La Schiava della Cantina di Caldaro: vino contemporaneo e di prospettiva

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caldaro-1La Schiava sta all’Alto Adige un po’ come lo speck e lo strudel: è sempre stato il vino simbolo, quello quotidiano e dell’amicizia, eccellente sia bevuto come aperitivo, leggermente freddo, che come spensierato compagno a tutto pasto. Se, già dal nome, sembrava destinato a un ruolo di comparsa, sta invece vivendo oggi un ruolo da primattore, insieme a molti altri vitigni “minori” tornati in auge. Che il mood della bevuta abbia virato decisamente verso vini più leggeri e facili da bere, non attanagliati da durezze o gradazioni alcoliche fuori scala, non lo scopriamo certo adesso.  E pare se ne sia accorto anche qualcuno che conta un pochino più di noi, come sintetizza bene Fabio Rizzari qui: contrordine-amici-i-vini-hanno-da-essere-naturali-e-poco-alcolici.html

In tal senso la Schiava, con la sua godibilità immediata, i suoi profumi eleganti, la versatilità gastronomica e lo slancio gustativo delle migliori espressioni, rappresenta il prototipo del vino contemporaneo.

Logo_SWMa che questo stuzzicante rosso possa sfidare il tempo e regalare bellissime sorprese a distanza di anni, beh, almeno io l’ho toccato davvero con mano durante una recente degustazione organizzata da Kaltern (Cantina Sociale di Caldaro) a Roma, presso il ristorante La Ciambella. L’iniziativa promozionale, organizzata dalla Thurner-pr,  fa seguito all’originale tour in tandem che i Pirati del Kalterersee organizzarono lo scorso anno portando i loro vini in degustazione itinerante da Caldaro, il paesino in riva all’omonimo lago in provincia di Bolzano, giù fino a Capri. Questa volta il canale di comunicazione è stato quello più canonico della degustazione guidata abbinata a piatti della tradizione locale. Ma, come già accennato, non sono mancate le sorprese.

A Roma la storica cantina sociale Kaltern – oggi l’unica del comprensorio di Caldaro che, con i suoi 700 soci e i quasi 500 ettari vitati, raccoglie praticamente i due terzi dell’intera produzione locale – si è presentata con la consolidata accoppiata composta da Tobias Zingerle (amministratore delegato) e Andrea Moser (enologo).

L’obiettivo dichiarato era quello di dimostrare che l’autoctono altoatesino per eccellenza – anche se oggi relegato ad appena il 15% del totale dei vitigni regionali, a favore di varietà bianche più richieste sul mercato – ha la potenzialità di esprimere più di quello che lo stereotipo impone, confermando la sua proverbiale versatilità a tavola e rivelando insospettabili doti di “maratoneta”.

kellerei-kaltern-schiava-caldaro-caldaroLe versioni di Kalterersee in degustazione, tutte annata 2016, erano tre: Classico Superiore, Leuchtenberg (Selezione) e Pfarrhof (Cru). Il Classico esprime l’anima più schietta e autentica della Schiava. Il Leuchtenberg nasce da vigneti selezionati e da una cernita più severa delle uve, che si manifesta solitamente attraverso un’acidità più spiccata e una maggiore pienezza gustativa. Il Pfarrhof proviene dalla selezione dei vigneti più vocati nella zona di St. Joseph.

Kalterersee (Lago di Caldaro) Classico Superiore 2016.
E’, come da aspettative, un vino lineare e di facile beva, tutto giocato su delicatezza e freschezza. I profumi sono quelli tipici, dal lampone alle fragoline di bosco, dalla ciliegia alla mandorla appena sgusciata. In bocca scende giù con facilità, senza “scalini”, succoso e dinamico. Vino semplice e preciso. Abbinato ad un’ottima porchetta di Ariccia, ha aperto le danze con grande dignità.

Leuchtenberg Kalterersee (Lago di Caldaro) Classico Superiore 2016.
E’ il vino del primo trittico che mi ha maggiormente convinto. Più intenso e ciliegioso al naso, ma anche più fine ed elegante, è in bocca però che cambia passo: il sorso è decisamente più ricco, sapido e completo, anche se mantiene quella agilità e quella freschezza che cerchi nella tipologia. La chiusura è persistente, pura sul frutto. Anche qui, perfetto l’abbinamento con un tonnarello alla gricia.

Pfarrhof Kalterersee (Lago di Caldaro) Classico Superiore 2016.
Era il vino più ambizioso ma non ci sono entrato in sintonia. Il colore è più carico, il naso con un frutto più concentrato e con una speziatura più dolce e intensa. La bevuta è piacevole, rotonda e saporita, con un finale lungo e fruttato anche qui. Ma giudicato dal lato emozionale non mi ha portato nel mondo della Schiava come gli altri due. Forse va aspettato un po’, soprattutto alla luce di quello che è accaduto poi nei vini che hanno completato il percorso di una sera…

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Il primo trittico alla cieca
Non riceviamo alcuna indicazione ma si comprende dai sorrisi di Moser e Zingerle che c’è sotto qualche scherzetto.  Il primo vino è piuttosto carico, sia al colore che al naso. Ha una speziatura e una balsamicità evidenti e un frutto maturo in bocca. Non lo riconosco subito, ma non mi fa pensare ad una Schiava. Il secondo è molto elegante, intenso, con piccoli frutti rossi e neri in evidenza. In bocca attacca fresco e netto, con un sorso snello e pieno al tempo stesso, e un finale succoso. Mi piace molto. Il terzo per me è inconfondibilmente Pinot Nero. Non sono un esperto di Borgogna, purtroppo, ma non so perché il mio naso riconosce il pinot nero a distanza siderale! Comunque l’ho trovato un po’ più “ruffianello” degli altri, ma senz’altro piacevole e seducente.

Alla fine si scoprono le carte: in sequenza abbiamo un Morgon Rouge, un Pfarrhof Kalterersee e un Mercurey Premier Cru di Bouchard Père & Fils, tutti del 2015.  A dimostrazione che anche in termini di eleganza e complessità la Schiava può sostenere illustri confronti!

Il secondo trittico alla cieca
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Ormai credevamo di aver capito le regole del gioco: tre vini, tra cui beccare il Kalterersee. Affronto allora il primo e rimango folgorato! Intrigante, di grande fascino, con un profilo olfattivo maturo ed elegante. In bocca è snello, con un’acidità di frutto ancora viva, sapido e buonissimo. Si capisce che ha qualche annetto sulle spalle ed alcuni azzardano un Nebbiolo del Nord Piemonte. Io non mi sbilancio e dico solo che è un grande vino. Sul secondo torno con la mente un po’ al Pinot Nero, anche se non con la convinzione del turno precedente. Ha un tannino abbastanza pronunciato e una speziatura evidente, per cui non credo sia Schiava. Il terzo è quello che a primo impatto mi riporta subito a un Lago di Caldaro: fresco, snello, succoso, vellutato e scorrevole, con un profumo abbastanza evoluto e complesso, quindi non giovanissimo.

Si scoprono le carte e qui la sorpresa: sono tutti e tre Pfarrhof: 1997 (!) il primo, 2008 il secondo, 2010 l’ultimo. Come dire: alla faccia del vino semplice e immediato!

Devo scappare prima del gran finale, quello con i Kunst-stuck, i vini imbottigliati in magnum del vitigno che secondo Kallerei Kaltern rende meglio l’anima di ogni annata (e che per il 2016 è stato proprio la Schiava), ma mi rituffo nel traffico romano con tante conferme e una prospettiva tutta nuova con cui guardare a questo piccolo-grande rosso del nord.

(Credits: le foto sono prese dal sito della Cantina di Caldaro e da www.italiaatavola.net  e www.vinodaburde.com )

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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