Gin made in Italy: un nuovo vanto nazionale

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cattura-gin-2Italiano, artigianale, biologico, a chilometro zero. Alzi la mano chi ha pensato al gin!  Eppure stiamo assistendo ad un fenomeno che ricorda – per dinamiche – quello che è successo con le birrerie artigianali qualche anno fa. Il gin made-in-Italy, nato da un movimento un po’ underground di sperimentatori e novelli speziali, è diventato in poco tempo un vanto nazionale: le etichette sono ormai decine, ciascuna con la sua storia, la sua tecnica di produzione, le sue botaniche (termine con cui si indicano nel complesso le spezie, le erbe, le bacche e fiori usati per aromatizzare). Prodotti, in alcuni casi assai esclusivi, che stanno conquistando nicchie di mercato sempre maggiori, sia bevuti lisci che sull’onda della moda dei cosiddetti premium drink, cioè quei cocktail tradizionali riproposti e miscelati con distillati di altissima qualità. Acquista così nuova luce un prodotto storico, che in realtà non ha  mai conosciuto crisi, mantenendo nei secoli schiere di consumatori fedeli: “corroborante” popolare e “coraggio liquido” prima, simbolo di mondanità poi, grazie ai numerosi e leggendari miscelati a cui fa da base (i nomi Martini Cocktail, White Lady, Gin&Tonic, Tom Collins vi dicono qualcosa?).

Codificato come “curativo” universale da un farmacista olandese a metà del 1600, giunge in Inghilterra e grazie alle potenti flotte mercantili dei due stati si diffonde in tutto il mondo. A metà del Settecento il gin – sia nella versione Old Tom, più dolce e ispirata allo stile dei “tulipani”, che in quella London Dry, modello universale più secco e fruttato – è già il superalcolico più diffuso tra il popolo inglese, che non potendosi permettere il whisky, e men che meno i raffinati brandy e cognac degli odiati vicini francesi, se lo produceva in casa, con metodi rudimentali e materie prima d’occasione. Nascono in quel periodo le prime distillerie industriali e nei secoli successivi il gin – bevuto liscio o come base da miscelazione – si impone come bevanda planetaria.

bacche_ginepro2Secondo tradizione è ottenuto dalla distillazione di cereali, principalmente grano e segale, “insaporiti” con piante aromatiche, suddivise, sui testi storici, in erbe e spezie. Non esiste una prescrizione precisa: il numero di botaniche rimane infatti a discrezione del produttore, che può includere a suo piacimento fiori, piante, frutti e vegetali, per personalizzare la ricetta in modo originale, sia dandogli una vocazione fortemente territoriale che selezionando piante rare sparse per il mondo. Unico punto fermo è ovviamente la presenza del ginepro (da cui il nome), anche se ci sono ingredienti come le scorze di agrumi, la liquirizia, alcune erbe di macchia mediterranea, che ritornano frequenti nei gin di ogni latitudine.

Banalizzando un tema che meriterebbe ben più spazio, possiamo ricondurre i processi di lavorazione a tre filoni principali:

 

  • quello più “nobile” basato su svariate tecniche di distillazione delle botaniche in infusione alcolica (“a caldo”, “a freddo”, separata per ogni “ingrediente” con successivo blending, etc…). Si parla, in generale, di London Dry Gin, che non è una denominazione di origine ma un metodo di produzione replicabile ovunque. Le variabili in gioco sono infinite: oltre a quantità e qualità dei botanici, il risultato cambia a seconda del tipo di alambicco usato, della tecnica di distillazione, della gestione delle temperature, dei tempi di infusione. Per principi botanici molto delicati (soprattutto fiori, che temono le “cotture”) si usano spesso piccoli alambicchi, detti fiorentini, storicamente utilizzati per ottenere le essenze dei profumieri. Ultimamente si sono diffusi anche alambicchi sotto vuoto o “a freddo”, che favoriscono il passaggio dell’alcol abbassandone la temperatura di evaporazione e consentendo un’estrazione più controllata e delicata.
  • se post distillazione voglio aromatizzare o “colorare” il mio gin con ingredienti particolari, difficili da distillare, allora si parla di “distilled gin”: gardenia, zafferano, cetriolo, lampone o petali di rosa sono solo alcuni esempi di “insaporitori” molto in voga, capaci di “firmare” il prodotto finale con uno stile unico e riconoscibile.
  • Infine, quello più fatto-in-casa dell’estrazione (o cold compound), tecnica che consiste nella macerazione delle erbe botaniche in uno spirit neutro (per esempio la vodka) in modo che l’alcol ne estragga le essenze (in pratica, una sorta di busta da tè in soluzione alcolica). Questo metodo iper-artigianale, che oggi sta tornando di moda, nacque all’epoca del proibizionismo americano, quando clandestinamente si maceravano le erbe officinali nella vasca da bagno colma d’alcol (da cui il cosiddetto bathtub gin). Il risultato è un gin torbido e “colorato”, in cui è normale trovare particelle in sospensione e residui.

Quello del gin made-in-Italy è un movimento esploso solo negli ultimissimi anni, ma il legame tra il nostro paese e i distillati/liquori di ginepro è di lunga data. Sono molte le tradizioni locali (in Piemonte, Toscana, nel Nord Est o in Sardegna, tanto per fare degli esempi) che lavorano con l’alcool questa bacca. D’altronde il ginepro italico è considerato universalmente il migliore al mondo (senza contare la liquirizia e gli agrumi, altri ingredienti tipici del gin…).

Nuove etichette spuntano ogni giorno, sempre più originali ed intriganti: quelle più interessanti hanno in comune un’estrema sensibilità nella scelta e nella coltivazione diretta delle botaniche (che, quando sono “di campo”, hanno ovviamente tutta altra fragranza e aromaticità, con il pregio per altro di poter essere colte nel loro “tempo balsamico”, ovvero nella finestra in cui esprimono al massimo queste loro caratteristiche).  Qui di seguito una piccolissima selezione di alcuni gin tricolore che vi consigliamo di provare: come consumarli? Lisci, “on-the-rocks”, solo con ghiaccio e una fettina di lime o limone, per apprezzarne tutte le sfumature, oppure creando dei veri e propri abbinamenti aromatici con le tante acque toniche oggi in commercio.

Se poi vi dilettate nell’arte della miscelazione, beh, con questi gin i vostri cocktail saranno davvero esplosivi!

Dolgin – Zu Plun
St. Valentino-Siusi (BZ) – Tel: (+39) 335 6009556 – Mail: info@zuplun.it

bottiglia_dolginIniziamo dal nord. Florian Rabanser è un maestro distillatore altoatesino. Oltre a gin realizza grappe, acquaviti e perfino un originalissimo e quotato rum. Piccole produzioni ma di qualità estrema, frutto di un approccio perfezionista che gli è valso numerosi riconoscimenti internazionali. Nel suo “gin delle Dolomiti” impiega 24 botaniche diverse, tutte selezionate o coltivate sul posto con l’aiuto di un amico farmacista, messe in infusione separata in alcool di cereali e a cui aggiunge la scorza di limoni del Garda, ottenendo un equilibrio di sapori perfetto. Il suo progetto, messo a punto in un paio d’anni, era chiaro fin dall’inizio: creare un gin fortemente territoriale, di montagna, senza l’utilizzo di piante “forestiere” e diluito con acqua pura di sorgente. In bocca sembra di sentire le Dolomiti: fresco, balsamico, netto, deciso come le montagne da cui prende origine. In bocca è morbido e persistente, con una nota resinosa di pino e un finale amaricante dove spicca la radice di genziana.

Fred Jerbis Gin
Polcenigo (PN) – Tel: (+39) 340 7581743 – Mail: lab@fredjerbis.com

_mg_6177-as-smart-object-1E’ forse il gin italico più “estremo”. Sono ben 43 le botaniche utilizzate, molte di origine bio, per una “ricetta” che ha richiesto quasi 5 anni di prove e aggiustamenti. L’ideatore si chiama Federico Cremasco (da cui Fred in etichetta, mentre Jerbis significa erbe in friulano), apprezzato barman e docente di mixology friulano. Alla base del suo approccio una continua ricerca e sperimentazione, che si traduce nella cura quotidiana delle piante, quasi tutte coltivate in prima persona: un dialogo incessante con la natura da cui cerca di estrarre ogni essenza, ogni sfumatura, riportandole in un prodotto inebriante e davvero unico. Il colore è paglierino/dorato, dovuto principalmente all’infusione con lo zafferano. All’olfatto sono evidenti, oltre alle classiche note balsamiche, rimandi agli agrumi, alla lavanda, ai fiori d’arancio. Al sorso si presenta complesso, stratificato, coinvolgente, con continui rimandi alle diverse erbe che lo compongono.

Giniu e Pigskin – Silvio Carta
Zeddani (OR) – Tel: (+39) 0783 410314 – Mail: info@silviocarta.it  

giniuAzienda storica, attiva da più di mezzo secolo, che offre un’ampia gamma di prodotti distillati, vini fortificati e liquori, tra cui la tradizionale ed inimitabile Vernaccia. Elio Carta, figlio del fondatore, ha rilanciato il mito del Giniu, il gin sardo, che dal dopoguerra fino agli anni Sessanta era di gran voga nell’isola, da sempre terra famosa per le sue macchie di ginepro. Oltre alla purezza del frutto, la caratteristica distintiva del gin sardo è la salinità, dovuta alla vicinanza delle piante al mare e al “vettore” maestrale che porta il sale sulle bacche. Un prodotto nuovo e dal gusto più morbido è il Pigskin (nome scherzoso dovuto ad un fortuito incontro con cinghiali durante la ricerca di botaniche), ottenuto da un maggior numero di botaniche – tra cui elicriso, lentisco, salvia e, ovviamente, mirto – e affinato nelle centenarie botti di castagno utilizzate dall’azienda per l’invecchiamento della Vernaccia. Il passaggio in legno è appena percepibile al naso, e contribuisce a rendere il sapore più morbido e dolce.

Solo Wild Gin e Doro Aged Gin – Pure Sardinia
Sassari (SS) – Tel: (+39) 393 9835425 – Mail: puresardinia@tiscali.it   

solo-wild-ginFlavio Porcu è mente e corpo di questa originale produzione artigianale sarda, che si cimenta anche in vodka, vermouth e ovviamente mirto. Tutto rigorosamente ed orgogliosamente made-in-Sardinia. “Solo” perché il suo gin è realizzato distillando le bacche di un unico ingrediente, il ginepro. “Wild” a richiamare il fatto che tutte le bacche sono raccolte da piante spontanee dell’isola, senza coltivazioni indotte. Concentrato, persistente, resinoso e balsamico: è un gin “selvaggio”, per i duri e puri. Una preziosa variante è il Doro, dal gusto più morbido e variegato, grazie all’aggiunta di botaniche locali e ad un invecchiamento di un anno in botti di castagno. Il colore tende al dorato. L’odore è complesso, molto fine, in cui le note dolci e tostate del legno incrociano quelle resinose e balsamiche, mix gradevole e ben avvertibile anche in bocca.

Z44 Gin – Roner
Termeno (BZ) – Tel: (+39) 0471 864015 – Mail: info@roner.it

z44-ginDistilleria trentina che coniuga quantità a qualità, ben nota agli appassionati, soprattutto per le sue grappe e i suoi distillati di frutta. Di recente ha iniziato la produzione di questo gin molto particolare, mettendo a frutto la lunga esperienza locale nella produzione di kranebet, un liquore di ginepro di lunga storia. Qualcuno lo ha definito un “mari e monti”, perché unisce gli aromi balsamici e montuosi delle Alpi, con alcune botaniche tipiche come le pigne di pino cembro o la radice di genziana, alle note agrumate e mediterranee del ginepro e dell’arancio. La lavorazione, come ci si può aspettare da un’azienda così altamente qualitativa, è impeccabile, col risultato di portare nel bicchiere un distillato di assoluta purezza, pulito e fine, con molteplici rimandi a questa sua duplice anima. In bocca la parte resinosa/balsamica è netta, con un finale in cui predomina la freschezza delle note erbacee e mentolate. Un gin davvero convincente ed originale.

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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