Forse pochi sanno che cosa si nasconde dietro la sigla Mab. Ebbene, le riserve Man and biosphere dell’Unesco rispondono all’esigenza di preservare e custodire le zone che costituiscono un intreccio di diversità biologiche e culturali, sostenendo anche chi, nella pratica, si accolla questo difficile lavoro. E candidata a diventare Mab Unesco è un’ampia regione dell’Appennino tosco emiliano, una linea di confine montuosa e boschiva, e quindi meno assoggettabile alle semplificazione che la modernità ha inflitto alla campagna attraverso l’estensione delle colture intensive. Un margine in cui combaciano Garfagnana, Lunigiana, Casentino dalla parte toscana, parmense, modenese e reggiano da quella emiliana. Luoghi che, grazie forse proprio alla loro complicata “selvaticità”, si sono ritrovati ad essere origine e provenienza di una concentrazione impressionante di eccellenze enogastronomiche: oltre 60 fra Dop e Igp, grazie anche al lavoro eroico di chi ricerca e preserva antiche varietà vegetali e razze animali.
A passare dall’astrazione di una pur prestigiosa burocrazia ad una solida pratica operativa ci ha pensato un valente gruppo di contadini, allevatori, artigiani dell’enogastronomia di qualità, i quali hanno avuto la bella idea di associarsi in un gruppo chiamato Rural, che si è messo in mostra quest’anno prima nella sua “sede” emiliana di Parco Barboj, in località Rivalta di Lesignano de’ Bagni, per poi far tappa in Toscana, precisamente a Gaiole in Chianti, borgo nel senese al cuore del Chianti Classico.
E percorrendo il piacevole Corso, prima di arrivare al clou enogastronomico, giungeva un primo segnale forte: il bellissimo disco di legno che fungeva da espositore per la incredibile varietà di frutti coltivati dai vivai Belfiore, che dalle colline fiorentine in zona Lastra a Signa da anni studia testi, viaggia per l’Italia e per l’Europa al fine di catalogare e coltivare una sterminata varietà di frutti (il catalogo in Pdf è sul loro sito). E soprattutto, quello che impressionava, e in qualche modo immalinconiva pensando agli scaffali dei mercati che frequentiamo ogni giorno, era constatare quante diverse qualità esistono per ogni varietà. Una moltitudine di fichi, pere, mele, susine, agrumi, ciliegie, pesche, compresa la varietà piatta che si conosce sotto il nome di tabacchiera, ma che è la Platicarpa originaria della Sicilia. L’interesse verso le varietà antiche di frutti è giustificato naturalmente dai loro sapori, ma anche dalla loro resistenza e quindi dalla limitata necessità di manutenzione da parte di un contadino “amatoriale”.
Ma era entrando nell’area dedicata all’enogastronomia che si comprendeva subito come la custodia della biodiversità coincide sempre di più con il ritorno a varietà antiche, che per fortuna molti -in realtà- non hanno mai abbandonato. Sono antichi i grani Inalettabile, Sieve e Andriolo coltivati da Il poderino bio di Figline Valdarno; il grano Miracolo e l’orzo Leonessa dai quali Claudio Grossi, stavolta da Lesignano de’ Bagni, ricava un buonissimo pane bicolore, ed il Gentilrosso di Marilena Colombini di Case Gatti a Salsomaggiore. E’ antico il mais Formenton Ottofile del Molino di Piezza a Lucca, e sono antiche la patata rossa di Cetica del Podere Casaccia a Castel San Niccolò (compatti e profumati gli gnocchi in assaggio) e quella Quarantina Bianca dell’alto Appennino parmense dell’azienda Ortigiani Illica, a Bedonia, come anche il Pomodoro riccio di Parma (Centrale della Frutta, Traversetolo), la Cipolla Borettana dell’omonina assiciazione e la prugna Zucchella di Andrea Artoni, ottima per farne confetture dall’inconfondibile dolcezza naturale.
E poi sono antiche le razze dei maiali neri di Rosa dell’Angelo di Traversetolo, naturalmente quelli di Cinta senese (Willy Cruciani da Cipressi in Chianti, zona Radda), è antica la pecora cornigliese di Ettore Rio da Monchio delle Corti, e il tacchino di Parma e Piacenza di Angela Frati dell’azienda Monticello di Fidenza, il pollo valdarnese bianco di Laura Peri da Montevarchi, la capra Garfagnina de Il Caprile di Carrara e la pecora massese di Giancarlo Mossetti da Tavarnelle.
Il tutto poi è trasformato e riassunto mirabilmente, per esempio, dai casari della famiglia Avanzini della Agricola Iris Rivalta a Lesignano de’ Barbi, che realizzano il “Pioniere“, un formaggio che a differenza del Parmigiano prende forma esclusivamente dalla mungitura della mattina, risultando più grasso e pastoso; ma soprattutto da Real Pasta, che proponeva in assaggio, in brodo di cappone, stratosferici tortellini emiliani tirati con farina di grani antichi, uova di gallina romagnola, carne e parmigiano da latte di vacca rossa romagnola mescolati a carne di maiale nero.
Né potevano mancare, naturalmente, le antiche cultivar di oliva, come l’olivastra seggianese o le uve autoctone sia dall’Emilia (il fortano del Taro, la termarina) che dalla Toscana, dove un apporto fondamentale viene anche dalla “blasonata” Badia a Coltibuono con i suoi pugnitello, sanforte e fogliatonda.
Ma l’antico si salda al nuovo, anzi al futuro: quello dei bambini coinvolti in giochi istruttivi e che scherzano con gli animali di cui apprendono le razze, accompagnati dai grandi che assaggiano e poi, perché no, ballano allegramente. Viva la biodiversità dell’Appennino!