I vini del mese e le libere parole. Agosto 2017

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banchetto-fra-amiciEnnesimo appuntamento con la nuova rubrica. Sulle tracce di vini gioiosi, a tratti esaltanti, sempre all’insegna della personalità, dell’originalità e, ovviamente, delle libere parole.

I vini di cui parleremo non sono per forza il meglio che c’è, ma sono ciò che ho incontrato. Sono stati semplicemente la mia compagnia. Insieme ai volti, agli amici, ai viaggi e agli umori. Di tutta questa parvenza di socialità sono stati il tramite, molto spesso il motore primo. Mi conforta immaginare che possano esserlo anche per chi ne leggerà.

 

Frizzante Col Fondo Glera 2015 – Mongarda

mongarda_glera-frizzante-col-fondoTutto questo gran parlare sul Prosecco, con le sue luci roboanti e le sue ombre dissonanti, mi ha sempre appassionato poco. “Se c’è una strada sotto il mare, prima o poi ci troverà”, cantava qualcuno che sapeva pensare. Un vino come questo, che l’amico Massimo Zanichelli, nel suo libro “Effervescenze“, ci racconta provenire da giovani consapevolezze (Martino Tormena, trent’anni, vignaiolo figlio di vignaioli), terroir elettivi (Col San Martino, nella marca trevigiana che conta), vigne pendenti e vecchi ceppi, parla più di tante parole, sovrasta il noise, fa chiarezza e traccia una strada.

Perché non sento odore di omologazione qui, non sento l’ordinario. E d’altra parte non sento nemmeno l’approssimazione, l’abbozzo, la rusticità. Sento l’istintività di un bere amico, quella sì. E una soffice tattilità, una “bolla” garbata, la menta e il fiore bianco, l’agilità. E una subitanea dolcezza di frutto, stemperata in fretta – basta attendere il gioco dei lieviti e dell’aria-  da una montante incisione sapido-minerale, rilevantissima, che profila la trama per renderla eroicamente affusolata, ad instradarne la persistenza.

Nel mio bicchiere di oggi ritrovo l’incanto di una spontaneità senza sforzo, che è anche singolarità, e quindi distinzione. Mi parla di agricoltura pulita e di metodi ancestrali, di rifermentazioni in bottiglia senza sboccatura. Di una tipologia di vino cioé ad uso dei nonni e delle famiglie contadine della marca, che ad un certo punto della storia nessuno si filava più. Sembrava impossibile trovarne uno sbocco commerciale serio. Oggi, nel riallacciare un dialogo affettivo e proficuo con la curiosità degli appassionati più esigenti, rivendica con orgoglio, a partire dall’etichetta, una prerogativa, che è prerogativa di metodo e di sapore: sono vini col fondo, e questo è. “Se c’è una strada sotto il mare, prima o poi ci troverà”.

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Alto Adige Valle Isarco Sylvaner 2016 – Köfererhof

sylvaner-kofererhofCristallino, signorile, di sopraffina eleganza e profonda balsamicità, in lui si esaltano la classe e il respiro del vino autorale. Fra i bianchi 2016 più completi incontrati fin qui, il nuovo Sylvaner di Köfererhof, nel ribadire il talento di Gunther Kerschbaumer, racconta magnificamente le peculiarità della Valle Isarco, un territorio speciale che trova in questo vitigno “asburgico” una delle chiavi di lettura più espressive e caratterizzanti.

Un vino attraente per come può esserlo una raffinatezza, questo è, assolto per merito dagli obblighi derivanti dalla banalità e dalla ostentazione. Dove la nitidezza del tratto assume la purezza dell’acqua di roccia, con la trama giocata in sottrazione, la dinamica incalzante, la beva inarrestabile. Fra poco partirò per l’Alto Adige. Casomai ce ne fosse stato bisogno, questo vino ha contribuito da par suo a stracciare la questione e ad indicarmi la meta.

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Montlouis sur Loire Clos de Mosny 2015  – Domaine de la Taille aux Loups 

clos-de-mosnyMontlouis sur Loire deve molto a Jacky Blot. E’ stato grazie a lui, al suo intuito e alla sua perseveranza, se questo minuscolo territorio “francioso” si è potuto fregiare in tempi assai recenti di una AOC espressamente dedicata, affrancandosi da Vouvray, storica appellation loirese all’interno della quale Montlouis ne aveva sempre costituito una delle appendici.

Ora, si dà il caso che Jacky Blot pratichi e abbia praticato un mestiere speciale, quello di courtier, l’inappuntabile mediatore fra le istanze dei produttori e quelle dei negociants, una figura centrale nella filiera commercial-produttiva d’Oltralpe. Nella sua vita, quindi, ha sempre trattato di e con vini blasonati e grandi cru. Perciò ha potuto osservare, girare, parlare, assaggiare. E rendersi conto di privilegi e potenzialità. Così, quando un approdo apparentemente sentimentale a Montlouis sur Loire, con tanto di famiglia a seguito, si è tramutato in qualcosa di agronomicamente concreto, più d’uno, da quelle parti e non solo, ha iniziato a drizzare le orecchie. Sono nati due Domaines, uno a Montlouis (Taille aux Loups, appunto), dedicato allo chenin blanc, l’altro nel territorio di Bourgeuil, storica culla del cabernet franc.

Di Taille aux Loups mi parlò per primo, qualche anno fa, Thierry Dessauve, celebre critico enologico francese, durante una sua visita in Italia, presentatomi da Fabio Rizzari ai tempi guidaioli. Ricordo che ero reduce da una folgorazione, quella per L’Insolite, l’incredibile Chenin Blanc che Thierry Germain ricava nel suo Domaine des Roches Neuves a Saumur-Champigny e che proprio la Guide Bettane-Dessauve, in quella edizione, aveva incensato premiandolo fra i bianchi dell’anno, trascinando così la cantina nel novero di quelle a tre stelle, massima onorificenza, al fianco di nomi stracelebri e cult che vi immaginerete. Bene, chiesi a Thierry se vedeva altre “luci” brillare in quel territorio, e lui fece il nome di Domaine de la Taille aux Loups. Senza indecisioni. Poco dopo Taille aux Loups, per quella guida, approda ai massimi livelli qualitativi. Un evento rarissimo per una cantina tutto sommato di costituzione piuttosto recente.

chenin-blanc-grappoloA distanza di anni concedo l’atteso lenimento alla mia curiosità, fin qui non ancora appagata. Grazie alle intuizioni e agli acquisti degli amici Stefano e David dell’Enoteca Sergio di Viareggio, che fanno della ricerca senza paraocchi uno dei loro punti di forza, traguardandola soprattutto nell’ottica del fatidico rapporto qualità-prezzo, arrivo ad una etichetta emblematica della gamma: Clos de Mosny, monopole aziendale coltivato a chenin blanc.

Ne è valsa la pena. L’espansione fruttata e l’incredibile profilatura gustativa, con quella vivida tensione scandita dalle note di agrume, e quell’acidità bellissima e portante, aprono ad un finale irradiante e puro, che supera di slancio gli “obblighi” legati alla gioventù e ad un rovere in fase digestiva per farti presagire il futuro, un futuro fatto di portamento, di nobile compostezza, di eloquente espressività.

Caotico 2016 – Barbara Avellino

caotico_barbara-avellinoQuintessenza dell’Oltrepò : turgido, voluttuoso, croccante, vivo, di schiuma generosa e fina, è un rosso polposo a suo modo geniale, certamente estroverso, sicuramente autentico. Frutto dell’assemblaggio di croatina (in maggioranza) e barbera, nessuna rifermentazione qui, ma una presa di spuma in bottiglia durante il completamento della fermentazione alcolica primaria, senza sboccatura. Un vino temerario quindi, figlio di un protocollo inusuale, che trova in questa edizione una speciale accordatura, tutto men che caotica. Lo spirito artigianale della manifattura non offre il fianco a sbavature o ad incertezze. Trasmette semmai una gioiosa fragranza fruttata, di stampo generosamente alcolico. Sì, è un bere “fragoroso” che esalta il territorio da cui proviene, e che ti parla di lui. Un vino vero, e verace, in compagnia del quale ti viene più facile il sorriso.

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Bardolino 2014 – Giovanna Tantini

bardolino-giovanna-tantiniBardolino, inteso come paese, è un gioiellino geometricamente tutt’ammodino che si adagia sulle sponde meridionali del lago di Garda, instillando nel viandante un senso di ordine e di implacabile linearità. E’ una compostezza affezionata alla precisione la sua, che sembra attecchire sulla forma delle cose e sulle persone, quasi a regolarne l’espressività. Qua e là viene opportunamente “scossa” dalle evidenze architettoniche che punteggiano e abbelliscono il centro storico, e che ci riportano ad un Medioevo importante.

Eppure l’aria spulizzita e razionale che vi si respira non si fa mancare le autenticità. Mi sono fermato spesso, in passato, a Bardolino, a margine dei miei Vinitaly. Ci andavo alla sera: il fascino del borgo ne traeva giovamento, da quel taglio di luce. Il rimbombo dei passi sul selciato del lungo lago pareva avesse l’eco incorporata, e in quei momenti lì ti sembrava di essere solo, felicemente solo, con il paese ai tuoi piedi, assorto, in ascolto. Al Giardino delle Esperidi sono sempre stato bene: per la cucina, stimolata da presìdi e golosità slow, e per la carta dei vini, poco avvezza alle ovvietà. Il locale affollato e ciarliero contrastava con quella eco di passi. La vita, lì dentro, riprendeva un suo fluire accelerato ma spontaneo, fatto di relazioni, di sguardi, di bicchieri. Fatto di parole. Bardolino, forse, non è come sembra.

Bardolino, inteso come vino, è lo storico vessillo liquido del Garda veronese. Eccone un’altra, di autenticità. Pensi ai vitigni (corvina, rondinella e molinara, principalmente) e subito ti viene alla mente la Valpolicella; pensi ai risultati e subito ti viene alla mente Bardolino, non altri. E’ bello come, a parità di vitigni, la movenza femminea, il brillante ricamo dei profumi e la delicatezza di trama  conferiscano ai vini di quei luoghi una impronta personale e distintiva, di rosso non rosso, che fa della scioltezza e della versatilità a tavola i suoi punti di forza. La versione classica di Giovanna Tantini mi è sempre piaciuta. Già ne scrissi. Non fa eccezione questo 2014, più essenziale del solito, d’accordo, ma di un dinamismo e di una freschezza che non conoscono limiti. Il frutto puro del ribes e del lampone, la coda speziata, il tratto vinoso dai rilievi gradevolmente amaricanti…. e poi che ritmo, signori. Un piccolo grande Pinot Noir de noantri.

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Barolo Sarmassa 2008 – Brezza Giacomo e Figli

sarmassa-brezzaSono contento di un vino così. Lo incontro di nuovo oggi, a distanza di qualche anno dall’ultimo assaggio, per scoprirlo in splendida forma, finalmente disinvolto come è nel suo dna. Saldezza ed eleganza come maritate, ma di un’eleganza melodiosa si tratta, solennemente pura, governata da una innata naturalezza, con il soffio lieve del tannino ad elevare il finale e la coda sapido-minerale, quella delle grandi occasioni, ad allungarlo. La sua compagnia è un privilegio, tanto quanto quello accordatomi dalla famiglia Brezza ogni volta che mi reco a trovarla. Una compagnia disinvolta, tipica e pura, come i loro vini.

Oreste Brezza, fra i grandi vecchi della vitivinicoltura di Langa, è un appuntamento ineludibile, fosse solo per un saluto. Sai che potrai trovarlo al solito posto, salvo rare eccezioni. E il suo posto si chiama cantina. Lui vive lì, accoglie lì, spesso mangia lì. Grande personalità l’Oreste, dissimulata in un approccio bonario, confidenziale, accomodante, che ti lascia secco per come riesce ad esprimere il sentimento di quei luoghi, con nonchalance, con semplicità, con il sorriso sotto ai baffi (e che baffi!). Nei suoi desideri, ieri come oggi, c’è una terra da preservare contro le tentazioni speculative, una terra che sappia accogliere e nella quale il rispetto, la condivisione e la dimensione umana nei rapporti interpersonali possano riconquistare il posto che gli è dovuto.

Poi c’è Enzo, figlio di Oreste. I vini, in fondo, sono figli suoi. Lui l’anima tecnica cantiniera. Appassionato del proprio lavoro, teneramente introverso, senti che ama la compagnia e la discrezione. Assieme alla sua famiglia, assieme ai suoi vini, ha contribuito a fare di Brezza una istituzione, un punto fermo nel mare magnum di Langa, un approdo abituato al buon senso, alla misura e alla sincerità.

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FERNANDO PARDINI

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