Un cenone nell’abbazia. E buon 2019!

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In Toscana si sono accaniti sui castelli. Da queste parti, forse perché siamo in quello che una volta era lo Stato Pontificio, hanno preferito concentrarsi su abbazie e monasteri. Non si parla fortunatamente di distruzioni o di atti vandalici ma di riconversioni. In cosa? In strutture ricettive, naturalmente.

Il depliant che prenderemo all’ingresso ci avverte di un anniversario piuttosto pesante per un’abbazia cistercense che appartiene alla filiazione di Clairvaux (Chiaravalle) ed è ispirata alla “casa madre” di Cîteaux: i 900 anni che al 1998 sono trascorsi dalla fondazione dell’ordine cistercense avvenuta nel 1098. Nel nostro piccolo, ne aggiungiamo altri 20 essendo giunti qui per festeggiare l’addio al 2018 e, soprattutto, per dare il benvenuto al 2019.


C’è subito un intoppo: la strada che sale in mezzo al bosco è stretta, e bisogna aspettare una navetta che sta scendendo
. Si forma una fila che comincia pericolosamente a invadere la provinciale, ma la situazione fortunatamente si sblocca presto. Arrivati in cima, dopo aver digerito il contrasto fra le ormai consuete, ma comunque affascinanti, illuminazioni dei faretti sparati dal basso e i più sbarazzini fili di led attorcigliati attorno ai tronchi degli ulivi del parco antistante, e dopo aver attraversato uno stellone illuminato all’ingresso, eccoci all’interno. Ambienti sobri, poltrone sparse, aperitivo a base di mandorle e quiche formato mignon; guardiamo incuriositi le vetrine che contengono frammenti di ceramiche, presumiamo reperti ritrovati durante le ristrutturazioni.

Senza attendere una “chiama”, che ci aspettiamo possa esserci a breve, ci trasferiamo al tavolo facendo perdere lo sguardo nello straordinario spettacolo della navata centrale e delle due laterali; il fatto che siano quasi completamente invase dai tavoli produce comunque un effetto piacevole, perché la mise en place non manca di eleganza. Anche se per la verità le alte pareti, in parte immacolate e in parte in pietra lasciata a vista, vengono percorse da guizzanti ghirigori di luce che, sarà per il motivo della nostra presenza, ci ricordano la gramigna (nel senso della pasta).

Ma qui succede qualcosa di misterioso e al tempo stesso fatale. Tutto sembrerebbe pronto, l’ora è quella giusta, i tavoli sono discretamente popolati, ma nulla accade. E il problema è che il menù è piuttosto ambizioso, prevedendo sei portate prima della mezzanotte. Nulla accade fino alle vendidue, fino all’antipasto che rimette di buonumore: nell’Uovo poché al tartufo nero su tortino di patate la parola francese fa tanto raffinatezza, il prezioso fungo ipogeo è simbolo di prelibata esclusività e, a parte gli scherzi, il piatto coglie nel segno per consistenze e scansione dei sapori.

I primi (il Fagottino ai frutti di mare, burrata e tartare di gambero e gli Gnocchetti al ragù di cervo e paprika dolce) non emozionano ma sono ben eseguiti, e portano dritti alla mezzanotte. Brindisi, auguri! Solo che dopo la mezzanotte era previsto che si passasse alle danze scatenate e liberatorie. Infatti, parte la discoteca “a palla”. Ma la cena è finita, in qualche modo “abolita”, o continua? Il dubbio è lecito e disorienta molti, con il risultato i che i mangioni rimangono a tavola senza spiccicare una parola, che tanto non verrebbe udita neanche dal vicino di sedia, mentre chi è più incline al divertimento si ritiene già abbastanza sazio e si scatena sulla pista, allestita peraltro dove una volta doveva esserci l’altare.

C’è chi è incerto, e addirittura dietro di noi un nutrito gruppo di commensali si alza in piedi e balla attorno al tavolo. Dopo un Salmone in crosta di semi di papavero assai piacevole, la curiosità (e anche un po’ di sfinimento) ci spingono a girovagare curiosando qua e là. Mal ce ne incoglie: tornati al tavolo, il Tortino di maiale nero con purè di sedano rapa servito nel frattempo è diventato un mattone freddo e immangiabile, che proviamo a scalfire mentre sulle pareti vengono proiettate al ritmo frenetico della musica riproduzioni di vetrate medievali e immagini di santi e beati.

Il tradizionale cotechino con le lenticchie viene eliminato dal menù perché sono ormai le due. Ci consoliamo pensando che, avendo sempre osservato la tradizione, forse sarà questa la volta buona che diventeremo ricchi.

 

Riccardo Farchioni

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