubio ideale, l’eccellenza della ristorazione del territorio e la pregevolezza dei prodotti locali, unendo il tutto ad un fantastico viaggio enologico che ha accompagnato una deliziosa cena in uno dei locali cult di Campiglio: il ristorante gourmet Hermitage Stube.

DSC_0515Il locale, ricavato da una tipica “stube” dei primi anni del ‘900, all’interno del Bio-Hotel Hermitage che si affaccia sulla splendida panoramica delle Dolomiti di Brenta, regala un’atmosfera calda e confortevole, elegante e familiare. Le venature del legno massiccio di abete e un sottile aroma di cirmolo, trattati esclusivamente con cera d’api, creano i primi contatti con i sensi di chi entra, accolto dal sorriso rassicurante dei proprietari, Giacomino Maffei e sua moglie Edda, che costituiscono il cuore del locale. L’anima è invece in cucina, una cucina che nel 2008 (con altro staff) ottenne per prima a Madonna di Campiglio la stella Michelin, ma che oggi si rinnova con l’entusiasmo e l’estro dello chef Giovanni D’Alitta, lucano di origine, cosmopolita di formazione, con una forte impronta mediterranea e una predilezione per la cucina internazionale. Questa è stata un’altra felice intuizione della famiglia Maffei, capace di dare continuità al livello qualitativo del loro ristorante, ma anche nuova linfa creativa, in una fase di transizione che non tarderà certo a recuperare presto all’ambita stella.

DSC_0514Entriamo accompagnati dai nostri anfitrioni e conosciamo subito Edda, che con un sorriso abbacinante di accoglie e ci mostra il suo regno, offrendoci come benvenuto la vista mozzafiato dalla terrazza del ristorante. Poi ci accomodiamo in sala, respirando quel buon odore di legno trattato, osservando i dettagli di arredo perfetti per il luogo e la mise en place curata ed elegante, ascoltando i racconti di Giacomino che da subito dimostra la sua grande passione per quello che fa e percependo quel sordo “ovattamento” che l’ambiente sembra creare, come a mettere al sicuro la quiete degli avventori ricreando la stessa pace che dona la profondità delle montagne.

Sul tavolo la prima sorpresa, un menù degustazione personalizzato per noi, con tanto di foto e dedica da parte dei nostri testimoni che, con questa cena, vogliono celebrare il nostro anniversario e rinnovare la nostra amicizia; impagabili. I nostri omaggi sono altresì inadeguati, ma fra questi ce ne è uno che non deluderà la serata: un Gravner Anfora Breg 2006.

Iniziamo con un benvenuto a base di verdure disidratate da accompagnare con un consommè di funghi, poi una entrée di finger food che da subito mette in chiaro che tipo di serata ci aspetta, solleticando il palato con consistenze e fragranze variegate, tra alici ripiene e caviale di limone, cialde di anguria e parmigiane scomposte, crostini con crema di barbabietole e altre delizie sfiziose e intriganti. L’antipasto che segue pulisce la bocca con una insalatina aromatica a base di erbe di campo e fiori, panna acida e pane di Matera, egregiamente composta, a partire dalle diverse tipologie di pane lucano rigorosamente home-made.

DSC_0055Il Breg ci accompagna solido e fluido, imperturbabile da qualunque fragranza si voglia accostarvi per una incredibile duttilità di abbinamento che è solo sua e che lo rende idoneo a qualunque tipo di pietanza, perché estraneo a ogni schema, a ogni stereotipo, a ogni teoria di abbinamento precostituita. Degustato già un anno fa, accostato a succulente fiorentine, questo magistrale assemblaggio di sauvignon, pinot grigio, chardonnay e riesling italico, affinato in giare di terracotta interrate per sette lunghi anni, ha regalato ancora una volta emozioni e piacevole sconcerto nel ritrovare ad ogni sorso quello stimolante intreccio di fragranze, ricche di sfumature: tra il floreale e il fruttato, tra i fiori e la scorza d’arancio, in bocca anche disidratato, tra la dolcezza di morbidi petali e l’acidità di croccanti nespole, in un abbraccio speziato composito e aromatico che completerebbe qualunque piatto.

DSC_0517Lo centelliniamo, mentre le signore pasteggiano con uno Champagne dalla veste rosa cipria che purtroppo non ho avuto l’intelligenza di assaggiare e appuntarmi, ma dagli sguardi e dai sorrisi di chi mi stava accanto ho capito che si trattava di qualcosa di notevole. Io e Giovanni, coinvolgendo il patron Giacomino che sa di vino quanto di ristorazione, riusciamo a condurre il Gravner sui primi piatti: tortelli di lepre in pasta ai mirtilli con spuma di cipolla e poi risotto ai gamberi rossi con ciccioli croccanti e schiuma di mele. Sul primo resto a bocca aperta per la costruzione avvolgente dell’impalcatura gustativa, coerente e morbida, succulenta e ghiotta per quanto raffinata. Sul risotto, che inizialmente temevo di aver “rovinato” posticipandolo ai tortelli, alzo bandiera bianca: la complessità del piatto mi rapisce, l’amalgama è straziante per contrasti aromatici e di consistenze, boccone dopo boccone lo finisco e mi accorgo che ha pulito completamente la bocca dal primo di carne … e una lacrimuccia di commozione fa capolino.

DSC_0059Purtroppo il Breg esala la sua ultima goccia e l’idea di un rosso per approcciare le seconde portate si fa strada nei nostri cuori. Giovanni sceglie con un guizzo di genialità uno Chateauneuf du Pape Vieilles Vignes 2008 di Tardieu-Laurent, ma dopo uno struggente approccio olfattivo, una volta decantato, l’assaggio ci rivela tratti di ossidazione che lo rendono purtroppo inadatto alla cena. Mi sono documentato e in effetti la 2008 non è stata proprio la sua migliore annata; a questo punto, Giacomino Maffei sfodera dalla sua pregiata e ricca cantina un Bordeaux per farsi perdonare dell’incidente, mentre le signore virano su un più rassicurante Pinot Nero di Franz Haas. Così a noi, uomini duri, tocca lo Chateau Giscours – Margaux 2006.

E’ un blend di Cabernet Sauvignon (60%), Merlot (32%), Cabernet Franc (5%) e Petit Verdot (3%), in un armonico connubio di fragranze, tannini, spinte acide, spigolature e smussature che arrivano prima al naso con note di frutta rossa matura, polposa e dolce, accompagnate da nuances floreali di viola e terziarie di tabacco da pipa, pepe bianco e torrefazione. L’affinamento di circa un anno e mezzo in botti di rovere a grana fine e media tostatura, per il 50% nuove e il resto di secondo passaggio, conduce al palato un prodotto perfettamente equilibrato, dove i tannini, seppur ben levigati, offrono sostegno al piatto di carne, mentre la complessità e l’acidità contendono alle sofisticate dinamiche gustative del piatto di pesce il predominio del palato. A sorpresa emergono note erbacee e terrose, fra le trame fruttate di ribes nero e amarena, che ne snelliscono la linea e lo lanciano verso un futuro ancora in evoluzione, mentre il tessuto eterogeneo delle fragranze post-beva ne definiscono l’aristocratica silhouette riconducibile all’età. Personalmente, e chi mi legge da tempo lo sa bene, non sono proprio un filo-bordolese, anzi, la Borgogna e le Langhe si contendono le mie preferenze, ma un delicato ritorno balsamico, con note di liquirizia, cuoio e caffè, senza sbavature smaltate o di concia, confermano una tenuta perfetta e una prospettiva ancora enorme per questo cioccolatoso Margaux, chiudendo il respiro dopo la deglutizione e avvolgendo egregiamente il boccone delle seconde portate e strappando la mia piena benedizione.

DSC_0062Salmerino in crosta di lardo e salsa alle mandorle è il piatto di pesce, mentre per la carne lo chef propone una composizione di maialino di cinta senese con bok choy, barbabietole e salsa all’arancia. Il salmerino è lavorato in modo strepitoso, arricchito e nobilitato da sapori e consistenze contrastanti tra loro, ma magicamente complementari. Il maialino, preparato in tre tagli con testina, pancetta e polpa, trova il suo apice nella testina, che si scioglie in bocca e avvolge il palato, con i sapori di accompagnamento che completano l’estensione espressiva del piatto, dove il cavolo cinese (bok choy) sposa benissimo l’acidità della salsa all’arancia … e rimpiango un po’ il Breg per la curiosità di un altro accostamento.

DSC_0063Il pre-dessert è un sorbetto al peperone e basilico con cialda al parmigiano, ottima azione sgrassante per il palato, che apre la strada al dessert vero e proprio, una composizione che ha avuto il pregio di stupirci dopo un percorso sensoriale che pensavamo ci avesse già spogliato di tutte le sorprese possibili: semifreddo al rabarbaro con gelatina di yogurt acidulo, spuma di sedano e sorbetto ai fichi. Un viaggio a parte, che ha rapito ogni senso e spento ogni barlume di resistenza all’amore verso questo luogo, che certamente torneremo a frequentare per puro piacere. In chiusura, veniamo coccolati con una piccola pasticceria da urlo che descrive una geniale quanto godibile declinazione di cioccolati, accompagnati dal giusto distillato, e un’eccellente proposta di tisane che ha letteralmente conquistato l’ala femminile della tavola. DSC_0066Il locale dispone anche di un Cigar Lounge, che non mancherò di frequentare al prossimo passaggio.

Encomiabile il servizio del maître di sala, estremamente professionale e pronto a ogni richiesta, ma soprattutto la conduzione di Giacomino, fine narratore di una cena e un anniversario indimenticabili, ma soprattutto amabile spalla per chi si siede in questo ristorante per lasciarsi andare ad una sinestesia sensoriale che ti porti via dal mondo reale e ti conduca tra cielo e terra, sospeso fra le Dolomiti, imbrigliato da profumi, sapori e consistenze capaci di rigenerarti nell’emozione.

L’immagine dell’ingresso è stata tratta dal sito www.altissimoceto.it

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Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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