Tempo di Nosiola

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Di origine sconosciuta, ma senz’altro autoctono (si dice sia presente in Trentino dall’epoca del Concilio di Trento, ovvero dalla seconda metà del XVI secolo, ma la prima citazione ufficiale è all’interno del repertorio compilato da Giuseppe Acerbi nel 1825 e intitolato Delle viti italiane o sia materiali per servire alla classificazione. Monografia e sinonimia preceduti dal tentativo di una classificazione geoponica delle viti), la nosiola è un vitigno che trova la sua area d’elezione tra la Valle dei Laghi e le colline intorno a Pressano, ovvero in due terroir regionali diversi tra loro (la valle del Sarca con il suo microclima più temperato, dovuto ai benefici influssi del lago di Garda, e la valle dell’Adige, che scorre dall’altra parte delle montagne e che è contraddistinta da un maggior rigore).

L’etimo del nome – pronunciato in modo diverso nelle due zone (al femminile di là, in Valle dei Laghi, al maschile di qua, tra le colline “avisiane” e la Vallagarina) – pare debba rintracciarsi nella parola “nocciola”, sia per la presenza di noccioleti intorno alle vigne, sia per il colore nocciola degli acini maturi dell’uva, sia per lo stesso profumo e sapore “nocciolati” caratteristici del vino.

Si ipotizza un’origine veneta: la nosiola sarebbe per alcuni un adattamento della “durola veronese”, arrivata nella Valle dei Laghi attraverso la via veronese del lago di Garda. È in ogni caso da escludere una parentela con la durella della Lessinia. Più anticamente, la nosiola potrebbe discendere, insieme al groppello di Revò con cui è imparentata, dalla varietà “rèze”, oggi coltivata nel Vallese, e dunque dalla vite retica conosciuta in epoca romana.

Nonostante il secolare radicamento nelle terre trentine, la nosiola è una varietà scarsamente coltivata: 63 ettari ovvero lo 0,61% della produzione regionale (10.270 ettari), un’inezia se confrontata con le estensioni del pinot grigio (quasi 2.900 ettari pari al 28,15%) o dello chardonnay (2.750 ettari corrispondente al 26,78%). Sensibile alle virosi, è una varietà ribelle, ad andamento cespuglioso (ama la media quota collinare e una gestione non troppo espansa del vigneto, trovando l’allevamento ideale nella pergoletta trentina), maturazione tardiva, buccia sottile ma consistente. Parca di zuccheri, produce vini bianchi moderatamente alcolici ma di bella vivezza acida, elemento fondamentale per la sua evoluzione nel tempo.

Come altre uve italiane (l’albana romagnola o il trebbiano toscano), trova la sua consacrazione nell’appassimento, generando proprio nella Valle dei Laghi uno squisito vino dolce, il Vino Santo trentino, da non confondere con il quasi omonimo Vin Santo toscano: la mancanza della “o” in quest’ultimo non è infatti mero fatto linguistico, ma segnala una differenza stilistica sostanziale (il Vino Santo è generalmente più chiaro nel colore, meno ossidativo nei profumi, più fresco al palato).

Eppure non di solo Vino Santo si nutre la vocazione della nosiola: l’elasticità, la versatilità e la longevità del vitigno sono state messe in luce sul piano empirico in una recente degustazione tenuta negli spazi della distilleria Giovanni Poli e organizzata dal Consorzio Vignaioli del Trentino e dall’Associazione Vignaioli Vino Santo Trentino nell’ambito dell’evento “DiVinNosiola”, patrocinato dall’APT Trento, Monte Bondone, Valle dei Laghi.

La sequenza d’assaggio prevedeva diverse espressioni di Nosiola: annate e mani differenti per un ampio ventaglio temporale e stilistico.

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Nosiola Goccia d’Oro dei Nosioi 2018  – Giovanni Poli

Una prova di vasca per il vino di Graziano Poli, che dimostra le caratteristiche salienti di una Nosiola di gioventù vinificata con consapevolezza: colore paglierino brillante, profilo di riduzione minerale (pietra, sasso) connessa a sensazioni floreali, palato succoso, saporito, tonico, nocciolato, dal tipico fondo ammandorlato, con toni acido-aspri (agrume citrino) a chiudere.

Trentino Nosiola Sole Alto 2017  – Marco Donati

Un profilo assai particolare quello della Nosiola della famiglia Donati. Il colore è un paglierino dai riflessi grigio-beige, il naso ha un’insolita, eterodossa aria semi-aromatica (rose, accenni terpenici, note “birrose”), il palato ha ricchezza, struttura, ed è scandito da toni floreali e glicerine, con buon allungo acido.

Nosiola 2017  – Maxentia

Il giovane Enzo Poli interpreta la nosiola con un 50% della massa vinificato in bianco e l’altro 50% con una macerazione sulle bucce per una decina di giorni. Ha colore paglierino intenso e brillante dalle sfumature dorate. In questa versione magnum emergono al naso note macerative (petalo di fiore appassito) mentre il palato tradisce molta sicurezza nella densità della struttura e nella forza dell’impianto alcolico, ma perde qualcosa sul piano della scioltezza, tendendo un po’ a disunirsi nel finale di bocca.

Nosiola 2015 – Gino Pedrotti

Giuseppe Pedrotti non è un vignaiolo dalle mezze misure. Lo dimostra anche nel trattamento della sua Nosiola, con una macerazione integrale sulle bucce per trenta giorni, fermentazione malolattica e una piccola quota (5%) di passaggio in legno. Ha colore dorato intenso, quasi ramato. Fiori appassiti e spezie al naso. Palato denso, strutturato, tondo («L’uva è un frutto e io voglio portarla in cantina molto matura») ma non privo di spigoli e contrasti, con ottimo controllo del tannino e lunga scia di sapore finale.

Nosiola 2014 –  Cantina Pisoni

Marco e Stefano Pisoni consegnano al consumatore una Nosiola di notevole equilibrio e bevibilità, come dimostra ad abundantiam questo 2014: colore paglierino brillante dai riflessi verdeggianti; fascinosa evoluzione dei lieviti, toni di erbe ed anice; palato polposo, incisivo, di bella freschezza acida, tonico e persistente, con scia finale di erbe.

Fontanasanta 2010 –  Foradori 

Elisabetta Foradori disciplina la nosiola in forme naturali-macerative attraverso una permanenza del vino sulle bucce per 8 mesi all’interno di anfore di argilla di origine spagnola chiamate “tinajas”. Il colore è un paglierino intenso e vivo, il naso ha qualche screzio di acidità volatile connessa a sentori di fogli di tè e albicocca, il palato è solido, organico, dal tannino ben disegnato e dall’espressione fluida, saporita, tonica, che si allunga e dirama in un finale di bella persistenza.

Nosiola 2008  – Vignaiolo Fanti

Contrariamente alla prassi e al pensiero mainstream, la nosiola di Alessandro Fanti (prodotta con basse rese, brevi macerazioni, fermentazioni in legno e acciaio, lunghi periodi di affinamento sui lieviti) ha bisogno di tempo per uscire dal guscio delle sue riduzioni di gioventù e poter così risplendere. Lo dimostra questo vino a distanza di dieci anni dalla vendemmia. Colore paglierino brillante, olfatto ancora connotato da una matrice minerale dovuta alla riduzione, palato maturo, succoso, tonico, dall’invitante e inequivocabile sentore di pesca, con lunga trazione salina finale.

Nosiola 2006  – Francesco Poli

Alessandro Poli disciplina la propria nosiola con un appassimento delle uve per circa un mese, una fermentazione sulle bucce con alzata di cappello e affinamento in botte di acacia. Ha colore paglierino brillante e velato, un naso cosparso di fiori secchi, glicine, petalo appassito, e un palato solido, energico, amaricante.

Nosiola 2004  – Cesconi

In questa annata, che Lorenzo Cesconi descrive come «ottimale, anche se un po’ generosa nelle quantità, con vini che hanno rischiato di essere più diluiti», l’interpretazione di cantina ha giocato su una vinificazione a freddo non fermentativa che oggi non è più applicata, e un affinamento in botte grande di acacia e vecchie barrique. Colore paglierino brillante (a distanza di quattordici anni dalla vendemmia: chi dice che la Nosiola non invecchia bene?), con naso floreale e speziato, cui l’ossigeno contribuisce a conferire più orizzontalità, mentre il palato ha polpa matura e piena, una struttura che non rinuncia alla sapidità, un vigore che non sottrae spazio al contrasto, un finale delineato e sottile che procede dritto e profondo.

Trentino Nosiola 1998 e Nosiola 1983  – Pojer & Sandri 

Sono ormai proverbiali l’eclettismo, la precisione, la meticolosità di Mario Pojer, nonché la capacità dei suoi vini, soprattutto bianchi, di durare ed esprimersi al meglio nel tempo. Interpreta la nosiola con vinificazioni in iper-riduzione (ambienti in totale assenza di ossigeno secondo brevetto aziendale) e con micro-ossigenazioni e travasi per limitare le riduzioni del vitigno durante le fasi di maturazione. Aprendole con il gioco della tenaglia rovente e della piuma (al nostro non manca neanche il senso teatrale dello spettacolo!), sfoggia dapprima un 1998 dal colore paglierino maturo e intenso, con evoluzioni d’agrume candito e sensazioni balsamiche in un olfatto di stile nordico, con uguale, gustoso andamento terziario al palato, fresco, mentolato, sottile, e poi stupisce e conquista la platea con il coup de théâtre di una magnum di Nosiola 1983 che seduce per fragranza, brillantezza, integrità: colore fresco, naso fresco, palato fresco, longilineo, il tutto magnificato da un affresco sensoriale di erbe & erbe, mentuccia e basilico, foglia di pomodoro e idrocarburi a gogò, pesca e agrume, con sviluppo incisivo, minerale, infiltrante, continuo, “acido-salivare”. Che souplesse!

Le foto sono di Britta Nord

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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