

MONTALCINO (SI) – L’attesa fremente riservata alla edizione 2017 di Benvenuto Brunello era dovuta al fatto che già da tempo si rincorrevano voci insistenti circa la straordinaria (inattesa?) qualità della vendemmia 2012, una vendemmia che in tutto il resto della Toscana, peraltro, non aveva sortito meraviglie. Per cui il primo incontro -esteso, probante, significativo- con i Brunello di Montalcino 2012 non ha fatto altro che richiamare “attenzioni millanta” nei tanti e tanti giornalisti e degustatori accorsi alla kermesse, e fatto schizzare a mille le premure di un ascolto attento, quanto mai motivato a decifrarne, di quei vini, vizi e virtù.
E così, bicchieri alla mano, possiamo ben sintetizzare che abbiamo riscontrato una sostanziale coerenza con ciò che è emerso dalle altre denominazioni storiche toscane: non è stata l’annata delle meraviglie. E aggiungiamo pure che egual coerenza abbiamo riscontrato nel pensare quelle bottiglie figlie legittime di quel millesimo, che anche a Montalcino è stato segnato da una “lunga estate calda”.
Domanda d’obbligo: sono quindi individuabili dei leit motiv sensorial-organolettici caratterizzanti la performance complessiva? A mio parere sì. Integrità fruttata messa a dura prova, trame dalla tendenza dolce, avvolgenza più che tensione. Soprattutto però, una dote tannica “affilata” e non sempre matura, concausa di vini apparsi non di rado in debito di profondità e di persistenza. Il tratto gustativo accomodante e “dispiegato” poi, se da un lato ha stimolato e garantito una subitanea sensazione di piacevolezza, dall’altro forse non ci consentirà di dormire sonni così tranquilli sul versante del potenziale di longevità. Questo, tanto per togliersi il dente, è il bicchiere mezzo vuoto (e l’impressione mia).
Per cui, date certe premesse così intrinsecamente legate all’andamento stagionale, rendere proprie e leggibili doti quali INTEGRITA’ AROMATICA, PROFONDITA’ e “PORTAMENTO” (sì, il Brunello ha da avere “portamento”, e signorile nobiltà) non deve essere stato facile. Eppure più d’uno ci è riuscito, e ci è riuscito talmente bene da farti scomodare i concetti laicamente santi di naturalezza e sincerità espressiva.
Semmai, rispetto alle ultime vendemmie, abbiamo notato un gap più sensibile, in termini di qualità e bellezza, fra i conseguimenti più riusciti (davvero centrati, davvero molto buoni, ma non così numerosi come in altre occasioni) e il gruppone dei vini “di mezzo”, buoni sì ma non sempre all’altezza di una nomea divenuta ormai planetaria, con tutto il sotteso di aspettative, logiche di mercato, tentazioni speculative e prezzi in ascesa. Insomma, mai come oggi si è bevuto meglio a Montalcino, e mai come oggi da Montalcino ci si attende sempre il massimo, sempre di più!
Un altro aspetto ormai assodato, e che questa vendemmia non ha fatto altro che confermare, è la ritrovata ispirazione, da parte dei produttori, nel disegnare traiettorie stilistiche “classiche”, riscoprendo l’importanza della misura. Davvero residuali, infatti, i casi di Brunello “sradicati”, ostentativi od erosi dalla voglia matta di dimostrare sempre e comunque una sbandierata ed inconcludente presenza scenica. E questo, dobbiamo ammetterlo, resta sempre un bel vedere.
I più ostinati lettori si chiederanno allora: ma questa annata di Brunello è meglio o peggio, chessò, della 2011 o della santificata 2010, tanto per riferirci al recente passato? Premesso che ogni millesimo gioca comprensibilmente una partita a sé, qualora dovessi sforzarmi di scorgerne delle affinità o delle differenze, dico che rispetto alla insidiosa vendemmia 2011 ( l’insidia la si legga anche dal fatto che non sono state poi tante le cantine che hanno prodotto Riserva 2011) qui il temperamento alcolico appare più bilanciato, più integrato, sortendo in generale una migliore bevibilità. Indi per cui, presumibilmente, una migliore versatilità nell’accostamento ai cibi e alla tavola. Di certo però i picchi, la stratificazione tannica, la profondità gustativa e la dinamica interna dei 2010 appaiono approdi inavvicinabili ai più.
Ma ecco qua, tratteggiate in tre puntate, le impressioni di un giorno o due alle prese con quasi tutto lo scibile targato Brunello 2012. Le ho disposte in stretto ordine alfabetico, con il grado di immedesimazione da leggersi fra le righe, in base alle parole o ai silenzi. E siccome mi avevano imposto di cominciare dal numero 72, non vi sorprenda il fatto che la speciale ed infinita sequenza faccia capo alla lettera S.
SALVIONI LA CERBAIOLA
Scorza altera ma bel contrasto e reattività. Si gioca con alti parametri -lo senti- ma la sapidità appartiene alla terra e non te la inventi. I tannini, nel frattempo, incidono senza incupire; c’è una energia fortissima a percorrerlo da cima a fondo. Distintivo e personale.
SANLORENZO – BRAMANTE
Buona dolcezza di frutto, buon componimento, senza graffi, focalizzato. Rende una idea di purezza. Al gusto conserva tono, ampiezza ed equilibrio. Davvero interessante, a sancire una crescita di personalità che non puoi tacere. Non più.
SAN POLO
Traspare una buona attitudine a compensare l’esuberanza del frutto e le circuizioni del rovere. L’abbraccio, tutto sommato, è gradevole e proporzionato. Con il fondo leggermente salato in grado persino di rialzarne le sorti espressive.
SANCARLO
La ricchezza del frutto si ammanta di un coté balsamico e di una leggibile vena di freschezza. In bocca è polposo e diffusivo. L’indole verace suggerisce il piglio artigianale della manifattura, incanalandosi entro uno sviluppo dal gusto carnoso e saporito, convincente per schiettezza e temperamento.
SANTA GIULIA
Se ai profumi cerca la via del sottinteso, regalando sfumate sensazioni di sottobosco e spezie, al palato emerge il lato suo più irrisolto, che lascia per strada le ragioni dell’eleganza per incaponirsi in un finale dagli accenti alcolici, dal tatto rugoso e dai ritorni amaricanti.
SASSODISOLE
La timbrica del sottobosco lascia presagire capacità di dettaglio e una certa predilezione per la snellezza, ma la trama gustativa progressivamente si “restringe” e si incrudisce, solcata da un tannino irrigidente.
SCOPETONE
Il rovere commenta, insinuando dolcezze senza strafare, il disegno mantiene ordine e il gusto è compatto. Tende semmai a spalmarsi sul palato, senza offrirti il grado di contrasto atteso. I registri espressivi richiamano comunque tipicità, il tannino integrazione.
SCOPONE
L’assetto incerto dei profumi fa il paio con un gusto dalla prevaricante tendenza dolce. Un po’ farraginoso, il sapore tende a fuggir via grazie all’asciuttezza di quel finale.
SESTA DI SOPRA
Frutto & calore, volume e consistenza: sono attributi che non mancano, ma che in questa annata non trovano forse l’atteso contraddittorio nel fatidico cambio di passo, ciò che spesso gli appartiene. Largo e avvolgente, reattività ed allungo latitano un po’.
SESTI
I profumi riconducono immediatamente allo stile Sesti, grazie alle suggestioni silvestri, speziate e minerali, incanalate in un quadro dai registri leggermente evoluti. Il tratto austero eppure contempla contrasto e sapidità, scontando soltanto una dote tannica non perfettamente integrata, che in questa fase irrigidisce il finale rendendolo più rugoso.
SOLARIA – PATRIZIA CENCIONI
Rotondo, morbido, dai contorni boisé. La spinta fruttata, in evidenza, tende a coprire i dettagli e a rendergli un incedere “pacificato” ed accomodante. Insomma, non propriamente reattivo. Non come suo solito, perlomeno.
SIRO PACENTI – PELAGRILLI
L’integrità e la fragranza aromatica abitano questo bicchiere, ma è un bicchiere a due facce. Tanto seducente ai profumi quanto affusolato ed “aguzzo” al gusto, da quando senti restringersi i pertugi per via del carico tannico in esubero, nonostante le infusioni di freschezza.
SIRO PACENTI – VECCHIE VIGNE
Qui ariosità, respiro, eleganza e nitore. La croccantezza fruttata, il raffinato quadro dei profumi, il ritmo e la progressione accolgono e fanno proprie le ragioni della scioltezza, instradate da un bel contrasto sapido. Davvero buono, davvero centrato.
STELLA DI CAMPALTO – RISERVA (campione in affinamento)
Fresco e puro al naso, che quasi si libra. Trama saporita, elegantissima, succosa e profilata; brillante il finale, di marca sapida. Invidiabile naturalezza espressiva, bella nudità.
TALENTI
Il prezioso dettaglio aromatico annuncia un gusto tipico, fruttato e molto piacevole, per il quale non fai fatica a scomodare termini quali compiutezza. Ad una tattilità così sinuosa e levigata poi, poco importa del buffetto alcolico che fa capolino nel finale.
TENUTA BUON TEMPO
Colore e frutto rendono talmente bene l’idea della gioventù da concretizzare un coté visivo ed aromatico persino inusuale alla tipologia. Al gusto è compatto ma brevilineo, senza che riesca ad acquisire un sotteso di complessità.
TENUTA CROCEDIMEZZO
Di questo vino mi piace il profilo affusolato, senza ridondanze o sovrastrutture. Mi coinvolge meno l’assetto aromatico, non esente da screziature ed impuntature. Nel frattempo, sviluppo centrato ma piuttosto essenziale.
TENUTA DI SESTA
Ferroso e leggermente “esotico” ai profumi (sentori di pesca, papaya), la coltre alcolica non gli impedisce di profilarsi alla ricerca delle migliori sfumature, soprattutto floreali, nel nome della chiarezza espositiva. Ciò che trova adeguato pendant in un bocca scorrevole, flessuosa e di media complessità.
TENUTA LA FUGA
Le sensazioni della prim’ora sembrerebbero indicare la strada della classicità, ma c’è qualcosa di evoluto nell’aria. Emerge infatti un tratto “prugnoso”, con la progressione che va a spegnersi in fretta.
TENUTA LE POTAZZINE
Timbro classico, di bacca e pietra, terra e alloro. Non ancora le rifiniture semmai, con l’alcol che si affaccia nel finale. Ma se per la distensione val la pena attenderlo, ne apprezzerai fin da subito la compattezza e l’integrità, governate da una dichiarata naturalezza espressiva.
TENUTE SILVIO NARDI
Colore pimpante e “giovanile”. Sul frutto, cordiale, accomodante senza risultare statico, si presenta in un assetto più da Rosso che da Brunello, acquisendo così, se non complessità, una spigliatezza gradevole, con il dono dell’equilibrio.
TERRE NERE
L’aura di naturale selvatichezza di cui si veste questo bicchiere non sembra possedere le armi giuste per controbilanciare una sensazione di fondo piuttosto evoluta, da cui emerge un disegno disadorno, dagli accenti autunnali.
TIEZZI – POGGIO CERRINO
Sia pur non nitidissimo (certe velature aromatiche non sai se siano conseguenza diretta della fase evolutiva o di una bottiglia non perfettamente a posto), recupera un tono più elegante e definito al palato, rivelando succosità, bilanciamento e una vena salvifica di freschezza. Le leggere asciugature non disperdono il sentimento di fondo, che annuncia e ribadisce sincerità.
TORNESI
Generoso nelle forme, ruspante nei sapori, non riesce ad assumere connotati che richiamino il concetto di eleganza, mentre lo sviluppo gustativo, nella sua lenta motilità, concede fin troppi spazi alla dolcezza.
UCCELLIERA
Timbrica “scura” di spezie e catrame, meno severa ed intransigente che in altre occasioni. Emerge un buon carattere e un temperamento fiero, terragno, senza moine. Buon contrasto, chiusura più rigida e contratta.
VAL DI SUGA
Affascinante declinazione sul tema del sottobosco, a cui non mancano ariosità e “senso del territorio”. Vi respiri una buona trama insomma, ispirata dai dettagli speziati e minerali. Solo nel finale sembra cedere il campo ad una “voce” tannica piuttosto intransigente.
VASCO SASSETTI
Una suggestione fruttata matura ma senza sbavature, una certa naturalezza espressiva, un disegno pulito che ne pone in rilievo succosità e misura. Nel proseguo invero si corruga un po’, scoprendo un tannino e un’acidità ancora da fondersi.
VENTOLAIO
Un Ventolaio “formoso” questo qua, che disattende la proverbiale fisionomia affusolata che siamo soliti riconoscergli per presentarsi in una veste carnosa, calda e materica. Buona la diffusione del sapore, così e così la tensione, con il rovere ancora da smaltire.
VILLA AL CORTILE
L’aspetto più apprezzabile è la mancanza di ostentazioni. E la propensione per la sfumatura. Nel senso che pulizia e piacevolezza ne innervano le trame, meno evidente semmai è la caratterizzazione, la reale forza espressiva.
VILLA LE PRATA
Senso del dettaglio ed estrazione calibrata (a ribadire il nuovo corso stilistico) propiziano continuità, profilatura e leggibilità in questo bicchiere. Niente male, perché non avrai magari l’espansione delle meraviglie, ma esce un buon sale.
VILLA POGGIO SALVI
Precisione, un certo garbo e buona integrità aromatica. Non la complessità semmai, con l’alcol che emerge nel finale, a “diradare” il sorso.
VINI ITALIANI DA SOGNO – CARILLON
Stilisticamente apprezzabile, introverso, un po’ avaro di sapori, piacevole. Sviluppo piuttosto brevilineo però, anche se non si fa mancare una eco sapida a ringalluzzire le trame.
VINI ITALIANI DA SOGNO – LA TOGATA
Il manto alcolico non contribuisce a dar profilatura al sorso e a renderne chiari i dettagli. Il sapore però rammenta uno stile “classico”, solo un po’ indefinito. Chiusura asciutta, pragmatica.
VINI ITALIANI DA SOGNO – SECONDA STELLA A DESTRA
Decisamente boisé, con rilievi di ciliegia confit, è vino impattante e a trazione anteriore. Delle tre etichette presentate da Vini Italiani da Sogno, forse quella meno originale, stilisticamente parlando.
To be continued…..
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