Le interviste possibili: Graziano Pozzetto, enogastronomo. No compromessi, no party

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E’ difficile, quasi impossibile, mantenere il timone sempre a dritta senza cedere alle tentazioni dell’ego. Siamo umani, mi direte voi. Vero. Esistono però persone che del non scendere a compromessi ne hanno fatto una ragione di vita.

Incontro Graziano Pozzetto nel suo “ eremo “ di Villagrande di Montecopiolo, intento a sistemare le bozze del suo ultimo libro. E’ il suo rifugio spirituale, un paesino di poche anime di una terra di confine che fa parte del Montefeltro, in origine appartenente al granducato di Urbino ma ora snaturato, diviso e concesso in parte alla provincia di Rimini. Per Graziano, un posto in cui far decantare le idee e in cui fermarsi per catturare e fissare su foglio le innumerevoli emozioni che la sua sensibilità ha saputo cogliere durante i viaggi.

Romagnolo verace, schivo e generoso, la sua figura è imponente e sicuramente anche la sua forza, nonostante abbia superato di poco i settantacinque cicli del tempo terrestre. Un uomo radicato nella terra come una pietra, ma con la delicatezza di un vento che ne accarezza le spighe. Le prime parole sono di ringraziamento per Luigi Veronelli: “ Mi ha voluto un gran bene, mi ha aiutato. Ho fatto parte della sua scuola, mi ha indirizzato verso questo mondo”. Parole pacate, semplici, sincere, piene di amore e di riconoscenza. Il suo sguardo si perde come a cercare il “maestro “. Decido di seguire il suo desiderio di racconto, esortandolo appena.

Veronelli è uno dei grandi padri di tutti gli enogastronomi italiani dell’ultimo dopoguerra. Sì, Mario Soldati ha avuto un suo ruolo, Folco Portinari è stato anch’egli un precursore dell’enogastronomia ed ebbe peraltro il merito di portare Veronelli in televisione, ma Luigi Veronelli ha riscoperto le eccellenze dei territori italiani più di chiunque altro. Era un esteta, un letterato finissimo; ho collaborato con lui per una ventina d’anni, sia per la guida dei vini che dei ristoranti. Veronelli adorava la Romagna, la seconda donna della sua vita l’ha trovata lì. Ho imparato moltissimo e molti dei suoi allievi gliene dovrebbero rendere merito. Così non è purtroppo, o per lo meno non lo è mai stato. Mi ci sono scontrato spesso. Diversi di loro, fra i nomi più conosciuti del giornalismo enogastronomico, hanno utilizzato il suo metodo senza apportare nulla di nuovo e senza essere trasparenti su chi ha dato loro indirizzo, visibilità e successo.”

-Mi dà l’idea però che questo tuo modo di essere così eticamente trasparente ti abbia creato non pochi problemi nel jet set del giornalismo, ti  abbia cioé messo ai margini di tutto quel mondo patinato che è l’ambiente degli inviati enogastronomici.

-“ Ah beh, certamente. Io mi sono fatto un sacco di nemici ma non me ne frega niente. Io non li considero tali. Da parte loro non vi è mai stata una codificazione della cultura gastronomica e antropologica attraverso il rigore culturale e il lavoro di ricerca “.

“ Io dalla Romagna non sono mai uscito. Ho amato tante altre regioni d’Italia ma nella mia terra mi ci sono immerso, viaggiandola in lungo e in largo. Ne ho raccolto le testimonianze, i contributi, le consulenze dei “ padri “ piccoli e grandi della cultura romagnola. Sono una cinquantina in Romagna: possono essere un vecchio parroco, alcuni insegnanti, un presidente di Pro Loco, non quegli imbecilli di ora che fanno solo marketing senza tutelare per davvero il territorio . Ho sempre inserito i loro nomi fra i ringraziamenti. Non ho seguito le mode ma la mia strada, facendo un lavoro di ricerca.”

“ Sono partito più di trent’anni fa quando sono arrivate -pesantissime- le omologazioni più devastanti. Mi sono occupato della cultura identitaria della Romagna e ogni volta l’ho definita. La cultura enogastronomica è una delle chiavi per individuare e tratteggiare l’identità di un territorio.”

“ Mi sono fatto tanti nemici. Non sapevo che li avrei toccati anche a livello economico/produttivo, oltre che sul piano culturale. Sono diventati cattivi con me. Loro sono i “protagonisti” delle omologazioni. A livello istituzionale le nomenclature, che non sanno distinguere la m……dalla zuppa inglese. Poi le grandi catene di distribuzione alimentare, ovvero la grande cloaca dove l’identità di un territorio viene completamente inzozzata con i loro cantinoni, con le loro produzioni industriali. E la Regione , che non ha saputo distinguere la piadina tipica dalla piadina industriale, due cose che andavano ben distinte. Ogni cosa col suo nome, tutto legittimo, ma tutelando gli oltre duemila chioschi che peculiarizzano la Romagna.

Anche in regione di nemici me ne sono fatti. Perché? Perché sono uno studioso dei prodotti tipici. Hanno riconosciuto la dignità dei marchi DOP, IGP, DOC, DOCG, IGT, tutte denominazioni ideate per tutelare un prodotto, invece quel prodotto lo hanno massacrato legandolo al business. Operazioni di marketing, non di salvaguardia! Così facendo un prodotto diventa nobile come l’altro. Tutte menzogne, tutte denominazioni prive di credibilità e coerenza, di autorevolezza culturale e produttiva. Basterebbe semplicemente chiamare le cose con il proprio nome. I consorzi mi vedono come un nemico. Ma se importi da fuori 70 milioni di cosce suine e -Dio ce ne scampi- non so quanti antibiotici ci sono dentro a quella robaccia li, e poi tramite leggi, tecnologia e chimica le fai diventare un prodotto artigianale da alta salumeria, la cosa mi fa imbestialire.”

Un fiume in piena Graziano, l’imponente energia non gli consente di frenarsi. Potrebbe sembrare una esigenza, una competizione sul sapere, ma non è così. La sua necessità è quella di risvegliare la coscienza critica nei lettori.

“ I dietologi poi, essendo quasi tutti privi di una cultura gastronomica, ti dirottano su diete industriali anziché verso i prodotti della natura; o cosa avrà mai fatto la natura per essere così osteggiata? E questi imperversano in tutte le trasmissioni televisive.”

“ Comuni, province, camere di commercio, consorzi vari mi vedono come un nemico. Si guardano bene dall’invitarmi. Ho fatto 2.600 incontri in quarant’anni ma sono vent’anni che le istituzioni non mi invitano più a un dibattito, non hanno accettato nessun progetto culturale che ho proposto loro ma preferiscono pagare profumatamente personaggi che vengono da Bologna con una cultura dozzinale. E questo è l’andazzo, questo è il tipo di battaglia che porto avanti. Non mi sento assolutamente vittima né incompreso. Non faccio sorrisi a destra e a sinistra, dico quello penso e ovviamente vengo osteggiato.”

Non leggo acredine o amarezza fra le righe del suo racconto, casomai determinazione e piena responsabilità di fare ciò che ha sempre fatto, ossia il giornalista.

“ C’è una discussione sotterranea in corso, la sta facendo da tempo Carlin Petrini assieme ad altri, e andrebbe approfondita in relazione all’utilizzo dei pesticidi. In Italia assistiamo ad un leggero calo ma siamo pur sempre il primo paese in Europa per consumo di antibiotici e pesticidi. Hai capito? C’è bisogno di informare la gente, di avvisarla. E questo dà molto fastidio. E tu mi parli di eccellenze quando un prodotto proveniente dall’estero può essere lavorato o modificato in Italia per uscirne “nobilitato” sotto l’egida di una denominazione d’origine? Tutto questo non lo si combatte con battaglie individuali o di gruppo, ma con la cultura. Qui manca l’informazione.”

Il fervore è un bagaglio genetico che il buon dio gli ha donato e che Graziano riesce a trasmettere con una predisposizione d’animo pura.

Graziano, dopo quarant’anni di giornalismo e dibattiti, cosa c’è ancora da raccontare?

“Ah, che siamo nel fimo. Le omologazioni stanno vincendo. Fabbrica italiana contadini (Fico), un’altra “ trovata “ commerciale. I contadini non ci sono per niente, lo dico da tempo, lì c’è l’industria delle Coop e quella di Oscar Farinetti. Non sono d’accordo sul riconoscimento di ciò che producono, solo raramente è davvero tipico o tradizionale.

Sei una memoria storica di saperi e tradizioni, cosa ti manca del passato?

Tonino Guerra (poeta e sceneggiatore cinematografico amato da Fellini ) diceva che noi rimpiangiamo i piatti della mamma, che nella vita rincorriamo i piatti dell’infanzia, ricette che ci facciano sentire a casa accuditi da qualcuno. Io rimpiango certi piatti contadini di una famiglia patriarcale della bassa Romagna di estrazione veneta. Rimpiango che chi lavora, chi fatica, chi ti dà un prodotto sano, pulito e buono viene trattato come un cane e sfinito dal marketing e dal business.”

Graziano, sei indiscutibilmente un decano dei giornalisti enogastronomici, non hai un profilo social di nessun genere, è sfiducia verso quei mezzi oppure un messaggio?

“Io non sono tecnologico, ci ho provato. Scrivo a mano con la penna sul foglio, scrivo in bella calligrafia: quelli sono i miei tempi, i miei ritmi biologici.”

Tutto il tuo lavoro è nato dalla necessità di preservare la storia contadina della tua terra o è solo fame di sapere?

“Mi è servito per combattere la solitudine e la paura della morte, mi è servito per la lotta contro il tempo: la fretta di fare, di fare per poter lasciare.”

Dicevamo in precedenza che non sei sceso a compromessi e non sei stato su nessun libro paga: a che prezzo?

Non scendere a compromessi significa non fare una vacanza da oltre vent’anni, significa avere una mezza protesi in bocca nella parte alta e il resto niente, significa non andare a cinema o a teatro, significa non potermi più permettere quei 3 o 4 quotidiani che compravo ogni giorno. Non sono più abbonato ad una cinquantina di riviste da 7/8 anni, non porto più a casa un centinaio di libri all’anno come facevo prima, nemmeno uno o due, e questo mi pesa moltissimo. Però da tempo usufruisco delle biblioteche comunali. Non scendere a compromessi significa ritrovarmi con una macchina da rottamare, che per fortuna mi ha sempre portato dappertutto. E comunque nella vita punto molto sul fattore C, il fattore C è più importante della testa, dei soldi, dell’intelligenza. Ma la cosa fondamentale per me è la mia autonomia, la mia autonomia non ha prezzo.”

Da dove parte la ricerca per un soggetto di un tuo libro?

Parte dalla voglia di viaggiare, di vedere, di scoprire, di cercare la memoria enogastronomica di un determinato territorio. Incontrarne i protagonisti, le testimonianze del cibo, i piccoli produttori, le tradizioni locali, la cucina e poi immergersi in tutto ciò che è stato scritto su di lui. Un viaggio meraviglioso.”

Hai la possibilità di esprimere tre desideri…..

Io sono contento così, quello che volevo raggiungere l’ho raggiunto. Mi manca soltanto di non poter andare a cinema o a teatro. Mi mancano le riviste, mi mancano i libri che sono stati il pane quotidiano per quarant’anni. Quelle sono le cose che mi mancano. “

Mi accompagna in silenzio alla macchina e mi saluta con fare contadino. Lo guardo mentre si avvia verso casa e mi rattristo. Ciao Graziano, tutto il timone a dritta. No compromessi no party!

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Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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