I vini e i vignaioli di Radda (in Chianti). Parte prima

0
14250

In Chianti l’associazionismo (enoico) sta prendendo decisamente piede, e in fondo io dico che è un bel vedere. Sulla scorta delle idealità e degli intendimenti che hanno spinto alla formazione delle prime aggregazioni fra viticoltori già una decina di anni orsono (vedi il bio-distretto di Panzano), quasi tutti i comuni dell’universo classico chiantigiano hanno ormai assistito al varo della loro valente associazione di vignaioli, che altri non è se non il tentativo -quanto mai legittimo e condivisibile – di spazzare il campo dalla confusione e riempire di senso il discorso riguardante il vino di territorio.

Ma se da un lato c’è il chiaro intento di colmare certi gap “consortili”, andando a stimolare le istituzioni stesse su temi focali e attualissimi ancora colpevolmente irrisolti (vedi le menzioni geografiche aggiuntive per la denominazione Chianti Classico), dall’altro c’è la volontà di promuovere in maniera più coesa e partecipata le potenzialità di un determinato distretto verso il pubblico degli operatori, della stampa e degli appassionati, e questo in nome delle inevitabili e salutari diversità strutturali, ideali e stilistiche dei singoli associati.

Ma non basta, l’associazione vuole anche essere un atto di responsabilità condivisa in favore della preservazione degli equilibri ambientali e degli ecosistemi locali (leit motiv mediaticamente vincente sotto questi chiari di luna, nonché tema tanto importante quanto spinoso, da che non tutti i produttori “razzolano” secondo la stessa etica!); in fondo, costituire un presidio permanente a difesa della propria terra.

Insomma, parlare di Chianti oggi significa PARLARE DI TERRITORI, checchennedica l’istituzione della Gran Selezione, che più che al territorio guarda agli “attributi prestazionali” dei vini, e se a parlare del proprio territorio sono poi i VIGNAIOLI DI RADDA apriti cielo! Quale occasione migliore per offrire un quadro d’insieme aggiornato su uno degli areali produttivi più chiacchierati e ammirati del momento?

D’altro canto è proprio a Radda (e dintorni) che il Chianti Classico, nell’immaginario collettivo, si è avvicinato in maniera più intima e concreta al concetto di “vino in filigrana”, giocato sulle sfumature di sapore più che sulle asserzioni, in cui la trasparenza non sia soltanto cromatica ma espressiva, con l’illusione bella di riuscire finalmente ad omaggiare l’ariosità, lo scheletro sapido-minerale, il fraseggio dei profumi, lo slancio acido, il fiore oltreché il frutto.

Ora, per quanto mi riguarda un conto sono gli stimoli (e in questo caso non sono davvero mancati), un conto è cosa farne di tutte quelle informazioni, quei paesaggi, quelle parole. Fatto sta che all’inizio non avevo propriamente in mente un’idea narrativa, ma ho sentito pressante fin da subito l’urgenza di un racconto. Certo non mi sarei mai immaginato che quel racconto avrebbe poi acquisito le fattezze di una saga!

Nota a margine: i ritratti che seguono intendono rispettare pedissequamento l’ordine di apparizione. Si dà il caso che quel giorno abbia proceduto “al contrario” nei miei assaggi, e così oggi “al contrario” li ripropongo. Insomma, per una volta ci affideremo all’ordine inverso, tanto per non farsi mancare niente in fatto di originalità. E siccome i “Vignaioli di Radda” sono 24, nella narrazione li abbiamo divisi salomonicamente in due dozzine. Mica per altro, ma per garantire un minimo di benessere psico-fisico ai pazienti lettori.

___§___

VIGNAVECCHIA

Prove di accordatura e di armonizzazione per la produzione in rosso della famiglia Beccari, proveniente dalla luminosa conca di Radda, in prossimità del centro del paese, ciò che va traducendosi in una serie di vini formalmente ineccepibili e pure in crescita di focalizzazione, ma a cui vorremmo vedere associate una maggiore tensione gustativa e una migliore caratterizzazione d’insieme.

Ad emergere è il Chianti Classico 2016, a mio avviso il più centrato e “territoriale” della gamma, buon viatico per riallacciare il discorso con gli antichi fasti; un po’ accomodante lo stile che permea le altre selezioni, anche se le annate in gioco potrebbero averci messo del loro.

Chianti Classico 2016

Fruttato, ordinato, nitido e docilmente armonioso, sebbene sia un po’ semplice di trama riesce a offrirti una bevibilità spontanea e “compagnona”.

Chianti Classico Riserva 2015

Dolcezza in esubero e “fianchi larghi”, generosa avvolgenza alcolica e chiusura più asciutta, tipica di una annata calda.

Chianti Classico Gran Selezione Odoardo Beccari 2014

Morbido, rilassato, concessivo, gli umori del sottobosco aprono squarci su uno stato evolutivo un po’ avanzato per l’età che ha. Mi manca il cambio di passo.

Raddese 2014 (sangiovese)

Non difetta in nerbo e tenacità, sotto l’egida di un temperamento sanguigno; a turbarne gli equilibri e il tasso di originalità sono semmai il rovere (che batte un colpo) e i tannini in eccesso.

___§___

VAL DELLE CORTI

Fra gli esponenti liquidi più accreditati del nuovo rinascimento enoico chiantigiano, portatori sani di freschezza, eleganza e sfumature di sapore, i vini di Roberto Bianchi non perdono un colpo quanto a felicità espressiva e coerenza stilistica. D’altronde è la qualità del disegno e la capacità di dettaglio a porli d’imperio ai vertici della denominazione.

Nel frattempo, in attesa di un Chianti Classico Riserva 2016 di cui abbiamo già subodorato l’eloquente statura autorale, ci pensa il Chianti Classico pari annata a farne le veci e a certificare che ci troviamo di fronte ad un millesimo coi fiocchi.

Chianti Classico 2016

Elegante, leggiadro, fresco, prodigo di sfumature e di “non detto”, si libra con garbo facendosi riconoscere a istinto per ariosità e sentimento.

Chianti Classico Riserva 2015

Un Valdellecorti in versione più robusta, che non disperde la connaturata attitudine all’eleganza, così come il contributo provvidenziale di una corrente di freschezza acida, a fronte di uno sviluppo teso ma dotato di una impalcatura tannica più incisiva, fitta ed “irrigidente” del suo solito.  Il brillìo sapido che senti covare sotto, però, è un lascito prezioso per il futuro che viene.

Extra 2014 (sangiovese)

Suadenza aromatica, tonicità, articolazione, poi chiusura più asciutta e disadorna.

___§___

TERRABIANCA

Fedeli traduttori, secondo una chiave stilistica “moderna”, di un territorio che per sua natura è solito spingere su tonalità più “accese” e su trame più fruttate e robuste, i vini di Roberto Guldener provengono dall’appendice meridionale dell’areale di Radda, al confine con quello di Castelnuovo Berardenga, e staccano decisamente rispetto all’immaginario organolettico raddese in virtù di profili più morbidi e avvolgenti, in grado comunque di fondere fisicità ed eleganza in modo apprezzabile e mai fuori misura, circostanza che coinvolge sia i Supertuscan della casa sia il Sangiovese, quest’ultimo rappresentato dal Chianti Classico Riserva Croce.

Chianti Classico Riserva Croce 2014

Prugna, ciliegia matura, rotondità e piacevolezza. La voce fruttata rende brillantezza al quadro aromatico e una sensazione ancor vitale di gioventù. C’è equilibrio, sì, c’è equilibrio, ma non troppa profondità.

___§___

TENUTA DI CARLEONE

Sarà anche l’ultima nata in ordine di tempo qui a Radda (2012), ma la Tenuta di Carleone, nel breve giro di giostra delle sue prime vendemmie, ha saputo costruirsi una reputazione ragguardevole fra gli appassionati più sensibili alle ragioni del terroir, tanto da diventare un caso.

L’investimento effettuato dall’imprenditore austriaco Karl Egger, grazie all’apporto di un vinificatore di talento e di un “cacciatore di vigne” come Sean ‘O Callaghan (ex Riecine), va ripagando gli sforzi e le attese con una serie di vini centrati, puri, ad alto tasso di dignità territoriale e permeati da una spontaneità a tratti struggente. Ah, vi parleremo pure del “mitico” Il Guercio, anche se per la verità le sue uve discendono da un vigneto di Gaiole.

Chianti Classico 2016

Elegante, teso, slanciato, disegnato in bello stile sul registro sapido-minerale, qui la trasparenza espressiva gira a mille. Uno dei migliori Chianti Classico d’annata !

Due 2015 (sangiovese/merlot)

Intensità fruttata, nitidezza, precisione esecutiva ma non la vibrazione e la personalità riscontrate negli altri vini della gamma.

Uno 2016 (sangiovese)

Elegantissimo, succoso, dinamico, di grande “nudità” e naturalezza. Tutto sussurri e niente grida, la persistenza e la pervasività lo pongono ai vertici assoluti del territorio tutto.

Il Guercio 2017 (sangiovese)

Profuma di rose, ed è una raffinatezza evocativa la sua, che porta a pensare alla levità. Come se non bastasse, non risente manco troppo dell’annata calda, e questo sì che è un miracolo!

___§___

PRUNETO

Situata sul colle che ascende a Volpaia, a 500 metri di altitudine, la cantina della famiglia Lanza è sicuramente una delle realtà più piccole di Radda e la sua fama è pari almeno alla discrezione dei titolari.

Due soltanto i vini prodotti, Chianti Classico e Chianti Classico Riserva, frutto di un protocollo curato e realmente artigianale. Colpisce semmai la scelta delle annate in gioco, con un Riserva 2011 (il Riserva attualmente in commercio?) che soffre oltre maniera le insidie di un millesimo torrido, fortunatamente compensato da un 2015 che risponde invece come ci si dovrebbe attendere da un vino nato “sulla via di Volpaia”, ovvero a suon di dinamica e scioltezza.

Chianti Classico 2015

Simpatico, pepato, gustoso, niente male per profilatura, progressione e cambi di ritmo.

Chianti Classico Riserva 2011

Alcolico, materico, dal frutto “spalmato” e dalla dinamica impacciata, sente il peso di una evoluzione veicolata da una annata insidiosa e calda.

___§___

POGGERINO

Fra il Podere Bozzolo e Bugialla, nel quadrante nord orientale dello scacchiere vitato raddese, ha preso vita una delle esperienze realmente virtuose del territorio chiantigiano, frutto di una combinazione speciale di suoli, microclima e sensibilità interpretativa.

Piero Lanza sembra aver trovato la giusta chiave d’accesso per spogliare i vini del “di più” e traghettarli su una sponda dove regnano sovrane l’autenticità e la naturalezza espressiva. Lo ha fatto con umiltà, prendendosi il suo tempo, passo dopo passo, osservando e affinando concetti e idee. Oggi la qualità offerta dai suoi vini è irreprensibile, tanto da ergersi con altrettanta umiltà a pietra di paragone per l’intera denominazione.

Chianti Classico 2016

Goloso, proporzionato, nitido, fresco e “croccante”: davvero un ottimo vino d’annata!

Chianti Classico N’uovo 2016

Sincerità, veracità e quel finale leggermente rugoso ad amplificarne la valenza “ gastronomica”. Di lui ti colpisce il carattere senza fronzoli, diretto, nudo. Quanto invece alla scioltezza e ai dettagli aromatici, non resta che attendere.

Chianti Classico Riserva Bugialla 2016

Inarrivabile ai più per profondità, eleganza, complessità minerale e ricchezza di dettagli, è nè più nè meno un conseguimento raro.

___§___

PODERE TERRENO (ALLA VIA DELLA VOLPAIA)

Cambio recente di proprietà per questa cantina, fino al 2015 appartenuta alla famiglia Rapisarda, che da molti anni si è fatta interprete di Chianti Classico sobri e compassati, dall’indole austera, dal gusto etereo e dal tratto leggermente rugoso, la cui linearità espressiva non gli ha forse ancora consentito di raggiungere i vertici attesi.

Le annate presentate in assaggio appartengono al periodo di “transizione”, o giù di lì. A detta dei nuovi titolari bisognerà attendere l’annata 2018 per mostrare appieno le nuove insegne stilistico-interpretative. Gli auguri sono d’obbligo, e pure sentiti.

Chianti Classico 2016

Toni fruttati di ciliegia, su risvolti di china e liquirizia, aprono ad uno sviluppo non chiarissimo nella scansione dei sapori, più ampio che profondo, “tondeggiante”, con qualche ridondanza materica sul cammino, quasi fosse in attesa di una finalizzazione più armoniosa.

Chianti Classico 2015

Evoluzione nel segno della terra e del sottobosco, accompagnata da una certa indeterminatezza nella trama. Ma se la rugosità tattile non sposa appieno le ragioni dell’eleganza, è la fierezza ad abitare questo bicchiere, scandita da un alone di sana classicità.

___§___

PODERE L’AJA

Ecco una cantina di cui non si parla mai abbastanza ma i cui vini vanno disegnando traiettorie sempre più convincenti e, soprattutto, aderenti ai canoni espressivi tipici del territorio, fondate su una dinamica verticalità, sulla freschezza acida e su un impianto stilistico tradizionale, a configurare un’intima armonia gustativa senza ridondanza alcuna.

I possedimenti aziendali  – dodici ettari e tre siti differenti per altimetrie, composizione dei suoli ed esposizione- contribuiscono ad una interessante diversificazione negli accenti, mentre gli assaggi odierni ci confermano una produzione intrigante, al punto da farsi perdonare l’impiego di un nome urticante come “L’Ingegnere” (ma so che si tratta di una dedica intima, e in quanto tale da rispettare). 🙂

Chianti Classico 2016

Silhouette stilizzata e impettita dall’acidità, limpida nei dettagli, affilata nelle trame ma senza che risulti tagliente. Si beve di gusto!

Chianti Classico 2015

L’intensità del frutto e il commento alcolico sono i lasciti legittimi dell’annata, ed è per questo che, rispetto al 2016, va a perdere qualcosa in termini di bilanciamento. La dignità territoriale però non ne resta scalfita.

Chianti Classico Chielle 2016

Buona l’armonia aromatica, fra frutti rossi del bosco e freschezza balsamica. Rispetto delle proporzioni e modulazione nei toni alimentano un sorso interessante, che deve soltanto scrollarsi di dosso alcune residuali reminiscenze del rovere.

Chianti Classico Chielle 2015

Aperto e concessivo, i profumi piacevolmente dispiegati non trovano adeguata corrispondenza al gusto, di fatto più “obbligato”, pragmatico e diradato, specialmente nel finale.

L’Ingegnere 2016 (sangiovese in purezza vinificato a grappolo intero)

Curiosissima nota agrumata, quasi da bianco, ad annunciare profumi cangianti e diversi dal solito mainstream. In piena corrispondenza ecco poi un palato scattante, agile, spigliato, di una sua intima saldezza. Però!

___§___

PODERE CAPACCIA

La storia del Podere Capaccia resta indissolubilmente legata al suo vino simbolo, Querciagrande, il supertuscan a base esclusiva sangiovese grazie al quale mi innamorai del territorio di Radda che ero ancora giovane.

E’ passato del tempo, e pure la proprietà è passata di mano. Il nuovo titolare, il belga Herman De Bode, ha indirizzato fin da subito la produzione secondo i canoni estetici propri della “modernità”, lì dove evidenza fruttata, puntiglio tecnico, concentrazione e “rotondità” sono diventate voci in capitolo, soprattutto nell’elaborazione delle selezioni, salvo poi ricalibrare gli assetti nelle ultime stagioni.

L’unicità del terroir, a dire il vero, con i suoli sciolti e calcarei, i 550 metri di altitudine e le sensibili escursioni termiche, è in grado di metterci del suo: il contrappunto acido e la fine impalcatura tannica riescono sovente ad offrire l’auspicato grado di contrasto ai vini, cosicché la pienezza può vestirsi di senso, mantenendosi a debita distanza da certe chine potenzialmente omologanti.

Chianti Classico 2016

Qui vi si respira una sensazione di appagante compiutezza: succoso, con l’acidità in tiro, nonostante i modi un po’ “stilosi” e accomodanti riesce a garantire alla trama tonicità e piacevolezza.

Chianti Classico Riserva 2016

Materia abbondante, evidenza fruttata ma anche tensione acida ad offrire reattività e contrasto. Promettente, ché a ben vedere non c’è niente di così scontato qui.

___§___

MONTEVERTINE

Uno di quei casi in cui potremmo tranquillamente rinunciare alle presentazioni: il nome basta e avanza. Per quelle due o tre persone, invece, che non conoscono gli antefatti, diciamo che è stata inaugurata a Montevertine, negli anni Settanta del secolo scorso, la nuova via al Sangiovese chiantigiano, che nel tempo ha preso il nome di archetipo.

In soldoni, Montevertine è la spiegazione spiegata di come, a volte, certe coincidenze della vita possano partorire unicità, tipo quando si incontrano al momento giusto e nel posto giusto un produttore caparbio e visionario (Sergio Manetti), un cantiniere fattosi memoria storica (Bruno Bini) e un “mastro assaggiatore” con idee pure e semplici in testa (Giulio Gambelli).

Certo la storia qui ha il suo peso eccome, ma il merito di tutto questo ambaradan non può non essere condiviso con l’attuale conduttore, Martino Manetti, che ha preso sulle spalle una eredità importante e responsabilizzante con il chiaro intento di mantenerne integro il lignaggio e coerente il percorso intrapreso. Ecco, casomai ce ne fosse bisogno, i vini di oggi ci confermano che è andata proprio così.

Pian del Ciampolo 2017

Senso delle proporzioni e innata piacevolezza dettano i ritmi di un vino stilizzato e diretto, quasi insensibile ai lasciti di un millesimo caldo. In sua compagnia, bicchiere alla mano, puoi comprendere fino in fondo cosa significhi beva compulsiva, e giustificarla.

Montevertine 2016

Bel vigore fruttato per un vino teso, pieno di sève e innervato dall’acidità. Casomai, rispetto ad altre edizioni e a parità di stato evolutivo, mantiene ancora una quota di riservatezza in termini di sfaccettature ed allungo. Ma a me questa vena nobilmente introspettiva piace eccome!

Le Pergole Torte 2016

Di evidente integrità fruttata, è brillante, sostenuto, contrastato, con un tannino profondo e baritonale a scolpirne la personalità, una personalità che chiede tempo per sdilinquirsi, fedele alla sua proverbiale parabola evolutiva che è poi quella di un treno a vapore, non di uno sprinter. Per inciso: lui sa già che arriverà alla stazione più lontana, lasciandosi dietro sprinters di ogni razza e religione.

___§___

MONTERAPONI

 

Nel giro di relativamente poche vendemmie i vini di Michele Braganti si sono ritagliati un posto al sole nell’universo classico chiantigiano grazie alla freschezza, al garbo espositivo e alla eleganza cristallina che ne va a permeare le trame, rendendogli una silhouette affusolata prodiga di dettagli sottili e punteggiata da una finissima architettura tannica, diretta conseguenza di un terroir fatto di altitudini significative, di terreni poveri e fortemente calcarei e di una sensibilità interpretativa per niente interessata all’estrazione e alle forzature.

Una cosa è certa: di fronte a questi vini sussurrati, tutti giocati sul registro sapido-minerale e in piena corrispondenza euritmica con i luoghi da cui discendono, ti viene più facile parlare di purezza.

Chianti Classico 2017

Freschezza, rispetto delle proporzioni, disinvoltura: essere figlio di una annata calda e non darlo ad intendere! Davvero buono, perché il fascino disadorno custodisce una luce viva, e c’è un mare di dettagli qui da poter scoprire.

Chianti Classico Riserva Campitello 2016

Quando si dice naturalezza espressiva. Progressione, eleganza, forza acida, il tutto ricamato a macramé, dove la sottrazione si fa ricchezza. Fra i migliori in assoluto!

Baron’Ugo 2015 (sangiovese)

Classicità, “trasparenza”, sottile candore e una dote tannica da annata calda. Ma a lui appartengono garbo e tensione.

___§___

MONTEMAGGIO

Nello splendido isolamento d’altura di Montemaggio prendono vita Chianti Classico austeri, vibranti di acidità e di sale, sensualmente e selvaticamente terrosi, dal fruttato “scuro” e dal coté profondamente balsamico, della cui piena espressività è solito farsi garante il tempo.

Vini peraltro che, se non vado errato, detengono un record: l’uscita sul mercato più ritardata di tutti, più tardi ancora di Castell’in Villa!  Tanto per intenderci, ora in commercio c’è il 2013 come vino d’annata. Le ragioni che stanno alla base di questa scelta possono avere diverse sfaccettature e stimolare alla discussione sia i sostenitori che i detrattori, il fatto però che i vini possiedano un eloquente potenziale di longevità è una circostanza difficilmente opinabile.

Chianti Classico 2013

In tiro, balsamico, succoso, fresco, ben indirizzato dal pungolo acido. Ha modi compassati, senza sbrodolature né ridondanze, ed è un vino ad alto tasso di riconoscibilità.

Chianti Classico Gran Selezione 2012

Evoluzione nel segno del sottobosco, signorile sobrietà e quell’intreccio di sapore ancora parzialmente irrisolto -ma maledettamente affascinante- fatto di sapida mineralità, acidità e tannino a renderne la timbrica personale, vibrante e austera. Interessantissimo, da che guarda al futuro.

___§___

to be continued, come dicono a Radda…… Per la seconda parte CLICCA QUI

FERNANDO PARDINI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here