Proposta vini: ritratti di produttori a passeggio tra i corridoi della kermesse di Lazise. Parte prima

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Ricco di stimoli e percorsi, messo a punto con passione, umiltà e competenza dal titolare Gianpaolo Girardi, ora affiancato dal figlio Andrea, lo sterminato e avvincente catalogo di Proposta Vini (che contiene vini da ogni parte d’Italia e da gran parte del mondo; grappe, distillati, liquori; birre e sidri; bibite e succhi di frutta; oli e aceti), di cui è selezionatore Italo Maffei, è andato in scena per larga parte dei suoi contenuti il 20 e 21 gennaio nelle ampie sale dell’Hotel Parchi del Garda a Pacengo di Lazise, poco lontano dagli immensi spazi di una Gardaland in chiusura stagionale.

Anche qui non sono mancate le vertigini di un ottovolante del gusto agganciato a una geografia nazionale indissolubilmente legata alla biodiversità, ovvero alla storia, alla cultura, al paesaggio, all’espressione di un panorama produttivo sempre più differente, sempre più emozionante. Di seguito alcuni ritratti aziendali.

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CANTRINA

Un piccolo borgo rurale a Bedizzole, nell’entroterra della Valtenesi, sulla sponda bresciana del lago di Garda. Un’azienda familiare di 8 ettari che si distende su terreni collinari di origine morenica suddivisi in tre appezzamenti. Un compatto nucleo produttivo dal 1999 condotto da Cristina Inganni e Diego Lavo con il piglio della sperimentazione attraverso un “libero esercizio di stile” rivendicato anche sulle etichette dei vini, «scevro da preconcetti e condizionamenti, ma nel massimo rispetto delle peculiarità che la natura dona ai frutti delle nostre vigne».

Il Riné 2017 è un uvaggio vinificato in acciaio di riesling al 65%, chardonnay al 30% e incrocio Manzoni al 5%. Ha tratto balsamico-mentolato, centro bocca succoso, note di erbe e menta, tratto minerale sottocutaneo, note fresche a chiudere. A distanza di un anno, il 2016 fa emergere il lato più minerale del riesling: idrocarburi, cherosene. La bocca è succosa, tonica, tagliente, con acidità pimpante che dona contrasto e finale di bella freschezza.

Il Valtenesi 2016 (groppello gentile 90%, groppello di Mocasina 10%) ha colore rubino leggero, profumi tenuamente speziati, palato piacevole e contrastato. Lo Zerdì 2015 è un rebo in purezza passato in botte grande. Al colore rubino acceso fa eco un’intensa materia fruttata dalle spiccate note di amarena.

Più ambizioso ed eterodosso è il Nepomuceno 2013, uvaggio di merlot 70%, marzemino 15% e rebo 15%, con surmaturazione in cassetta delle uve del merlot (soprattutto) per circa 20/25 giorni e due anni di tonneau a seguire. Molto concentrato, ha frutto cospicuo e speziato (pepe), importante spalla alcolica, buon allungo gustativo.

Il mio preferito resta sempre Il Sole di Dario, un passito da varietà internazionali (sauvignon 40%, sémillon 40%, riesling 20%) con uve stese ad appassire per 3 mesi e maturazione in tonneau per due anni: anche il 2012 conquista per i sentori di frutta candita, le note squisitamente balsamiche, la viscosità del palato, la persistenza di albicocca secca.

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BORGO DEI POSSERI

Il recupero di un antico borgo feudale sopra l’abitato di Ala, chiamato Pozzo Basso, da cui il nome aziendale (con accento sulla “e”), ha portato Martin Mainenti ad alcune scelte radicali di vita e di vinificazione, proponendo alle soglie del nuovo millennio (l’avvio dell’attività è datato 2000) una gamma eclettica e personale di vini trentini.

Il Trentodoc Brut Tananai 2015, ad esempio, prodotto dal 2007 (uve chardonnay e pinot nero, 30 mesi sui lieviti, sboccatura novembre 2018), esprime non solo profumi di menta ed erbe, una bollicina sottile e un’adeguata modulazione gustativa, ma anche un’agilità e una freschezza nonostante i 6 grammi di zucchero del dosaggio.

Dai vigneti che oscillano tra i 550 e i 720 metri di altitudine, nascono poi alcune versioni da monovitigno di particolare interesse. Il Quaron 2017 è un müller thurgau di polpa succosa, dalle tensioni pietrose, dal finale balsamico di menta ed erbe di montagna. Il Furiel 2017 un sauvignon dalle rese contenute (70 quintali per ettaro), di sprezzante riduzione che vira alla salvia, al sambuco, all’ortica, con una bocca succosa succosa e un finale persistente che si accende di menta, balsami, eucalipto. L’Arliz 2017 un traminer aromatico dal varietale silenzioso, dalla bocca polposa, dalle glicerine importanti quanto integrate. Il Malusel 2015 una cuvée in legno (50% müller thurgau, 20% chardonnay, 20% sauvignon, 10% traminer aromatico) che possiede buona polpa, spezie fini, sentori mentolati, buona tonicità.

Il Paradis Plus 2015, infine, è un pinot nero di bel carattere varietale (frutti di bosco, accenni terrosi, freschezza balsamica) che gode di note speziate (pepe) congiunte alla brillantezza dell’acidità. Nel prossimo futuro Martin vorrebbe produrre solo tre vini: Trentodoc, Pinot Nero, Sauvignon. Speriamo ci sia anche il Quaron.

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GIOVANNA TANTINI

Una ventina d’anni fa Giovanna Tantini, spirito anticonformista e produttrice di talento, ha lasciato la laurea in legge in un cassetto per avventurarsi nel mondo del vino. La sua spregiudicatezza ha pagato, e non poco: è diventata nel giro di poco tempo una delle produttrici più innovative del panorama enologico che ruota attorno al mondo del Bardolino e del suo vitigno principe, la corvina, qui declinata in più interpretazioni che ne esaltano la versatilità.

Con il contributo della rondinella genera un Bardolino 2016 le cui trasparenze cromatiche (rubino leggero) si riflettono in un naso accarezzato da note di chinotto, erbe di lago, melograno, spezie naturali, e da un palato succoso, pepato, tonico e contrastato. Il Bardolino 2015 conferma la felicità di questo matrimonio tra struttura ed eleganza.

Da uve fatte appassire in pianta con il taglio del tralcio fino a novembre e un affinamento di due anni in tonneau di primo passaggio, Greta 2012 scioglie il peso specifico della surmaturazione e l’ascendenza un po’ boisé in un mix efficace di spalla e scorrevolezza, che fila via verso un finale di buon allungo. L’Ettore 2011, dove la corvina si accompagna a un 10% di cabernet sauvignon e a un 10% di merlot, è invece frutto di un appassimento delle uve in cassetta per un mese e di un passaggio di 18 mesi in barrique. È denso, speziato, con frutto in confettura e un finale dove il tannino incornicia una materia ricca ma non statica, che si muove in termini di freschezza e articolazione.

L’ultimo nato è il Garda Corvina Ma.Gi.Co 2017, definito da Giovanna «una corvina da pesce»: le uve provengono da due terroir distinti (Castelnuovo del Garda e Lazise) e la vinificazione in acciaio genera un rosso leggero, o un rosato intenso, dai profumi sfiziosi, fragrante quanto contrastato, leggero e appagante, con un tannino che si fa puntuto verso il finale.

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GIANFRANCO PALTRINIERI

Appassionato, pragmatico, estroverso, Alberto Paltrinieri, inseparabile dalla moglie Barbara, è diventato negli ultimi tempi uno dei principali portabandiera del Lambrusco modenese nella versione Sorbara. Le sue vigne sono tutte all’interno di una delle grandi sottozone, o meglio “cru”, della denominazione, il Cristo, nove evocativo per una pianura tanto piatta quanto fertile, dove Secchia e Panaro allungano le loro lingue di sabbia e limo.

Leclisse, scritto senza l’apostrofo, è diventato uno dei suoi vini più fortunati a livello commerciale, ma, nel campo dei frizzanti della casa, è il Radice, l’unico che fa rifermentazione in bottiglia, a rappresentare la tradizione di queste terre: viene imbottigliato sia con il tappo raso, sia – per due terzi delle 13000 bottiglie prodotte – con il tappo a corona. In ambedue i casi il 2017 accarezza il naso con i suoi classici profumi di rose, fragoline di bosco, frutti selvatici, mentre il palato sprigiona tensione acida, sapore, allungo. La versione con il tappo a corona mostra più chiusura olfattiva (parliamo ovviamente di sfumature), una carbonica più granulosa ed esuberante, una viva tensione.

L’acidità del Sorbara è del resto tale che perfino uno spumante a metodo Martinotti (12 mesi in autoclave) come il Lambrusco di Sorbara Brut Lariserva si sorregge efficacemente su questo puntello interno. Decisamente più espressivo il Lambrusco di Modena Brut Grosso 2015, un metodo classico di Sorbara (sboccatura 2018) dal colore rosato intenso, dai profumi che non smettono di richiamare il bosco con i suoi piccoli frutti selvatici (lampone, fragoline, ribes), dalla bollicina sottile, dal grande allungo acido-sapido che conferisce tonicità e persistenza.

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DALLE NOSTRE MANI

Giulio Wilson Rosetti, cantautore con laurea in enologia a Firenze, ha recuperato nel 2005 insieme all’amico d’infanzia Lapo Tardelli, agronomo, alcune vecchie vigne appartenenti a contadini locali sulle colline di Fucecchio. Questi vigneti, dove crescono antiche varietà toscane (pugnitello, foglia tonda, abrostine, abrusco), ancora coltivate secondo un tradizionale sistema di allevamento (il girone capovolto toscano, con i rami di salice utilizzati per legare i tralci dei filari), vengono da subito riconvertiti all’agricoltura biologica e sono oggi alla base di una serie di “vini naturali” dalle pratiche manuali e non invasive.

L’Arialdo è un sangiovese vinificato in acciaio proveniente da vecchie vigne che dagli anni quaranta arrivano fino ai settanta. Se la versione senza annata in etichetta (che in realtà è un 2017) si presenta un po’ umorale, chiusa e introversa, ma polposa e fresca, la Riserva di Botte 2009, con 8 mesi di botte grande e 9 di barrique, ha profilo caratteriale e succoso, sviluppo fresco e floreale.

Il Foglia Punta (che vede confluire due annate: 2017 e 2016), da uve pugnitello (il nome del vitigno deriva dal grappolo a forma di pugno chiuso), imbottigliato da un mese, ha tratto pepato e tenace, mentre il Foglia Tonda (2016), che, come il precedente, trascorre un breve periodo di microssigenazione in barrique per il 25% della massa, ha profilo floreale, acido, contrastato, saporito.

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SASSOTONDO

Situata tra Sorano e Pitigliano sopra un altopiano di origine vulcanica, la cantina immersa nel tufo di Edoardo Ventimiglia, documentarista, e Carla Benini, agronoma, è stata una delle prime a credere nelle potenzialità di questo territorio anche sul fronte dei vini rossi, partendo dalle virtù di un’uva come il ciliegiolo.

Biologica dal 1994 (ovvero in largo anticipo sulle tendenze più contemporanee), l’azienda si è convertita dal 2007 alla causa del biodinamico. Se il Ciliegiolo 2017, vinificato in acciaio, presenta una buona caratura fruttata e un tannino foderante, e il Poggio Pinzo 2017 (ciliegiolo con 12 mesi di affinamento in anfora di terracotta, il nome si riferisce ai tufi di origine vulcanica) un profilo materico e succoso, con note di pepe e liquirizia, e un tannino profondo e pieno, il San Lorenzo 2014 (24 mesi in botti di rovere di Slavonia) è il rosso più famoso della cantina: proviene dal vigneto più vecchio (cinquant’anni di età) e suggestivo (è di fronte al borgo di Pitigliano) dell’azienda, ha struttura solida, registro alcolico-speziato, ottima polpa, allungo continuo e saporito. Piacevole anche Tufo Rosso 2016, uvaggio vinificato in acciaio di sangiovese, merlot, teroldego, dal tratto caldo e mediterraneo.

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AUSONIA

Mantovano d’origine, l’ex farmacista Simone Benelli lascia la città di Gonzaga nel 2008 per intraprendere insieme alla moglie Francesca, ingegnere meccanico, una nuova vita: quella del viticoltore. A 32 anni prende una seconda laurea, in Viticultura ed Enologia a Firenze, per poi trasferirsi nella campagna abruzzese, ad Atri, nel teramano, chiamando la sua cantina con il nome di un farfalla. Autoctona, naturalmente, come i vini che Simone e Francesca producono nella loro terra, perseguendo uno stile artigianale e praticando un’agricoltura dapprima biologica e quindi biodinamica.

La cantina viene costruita nel 2010, la prima vinificazione è del 2011, la conversione al biodinamico del 2013. Frutto di fermentazioni spontanee e vinificazioni naturali in acciaio, i vini vengono imbottigliati ad almeno un anno dalla vendemmia. Il Trebbiano d’Abruzzo Apollo 2017 ha uno spiccato carattere varietale e territoriale (note nocciolate, sentori d’agrume), un volume succoso al palato, un incedere tonico e saporito.

Non meno ricco, anche se più alcolico, e tenace al gusto è l’Abruzzo Pecorino Machaon 2016. Il Montepulciano d’Abruzzo Apollo 2016 è un rosso avvolgente e dinamico: frutto di amarena e visciola, sfumature di sottobosco, transizioni di garrigue; palato balsamico e selvatico, molto contrastato, dal tannino sottile, di floreale persistenza.

Ancora più profondo il Montepulciano Colline Teramane Apollo Anfora 2015, una piccola produzione di 800 bottiglie che sfoggia un prezioso frutto scuro (mora di rovo) e note di brace, un carattere selvatico e corposo, potente e sciolto, lungo e screziato. Più legato al boisé della botte grande, il Montepulciano Colline Teramane Apollo Nostradamus 2012 risulta più esuberante, intenso, prepotente, con note di frutta candita e ciliegia confit, tannino imponente, chiusura alcolica.

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continua……

Contributi fotografici dell’autore

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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