I vini del mese e le libere parole. Giugno 2018

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La sorprendente, inusuale liaison amoureuse fra vitigni aromatici e non, governata dall’anima profonda di un’isola del Mediterraneo; i ritorni del figliol prodigo sotto l’altare della purezza e del radicamento territoriale; i monumenti fatti vino e infine le riesumazioni, alle quali non avresti pensato mai.

Lipari, Barbaresco, Neive, Montalcino: le tappe obbligate per le libere parole.

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Bianco Pomice 2016 – Tenuta di Castellaro

20180625_201931La malvasia e il carricante, l’isola e il tesoro. Da un ombelico del mondo chiamato Lipari, isole Eolie. Straordinari il senso dell’equilibrio e il garbo espositivo, dove la voce piena e aromatica della locale malvasia si fonde e si raccorda con il sottotraccia salino, concedendosi in un sorso dalla dinamica incalzante e dalla trama affilata.

Non una concessione che è una all’esuberanza e all’alcol, solo un afflato buono di freschezza.

Nel frattempo, i bagliori di una intensa coloritura floreal- fruttata lasciano progressivamente spazio ad una essenzialità di agrume che porta in dote purezza, purezza cristallina.

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Barbaresco 2015 – Gaja

img_6392Tornare da Gaja e ritrovarlo così, ma che sorpresa! Iridescenze, trasparenze, sottigliezze e profumi ricamati, a tirar su dal profondo tutto il portato di eleganza di cui può essere capace un Barbaresco di Barbaresco.

Incredibile la disinvoltura, e incredibile la capacità di dettaglio, che un’annata calduccia come la 2015 rende già dispiegate. Di infinita tenerezza si veste il nuovo corso di casa Gaja; lontane le tentazioni muscolari e gli ammiccamenti al gusto internazionale che ne avevano segnato le rotte nell’età matura.

Mai ritorno alle origini fu più gradito. The king is back?

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Barbaresco Santo Stefano Riserva 2004  – Castello di Neive

img_6391Casomai mi concedessero -chissa mai perché- l’autorizzazione ad erigere un monumento al vino, probabilmente verrei assalito da dubbi atroci circa il soggetto da tramandare ai posteri. Che ci volete fare, sono troppo arrendevole, troppo facilmente circuibile dalla materia del contendere. Al punto da amarne tanti con egual coinvolgimento e democratica empatìa. Ma non oggi, non oggi: oggi ho chiare le distanze, oggi quelle distanze le misuro.

Perciò il mio pensiero va a lui, e non me ne vogliano gli altri.  Al Barbaresco Santo Stefano del Castello di Neive, incarnato stavolta da uno splendente Riserva 2004. Grazie a lui ho gettato le basi del mio monumento virtuale.  L’incedere solenne, l’ampiezza del respiro, il passo signorile, la granitica solidità, la purezza del “fiato” nebbiolesco…..e  quella fisionomia al tempo stesso elegante e austera che ogni volta mi porta ad immaginare un Barolo!

Ah, dimenticavo di dirvi che il tempo, e l’abissale profondità della voce tannica, stanno lavorando per renderlo un “vino con l’eco incorporata”. Quasi fosse un perenne rimbombo, o un fragore dell’anima.

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Brunello di Montalcino 1972 – Tenuta Poggio alle Mura

Mirabile esempio di vino cangiante, non si ferma all’aria e l’aria non lo ferma. Reagisce, lasciando intendere una deriva per poi scartare di lato e sorprenderti di nuovo. Come l’etichetta, d’altronde, nata agli “albori del tempo” qui a Montalcino, quando la conta dei vignaioli e delle casate vinicole che producevano Brunello facevi presto a farla, e senza sforzo di memoria.

Ben prima dell’arrivo degli ameri’ani, ecco quindi il Tenuta Poggio alle Mura ’72 della famiglia italo-venezuelana Mastropaolo, figlio di un’annata horribilis ma che a distanza di 46 anni te lo ritrovi in uno di quegli attimi irripetibili in cui i toni decadenti e ossidativi si saldano alla meraviglia, aggrappandovisi, a certi barlumi vitali, concretizzando un sorso in grado di conservare un pregio grande, la bevibilità, e una insperata melodia gustativa.

Di lui ricorderò la liscia morbidezza del tessuto tattile, e quella sensuale carnosità senza spigoli ad accompagnare una silhouette snella ed affusolata, al punto da apparentarsi a quella di un Sangiovese chiantigiano. Come un lento dipanarsi di un pensiero imperfetto e forse incomunicato, questo vino antico ti coinvolge e ti stuzzica. Così ringrazio Roberto Crocenzi e la sua Taverna di Montisi per la speciale “riesumazione”.

Nella prima immagine: “Ragazzo che beve”, di Annibale Carracci

FERNANDO PARDINI

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