Tre brandy che ti fanno ricredere

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brandy-1L’Italia, lo sanno tutti, è terra da vino. In questo campo, almeno per varietà e originalità, non temiamo confronti. Dal vino, per distillazione, si ottiene il brandy, ricavato per l’appunto dal mosto d’uva fermentato. Eppure, al contrario dei francesi, che sul brandy d’eccellenza – e sui suoi più nobili parenti cognac e armagnac – ha costruito fama e ricchezze, quella italiana è sempre stata una produzione di massa, votata alla quantità più che alla qualità, generatrice di acquaviti anonime, buone per lo più come “ammazzacaffè”. E questo nonostante una scuola di distillazione ed una tradizione in materia tra le più antiche e solide al mondo. Una filosofia produttiva e commerciale che ha funzionato a lungo, per poche grandi aziende, che controllando il mercato facevano affari d’oro. Poi sono cambiate le abitudini, gli stili di vita: i consumatori, sempre più assetati di novità e originalità, si sono allontanati, i fatturati sono scesi, relegando di fatto il povero brandy ad un distillato di serie B.

Ma questa storia non poteva finire così.  Ecco allora che, come accaduto per altri distillati (vedi gin, vodka, etc…), tante piccole produzioni artigianali, talvolta occasionali e a distribuzione prettamente locale, hanno puntato tutto su qualità e originalità, sfornando piccoli gioielli che vale la pena cercare su e giù per la penisola. Ogni regione vanta le sue eccellenze, spesso associate a marchi già noti per la loro produzione di vino e che, avendo ovviamente già a disposizione una buona materia prima, hanno inserito il brandy nel loro portafoglio prodotti; ma ci sono anche tante distillerie “specializzate”, che su questo prodotto hanno scommesso forte, arrivando a competere con le migliori versioni d’oltralpe.

Vi do tre nomi: il primo è probabilmente quello di riferimento per il brandy made-in-italy; gli altri due sono prodotti di nicchia di aziende più note per i loro pregevoli vini ma che, anche in fatto di distillazione, non hanno lasciato nulla al caso.

Villa Zarri, Brandy Italiano – Castel Maggiore (BO)

brandy-villa-zarri-tuttiGuido Fini Zarri in mezzo al brandy ci è cresciuto. Ha vissuto tutta l’epoca della produzione di massa degli anni Settanta/Ottanta, quando, con spirito lungimirante fu tra i primi a intravedere la parabola discendente del mercato.  Decise allora di puntare su un’idea apparentemente folle: produrre un “cognac italiano”, che si distaccasse completamente dal prodotto standard industriale di quei tempi e puntasse invece su materia prima d’eccellenza, rigido discliplinare di produzione e bassi numeri ma altissima qualità.

Oggi, a distanza di 30 anni, il tempo gli ha dato ragione. I prodotti Villa Zarri, ambiti e apprezzati, sono esportati in tutto il mondo. Guido Fini parte dalla materia prima: distilla solo fermentati di uve di Trebbiano emiliano-romagnolo, quello della sua terra, raccolte da vendemmia anticipata per avere neutralità aromatica, giusto grado di acidità e basso grado. Nessuna solforosa aggiunta, perché si combinerebbe col rame dell’alambicco formando solfato di rame. Distilla poi come i francesi, con alambicco Charentaise (tradizionale della regione del Cognac bagnata dal fiume Charente), scaldato a fuoco diretto, con gestione automatica delle curve di temperatura (unica concessione alla modernità). Il processo prevede, come da disciplinare, un doppio passaggio: dalla prima “cotta” si ottiene un semilavorato (circa 30 gradi) che poi in seconda cottura viene portato fino a 72 gradi alcol.

La maturazione avviene solo in botti di rovere francese di 350 litri, sempre seguendo la tradizione del cognac: per 12 mesi in botti nuove, poi botti già usate dove il brandy resta in lenta ossidazione per il resto del suo invecchiamento. Non vengono aggiunti additivi, zuccheri, men che meno caramello: il distillato deve restare al massimo grado di purezza. L’abbassamento di grado, prima dell’imbottigliamento, avviene per diluizione molto lenta e il distillato viene fatto riposare per molte settimane.

La gamma di prodotti Villa Zarri soddisfa ogni palato: il Tradizionale 10 e 16 anni è ottenuto da blend che in etichetta riportano l’età del distillato più giovane usato, poi ci sono i Millesimati in varie edizioni (anche “cigar-blended”) ottenuti da single-brandy o da più brandy ma tutti della stessa annata, e infine i Pieno Grado Millesimati, che non hanno subito diluizione, di grandissima concentrazione aromatica.

Castello di Querceto, Arzente – Greve in Chianti (FI)

arzente-del-castelloIl Castello di Querceto, di origine longobarda e di proprietà della famiglia Francois dal 1897, si trova in Toscana sulla via Cassia Imperiale, una delle principali arterie di epoca romana. Nel 1924 faceva parte dei 33 soci fondatori del Consorzio del Chianti Classico: stiamo quindi parlando di un’azienda che ha contribuito a costruire la storia del grande vino toscano. Oggi, oltre a continuare una produzione d’eccellenza (di vini, distillati, spumanti ed oli), il castello è anche un agriturismo di charme, dove trascorrere giornate di relax e piacere.

Ho scelto l’Arzente perché pur essendo un prodotto di super-nicchia (parliamo di meno di 2.000 bottiglie) ha la particolarità di essere ottenuto dalle stesse uve a bacca rossa da cui si produce il Chianti Classico: un fatto assai raro nel mondo delle acquaviti, che usano sempre uve bianche per le loro caratteristiche di acidità, struttura esile e profumi semplici.  

Oltre a questo, anche l’invecchiamento segue un processo diverso dal solito, perché oltre al rovere, usa fusti costruiti con legno di alberi da frutto (melo, pero, castagno, ciliegio), con 5 passaggi diversi per un totale di 7 anni di maturazione. Questa complessità si riscontra nel prodotto finale, dove gli aromi fruttati si avvertono nettamente e si fondono nell’abbraccio dell’alcol, lasciando un finale lungo e pulito.

Una curiosità sul nome: l’Arzente è la parola italiana coniata da Gabriele D’annunzio per designare il brandy durante il periodo del regime fascista, quando nomi stranieri non erano “ben visti”. Acqua “arzente” quindi, ossia ardente: solo a sentirla se ne avverte il calore in bocca!

Pojer & Sandri, Acquavite di Vino Dolomiti (vendemmia 1999) – Faedo (TN)

acquavite-divino-pojer-e-sandriSintetizzare in poche righe le attività dell’accoppiata Mario Pojer e Fiorentino Sandri è impresa impossibile. Sono quarant’anni di prove, di sperimentazioni, di voglia di stupire e fare sempre cose nuove e diverse, che hanno portato questo brand a produrre una gamma di vini che abbracciano tutte le principali tipologie trentine, autoctone e internazionali, un piccolo maso dedicato alla produzione di aceti e una distilleria che sforna grappe ed acquaviti apprezzate a tutte le latitudini.

E’ lo spirito dei due a fare la differenza: non accontentarsi mai dei risultati raggiunti e guardare le cose da angolature diverse li ha portati a distinguersi anche nel campo del brandy.

Nel settore, il loro è uno dei pochissimi prodotti italiani, che io sappia, in cui tutte le  fasi lavorative sono seguite da un’unica azienda, dalla coltivazione della vigna fino al confezionamento finale. I vini provengono da uve schiava (a bacca rossa) e lagarino (bacca bianca), varietà rara della Valle di Cembra, capaci di dare vini che hanno la neutralità, la leggerezza e la vena acida indispensabili per l’ottenimento di un distillato finale di alta qualità.

La distillazione dei due vini avviene separatamente, con alambicco discontinuo a bagnomaria, dopo 10 anni di sosta in fusti di rovere da 225 litri e altri 3 -5 anni in inox
si passa alla diluizione con acqua di fonte a 45° e successiva filtrazione a temperatura prossima allo zero.

Anche qui il concetto centrale è quello di purezza, e quindi no zuccheri, no coloranti: un distillato complesso che rifugge ogni dolcezza posticcia.

Per finire una menzione “fuori programma”: da non perdere (crea dipendenza!) il loro vino fortificato Merlino. Si ottiene da mosto parzialmente fermentato di uve Lagrein, a cui viene aggiunto un brandy invecchiato più di 10 anni. La carica aromatica del frutto, la morbidezza degli zuccheri residui, la complessità aggiunta dal brandy ne fanno un prodotto davvero unico!

Credits: l’immagine di apertura è presa dal sito 111LEXLIQUORS

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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