I vini del mese e le libere parole. Giugno 2017

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baccoEccoci alla seconda puntata della nuova rubrica, il cui titolo è parzialmente (volutamente) ingannevole e apparentemente (volutamente) scontato. Perché in realtà non c’è niente di classificatorio né di irreggimentato qui. Nemmeno le parole. Con cadenza mensile -ecco l’unica concessione all’ordine- vorrei soltanto riannodare le fila dei tanti vini bevuti e non rientrati nell’involucro protettivo di un racconto, di un articolo, di una rassegna o di una visita in cantina.

Attenzione, ho detto bevuti, non degustati. E questo fa una certa differenza! Sono infatti i vini “partecipati”, vissuti e onorati secondo il rituale pagano più credibile di sempre. Nel mio caso, i contesti condivisi, obbligatoriamente condivisi, quelli che possono nutrire i ricordi e smuovere emozioni, permettendosi libere parole. I vini di cui narreremo non sono per forza di cose il meglio che c’è, ma sono stati semplicemente la mia compagnia, il  “secondo sangue della razza umana” di deamicisiana memoria, insieme ai luoghi, agli amici e agli umori. Di tutta questa parvenza di socialità sono stati il tramite, spesso il motore primo. Mi conforta immaginare che possano esserlo anche per chi ne leggerà.

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Trebbiano viti di 60 anni 2016 – Fattoria Montellori

trebbiano-vecchie-viti-montelloriDi come l’essenza, a saperla ben cogliere, possa sfatare i più immarcescibili luoghi comuni, e di come una presunta ovvietà possa partorire fierezza.

In questo caso tutto sembrerebbe congiurare a favore di disimpegno. Così è per il tipo di bottiglia prescelto, di vitrea trasparenza; così è per l’etichetta, la cui geometrica linearità instilla un senso di tecnica allure al prodotto e la cui essenzialità di fondo quasi rifugge la legittima esigenza di fornire quelle informazioni di dettaglio che una storia del genere meriterebbe eccome. Mettete pure in conto il probabile pregiudizio, tipico del solone-bevitore-di-etichette e dell’enosnob, nell’apprendere che si tratta di un bianco della Toscana interna, come a dire di Fucecchio. E metteteci pure l’influenza del nome trebbiano, inteso dai più come preistoria agronomica.

Metteteci tutto questo, poi però bevetelo ‘sto Trebbiano, e allora vedrete che la prospettiva cambia: la diafana trasparenza di una bottiglia, l’understatement di un’etichetta, la nomea incerta di un vitigno,…. tutto passa in subordine, fino a non contare più. Perché questo vino, lo senti, non è figlio del disimpegno, ma è un vino vibratile, il cui carattere si esalta e si esprime in un gusto dinamico, dove le tracce varietali si insinuano in una trama che non ammicca e che si fa vanto di una concretezza espressiva, così come di una acidità portante. Ha un passo che non gli daresti, un passo che ti meraviglia, ecco cosa ha, probabile conseguenza del lavorio sommerso dei vecchi ceppi sessantenni.

Abbinato alla gustosissima girandola di entrée che ci ha accolti e coinvolti nel tempio viareggino della cucina di mare, che di nome fa Romano, non ha battuto ciglio e ha rilanciato da par suo con la disinvoltura di un attore consumato, di quelli che buttano l’anima in scena, tanta l’interiorità. Di quelli a cui basta un gesto.

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Mitterberg Bianco Planties Weiss 2016 – St. Quirinus

planties-weiss-st-quirinusLa prima volta che mi ritrovai a Pianizza di Sopra, nei pressi di Caldaro, non fu per i vini o per i vignaioli, fu per una pizza. Strano a dirsi, ma andò così. Pensa te, una pizzeria d’autore in tempi non sospetti! Di più: una pizzeria d’autore in Alto Adige, non a Mergellina! Come se non bastasse, in un luogo appartato e collinare, tutto men che semplice da rintracciare. Una papabile eresia gastronomica, verrebbe da pensare, associata peraltro ad un nome freddo come un suffisso, a metà strada fra una imprecazione fumettistica e la sigla di una sedicente organizzazione extraparlamentare: GAMS. Così si chiamava (adesso, purtroppo, non c’è più).

Eppure il passa parola “carbonaro” era troppo fitto per non avere ragione di esistere. Bene, mi innamorai di quel posto e della sua esclusività, e mi colpì la passione che muoveva le idee dei talentuosi giovani sposi (lui al forno, lei in sala). Per quanto ho potuto, ho sempre cercato di onorare la presenza ogni volta che mi trovavo a passare da lì. Ad attenderci, uno sfizioso menu degustazione “tutta pizza”, cangiante come le stagioni, nobilitato da ingredienti selezionati, mai ovvi, su su fino alla pizza-dessert. Una vera goduria!

Oggi mi ritrovo (idealmente) a Pianizza di Sopra in compagnia di un vino che proviene da lì, a poca distanza dalla vecchia pizzeria di cui vi dicevo. Il nuovo talento mi era stato annunciato dalle ultime trasferte altoatesine e da certi caratteriali Kalterersee bevuti vista lago. Aromera, johanniter e bronner, invece, non sono farneticazioni linguistiche, si chiamano così i vitigni che compongono la palette di questo intrigantissimo bianco prodotto da Robert Sinn nella sua St. Quirinushof.

Vitigni cosiddetti “resistenti”, frutto di incroci fra piante di vite differenti effettuati nel corso degli anni (ed elaborati soprattutto in Germania) per creare cultivar immuni alle principali malattie, nuovo orizzonte ampelografico per una nicchia di vignaioli pensanti che hanno scelto strade alternative e green per indagare su nuove potenzialità e nuove vocazioni. A St. Quirinus questi vitigni, insieme ad altri anche a bacca nera, alimentano una produzione eclettica e ispirata. Quel che più conta, una produzione in grado di trasmettere gli stimoli del terroir declinandoli in modo personale, senza rimasticati cliché.

Il Planties Weiss ti inchioda all’ascolto, questo fa. Per incisività, suadenza aromatica e droiture. Evidente la matrice territoriale, illuminata a giorno da una tensione vivissima, da un nitore cristallino e da una bevibilità a prova di bomba. Il bouquet floreale, con i rilievi di pesca matura, è seduzione pura; accarezza sensi e memoria per riportarmi d’incanto ai fasti del GAMS, quando era una curiosità ingenua e potente ad indicarci le rotte e a farci invaghire della diversità.

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Alto Adige Val Venosta Riesling Windbichel 2013 – Unterortl Castel Juval

castel-juval_logoQui è dove si esaltano le peculiarità di una terra, per svelarne i gangli espressivi in un vino “definitivo”. Le rocce affioranti e lo gneiss, le altitudini estreme (750 metri), le pendenze mirabolanti e le alte densità d’impianto, l’esposizione propizia per prendere più sole possibile, le notti che picchiano giù duro grazie alle fredde correnti provenienti dalla Val Senales: ogni più piccolo umore, di quel microclima e di quei suoli, lo risenti tutto nel bicchiere di Windbichel. Una razza a sé, questo Riesling frutto di raccolte tardive e di acini maturi.

Dalla preziosa verticale di un giorno, alle prese con le ultime 4 annate in commercio (2015, 2014, 2013, 2012), il 2013 è emerso per compiutezza, luminosità, spinta salina e superiore dinamica. E per prospettiva, mi verrebbe da dire, dal momento in cui l’evidenza giovanile non fa che ammiccare ad un futuro radioso. E’ stato come bere “spremuta” di gneiss. E se MINERALE resta una parola tabù, io oggi altri aggettivi non ho.

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Châteauneuf-du-Pape Rouge Signature 2012 Domaine La Barroche

domaine-la-barrocheQuintessenza di un Mediterraneo orgogliosamente sanguigno e viscerale, nella sua spirale ipnotica resta impressa una rotta speciale, innervata dai sentori pepati della grenache, dalla garrigue, dal sangue e dalla pierre à fusil: innervata dal SAPORE. Emblematico, coinvolgente, generoso e masticabile, la sua pienezza miracolosamente “sfina” in un sorso dinamico e progressivo, dolcemente cullato dall’abbraccio alcolico. Grazie a questo incontro, so già dove mi porterà il mio prossimo viaggio ad Avignone.

Un tempo, per dare respiro a giovani tasche abitate da portafogli smilzi, il privilegio e lo sforzo economico di sedersi ad uno dei tavoli del celebre Grangouisier di Rue Galante (oggi sostituito, credo, da Ici et d’Ailleurs), portava con sé il contrappasso di un limite invalicabile, quello del bere, obbligandoci a dirottare, nel migliore dei casi, su una mezzina. La mezzina di un Mont Redon Rouge senza infamia e senza lode è stata sopravanzata nei ricordi dalla sublime ed eterea consistenza di una brandade de morue come dio comanda. Bene, la prossima volta mi farò grande scegliendo Barroche: le suggestioni, di sicuro, troveranno nuovi equilibri.

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Mosel Riesling Graacher Domprobst Himmelreich Auslese 2007 – Willy Schaefer

shaefer_-graacher-domprobst-ausleseElogio alla leggerezza, e alla cristallina perfezione di un equilibrismo circense, lì dove tutto si libra e si tiene sopra il filo teso dell’armonia.  Acidità e dolcezza come maritate, senza fardelli gravitazionali. Una dolcezza buona, invitante, mai stucchevole. E una profondità minerale che conforta e insegna. Un “vino-aliante”.

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Leggi anche: i vini del mese e le libere parole. Maggio 2017

FERNANDO PARDINI

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