Un tranquillo weekend nella Champagne/parte prima

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pianta EguisheimA dire il vero la prima tappa del lungo viaggio in macchina è stata Eguisheim, piccolo e carinissimo paese medievale nel cuore dell’Alsazia. Una sosta quasi obbligatoria per la bellezza del paesaggio e per le specialità enogastronomiche locali, su tutti il foie gras e i particolari vini dalla bassa gradazione e dal residuo zuccherino che può spaziare dal secco al trockenbeerenauslese (passito). Arriviamo a metà pomeriggio di un giovedì ottobrino, giusto in tempo per assaggiare i vini di una piccola azienda biologica a conduzione familiare: Domaine Brobecker. Le basi 2015 di riesling e pinot grigio vanno giù che è un piacere, merito di un residuo zuccherino basso che, unito alla rinomata acidità dei vini alsaziani, li rende particolarmente beverini. I due assaggi risultano moderati nelle espressioni gusto-olfattive, con il riesling più floreale e fruttato rispetto al pinot grigio più minerale e dalle note idrocarburiche più evidenti. Salendo di livello il Pinot Gris 2011 Grand Cru Eichberg affascina con i profumi fruttati – pesca in particolare – di fiori bianchi, tostature e di una netta speziatura; in bocca è corrispondente e ben equilibrato, l’acidità agrumata riesce a mitigare una dolcezza mai stucchevole; bene la persistenza. Il Gewurztraminer 2014 Grand Cru Pfersigberg è più intenso nei profumi, molto fruttato – albicocca soprattutto – e floreale – specialmente di sambuco – oltre alle apprezzabili note minerali e idrocarburiche; in bocca è ampio, la profondità non manca ma l’acidità meno incisiva e il finale tendente all’amaro ne pregiudicano l’ottima partenza. Finiamo con il Pinot Gris 2009 Vendanges Tardives Grand Cru Eichberg: le note dolci di zucchero di canna e caramello surclassano il fruttato e anche l’acidità non riesce ad alleggerire il carico, in generale mi delude un po’. Va detto che i vini assaggiati provenivano da bottiglie già aperte, chissà da quanto tempo.

case tipiche alsazianeVelocissimo passaggio anche da Emile Beyer: tre i vini assaggiati, praticamente sulla porta, dallo stile piuttosto diverso dai precedenti per una secchezza ed un’acidità citrina quasi tagliente. Peccato non aver avuto tempo di approfondire la conoscenza di questo domaine.

Cena a Colmar al ristorante Jy’s, due stelle “micheline” lungo i canali della “petite Venise”. Location, arredamento e mise en place in linea con il livello, mi ha disturbato invece il servizio, troppo solerti a riempire i bicchieri e ben oltre il dosaggio corretto. Anche il menù degustazione, seppur ottimo a poco più di sessanta euro per quattro portate – senza contare amuse bouche, pre dessert e pasticceria finale – l’ho trovato un po’ troppo fusion per l’uso intenso di ginger, lemon gras e curcuma. Probabilmente scegliendo alla carta avrei avuto più soddisfazione ma a netto discapito del portafoglio. Carta dei vini interessante ma cara. Comunque merita la sosta.Clos Le Mesnil Krug

Verso l’ora di pranzo arriviamo finalmente nella Champagne, più esattamente a Le Mesnil sur Oger nella Côte des Blancs, uno dei diciassette comuni classificati grand cru, sinonimo di chardonnay di classe. Qui incontriamo Julien, giovane e simpatico ragazzo dalle idee piuttosto chiare e ambiziose per il suo futuro: nell’intento di diventare chef de cave di qualche importante maison sta facendo esperienza con vari stage in diverse aziende. Per nostra fortuna e piacere ci accompagnerà per due giorni tra cantine e ristoranti. Prima di iniziare le visite vere e proprie facciamo un pellegrinaggio al piccolo appezzamento del mitico Clos du Mesnil di Krug, quasi due ettari di vigne tenute da manuale nel bel mezzo delle abitazioni del paese.

coop. tini 1Partiamo dalla Cooperativa di Le Mesnil, ultimo luogo di lavoro di Julien. Dire impressionante è dir poco, le dimensioni dei locali e la pulizia complessiva ci hanno lasciato di stucco. Visitarla nel pieno dell’attività sarebbe stato più interessante ma anche “in solitaria” è stata un’esperienza particolare: con tutte quelle file interminabili di presse e tini in acciaio scintillante, nastri trasportatori automatizzati, depositi di bottiglie (piene) infiniti pareva quasi di stare nell’Area 51 dello champagne! Da sottolineare che buona parte della produzione va a rimpinguare quella totale dei più noti nomi che si trovano nella grande distribuzione, facile che una delle bottiglie comprate al supermercato contenga proprio lo champagne prodotto lì. Inoltre, parte della produzione torna ai conferitori che poi etichettano in proprio, c’è dunque il rischio che, passando da un piccolo produttore all’altro, si assaggi il solito champagne semplicemente “vestito” diverso. Per evitare queste sgradite sorprese occorre fare attenzione a cosa è scritto nella contro-etichetta, alle varie sigle riportate per legge, ad esempio scegliendo gli “R.M.”, acronimo di “récoltant-manipulant” ossia coloro che vinificano personalmente solo le proprie uve, si va sempre sul sicuro.

Pit stop culinario al La Gare, vecchia e piccola stazione ferroviaria dismessa e riadattata a ristorante. Cucina tipica, solida, accompagnata immancabilmente da una buona scelta di bollicine. Un Blanc de Blancs Cuvée de Réserve di Pierre Peters, produttore locale ammirato per lo stile pulito ed elegante dei sui vini, ci sgrassa piacevolmente il palato.

Moncuit 1Nel primo pomeriggio entriamo da Robert Moncuit, giusto di fronte al ristorante. Ad accoglierci è il nipote Pierre Amillet, dal 2000 alla guida della piccola maison: otto ettari grand cru di chardonnay curati maniacalmente secondo i principi più rispettosi della natura. Idem in cantina. Il primo champagne mi dà da pensare… se questa è la base dove arriveremo?! Il Brut, dal dosaggio di otto gr/l, è il solo a fare un anno di legno prima di sostarne tre sui lieviti. Al naso è intenso, frutta esotica, agrumi e minerale marcati da un legno evidente. In bocca è rotondo, strutturato e corrispondente, l’acidità citrina dona freschezza e agevola la beva. Piuttosto persistente anche nei sentori “legnosi”. Direi tutt’altro che l’identikit di prodotto base.

Il secondo vino proposto è la Cuvée Extra, prodotta secondo il “metodo solera” in uso nella Champagne, ossia con vini di riserva di più anni conservati in una o più botti dalle quali viene prelevato parte del contenuto per la produzione annuale e poi rabboccato col vino dell’ultima vendemmia. Questa Cuvée porta con sé il patrimonio dei vini di riserva dal 2006 al 2012 ed è prodotta in circa novemila bottiglie. Il registro dei profumi rientra nei canoni a me più cari, dove la frutta esotica, gli agrumi, il floreale, la crosta di pane e il minerale si fondono in una soave armonia. Anche al palato è corposo e succoso, il perlage finissimo e l’acidità mantiene la giusta tensione. Chiude non particolarmente lungo per una leggera astringenza finale.

Moncuit-Pierre AmilletArriviamo ai millesimati: il Millésime 2008, circa cinque anni sui lieviti, esprime una bella frutta bianca e gialla – anche disidratata – ma è il minerale, lo iodio, che colpisce. In bocca è ben strutturato, ampio e corrispondente, con un deciso nerbo acido agrumato. Molto persistente, finisce sulla frutta matura e ritorni minerali. Un vino ancora giovane, già godibilissimo, ma dal futuro spettacolare. Il 2006, più maturo e pronto, è una gioia dei sensi: al naso la frutta è più tendente a quella secca (mandorla), il pane è speziato e si avvertono anche le tostature. Bocca profonda e molto minerale, più elegante e austera del precedente. Sul finale ancora i piacevoli ritorni ossidativi. Bell’esempio di pulizia e precisione. Concludiamo con uno champagne, se possibile, ancor più identificativo del terroir: Les Chetillons 2008. E’ frutto delle sole uve dell’omonima parcella, una delle più pregiate poiché il suolo è costituito quasi esclusivamente di gesso. Il naso è fine, giocato essenzialmente sui sentori minerali e sulle note fruttate di agrumi e mela verde, più sottili la crosta di pane e la frutta secca. Al palato è vibrante, di grande mineralità. Ricordi di pasticceria salata e leggera speziatura. L’acidità è ai massimi livelli (fermentazione malolattica non svolta). Berlo ora è un peccato, col tempo l’evoluzione regalerà emozioni al momento solo accennate.

MondetLasciamo la Côte des Blancs per andare a Cormoyeux nella Vallée de la Marne, un piccolo paesino ubicato sotto lo sguardo vigile della vicina abbazia di Dom Perignon d’Hautvillers. I coniugi Line e Laurent ci accompagnano all’interno della maison Mondet: undici ettari ripartiti tra i tre vitigni classici dello champagne, 350.000 bottiglie messe a dimora nei magnifici tunnel scavati a trenta metri di profondità nel terreno gessoso per circa duecento metri, nove le etichette prodotte. Bellissimi i fossili che affiorano qua e là nelle volte scavate a mano.

Tutti gli champagne sostano sui lieviti almeno trentasei mesi e alcuni arrivano anche a sette anni. Iniziamo con il Brut Nature – 65% pinot meunier, 20% pinot noir, 15% chardonnay prodotto con le riserve del 2008, 2009 e 2010 – un vino dai profumi equilibrati, fruttato con prevalenza di agrumi, note erbacee e di lievito delicate. In bocca è corrispondente e fresco, la bollicina fine e la discreta acidità citrina lo rendono molto beverino. A seguire il Brut Tradition, 80% pinot noir e 20% chardonnay, con otto gr/l di dosaggio. La maggioranza di pinot noir si fa sentire, al naso è più vinoso, alla frutta bianca si aggiungono sentori di mandorla tostata. Al palato è rotondo, armonico ed elegante; media l’intensità e la persistenza. Non manca la vena acida a stimolare la beva. Saliamo di livello con il Brut Prestige Millésime 2009 – 60 chardonnay, 20% pinot noir, 20% pinot meunier – almeno cinque anni sui lieviti e un dosaggio di undici gr/l. Naso elegante e complesso, alla frutta matura (nespola specialmente) si accompagna la frutta secca, il miele si spalma su un cantuccio di pane ben cotto, i fiori gialli incoronano una fine speziatura. Al palato è corrispondente, equilibrato, potente e fresco al contempo. La vena minerale e l’acidità citrina donano una buona profondità e persistenza.

mondet fossileFinita la scaletta ufficiale, tra una chiacchiera e l’altra vengono stappate altre tre bottiglie. Il Brut Fût de Chêne – 40% chardonnay, 30% pinot meunier, 30% pinot noir con dosaggio di circa sei gr/l – viene affinato in grandi botti di rovere nuove. Al naso le tipiche note del legno – tostatura, vaniglia, speziatura varia (cannella in particolare) – dominano sul fruttato e il floreale. Anche in bocca questi sentori si avvertono nella parte iniziale e finale dell’assaggio, nel mezzo invece è più vinoso. Ampio e strutturato riesce a mantenere una buona freschezza grazie alla discreta acidità. Personalmente non adoro questa tipologia di champagne ma gli amanti del genere sapranno apprezzare. Passiamo al Brut Rosé – 50% chardonnay, 25% pinot meunier, 25% pinot noir con dosaggio di undici gr/l – ottenuto con l’aggiunta di un po’ di vino rosso di pinot noir da vecchie vigne. Il colore è di un bel rosa tendente al salmone, una gradazione che soddisfa l’occhio in una categoria piuttosto varia e dagli estremi molto opposti. Mondet-Laurent e LineAl naso si apre delicato su note di pan brioche, di fragoline di bosco e altra piccola frutta rossa, poi agrumi e leggere spezie dolci. In bocca è più dritto, si ritrova tutta l’acidità della piccola frutta rossa e degli agrumi, tratti minerali e una bella freschezza complessiva. Chiudiamo con il Brut Intense – 80% pinot meunier, 20% chardonnay con dosaggio sei gr/l – praticamente un millesimato 2011. La bottiglia attira l’attenzione per l’insolito color blu del vetro. Si apre su frutta gialla, esotica e di agrumi in primis, poi lieviti, leggero tostato e una tenue vaniglia. In bocca è fragrante, con una buona mineralità e sapidità a dare vigore. Sporadici cenni vinosi non alterano l’equilibrio e la freschezza complessiva. Apprezzabile la persistenza.

La prima giornata “champagnotta” si conclude con una bella cenetta casereccia, per gentile invito di Line e Laurent, rigorosamente a base di vini francesi rossi d’antan.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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