Capezzana: vino, olio e opere d’arte. Prima parte

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Un paio di settimane fa, il 29 maggio, nel mezzo di un’incertezza stagionale che mescolava timidi tentativi di temporale, umidità tropicale ed altri fenomeni bizzarri che un meteo ormai insofferente sta sfogando su di noi come reazione ai danni che per decenni abbiamo compiuto all’ecosistema, ho incontrato Beatrice e Benedetta Contini Bonacossi, proprietarie e conduttrici di Capezzana, in un locale davvero sui generis di Milano che non conoscevo, il Deus Cycleworks Café di via Cavallotti, ubicato tra San Babila e Largo Augusto. Un ambiente polivalente che fa capo a Deus Ex Machina (marchio nato in Australia specializzato in motociclette, biciclette e tavole da surf), luogo di ritrovo per ciclisti, spazio espositivo delle biciclette dello storico marchio italiano Bianchi, officina, negozio, café-ristorante con piatti al contempo informali e ricercati (mi ha fatto piacere ritrovare a tavola un piatto della tradizione milanese che sembra quasi scomparso dalle proposte della città: il midollo).

Conosco Capezzana e i Contini Bonacossi da tempo: è stato uno dei primi luoghi del vino che ho visitato quando ho cominciato ad occuparmi professionalmente di giornalismo enologico. Per storia, estensione e bellezza, Capezzana, prima di essere semplicemente una tenuta, un’azienda vitivinicola, una cantina, è un borgo e un microcosmo. È situata in splendida posizione panoramica sulle colline di Carmignano (nord-est di Firenze, provincia di Prato), secolare quanto appartata denominazione toscana: la sua tradizione sembra risalire addirittura all’epoca etrusca; la prima citazione storica è dell’8 dicembre 1396 con l’acquisto, da parte del mercante Francesco di Marco Datini, l’inventore della cambiale ricordato con una statua nella piazza del Comune di Prato, delle 15 some di «vino Charmignano», che nel 1716 è indicato come uno dei quattro vini di pregio insieme a Chianti, Pomino e Valdarno nel celebre bando del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, antesignano delle moderne denominazioni, .

La tenuta si estende lungo tre province (Prato, Pistoia, Firenze) e sei comuni (Carmignano, Poggio a Caiano, Prato, Quarrata, Capraia e Limite, Vinci) per 650 ettari, di cui 90 a vigneto (78 attualmente in produzione), 140 a oliveto, ambedue a coltivazione biologica certificata dal 2015, e il resto tra boschi e seminativi. Si trova all’interno dell’antica riserva di caccia istituita nel 1626 dal granduca Ferdinando II de’ Medici, chiusa da un’imponente cinta di mura lunga una cinquantina di chilometri chiamata Barco Reale, una zona preservata nel tempo dall’edilizia selvaggia il cui nome rappresenta oggi, nella denominazione, la versione più giovane del Carmignano: la prima annata prodotta da Capezzana, che lo tenne a battesimo, è il 1984, ed è un taglio di sangiovese 75%, cabernet sauvignon 20% e canaiolo 5%.

Nel 1925 viene prodotto il primo Villa di Capezzana, etichetta storica dell’azienda. Con la figura di Ugo Contini Bonacossi, il “padre del Carmignano” scomparso nel 2012 (fu lui il principale artefice della storica scissione dal Chianti e dal suo ingombrante disciplinare), Capezzana si trasforma in un’azienda moderna, abbandonando la mezzadria e iniziando l’esportazione all’estero. La tenuta è in seguito condotta dai figli Vittorio, scomparso lo scorso anno, Benedetta, che dal 1998 guida la produzione enologica, Beatrice, che si occupa della direzione commerciale, Filippo, che segue il settore finanziario e la produzione dell’olio, e dai nipoti Gaddo, responsabile di campagna, e Serena, responsabile commerciale, che rappresentano la quinta generazione di famiglia.

Come ricorda un contratto di affitto conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, qui si producono vino e olio dal 804. Le 30.000 piante d’olivo – potate e seguite da diversi operai specializzati, suddivisi in un centinaio di gruppi per razionalizzare le operazioni manuali (Capezzana si occupa solo di quelle meccaniche di trasformazione, gli operai trattengono per contratto il 50% dell’olio del proprio lotto) – generano uno squisito Olio Extravergine di Oliva prodotto con moraiolo 60%, frantoio 30% e un 10% di leccino e pendolino.

Dentro Capezzana si respira l’aria della storia, della cultura, dell’arte, della buona agronomia ed enologia. È difficile non rimanere incantati dal fascino della rinascimentale villa padronale (il “salottino Impero”, la “stanza di Elena”, la “sala grande” del piano nobile), dalla bellezza della campagna circostante, dalle cinquecentesche cantine storiche, dalla magia della vinsantaia, dal confort dell’agriturismo.

Le vigne, che godono delle escursioni termiche provenienti dalla catena appenninica, hanno differenti giaciture, esposizioni, pedologie ed età (la più vecchia risale a 55 anni fa). «Il terreno ha una conformazione piuttosto eterogenea. È stupefacente osservare il caos da cui tutto trae origine. Molte vigne hanno terra argillosa che passa a sabbiosa per tornare argillosa e magari galestrosa, metro dopo metro c’è una grande differenza. Se qualcuno volesse trovare la formula alchemica del vino di Capezzana, la troverebbe proprio nell’estrema disomogeneità della terra e dell’esposizione dei vigneti. È esattamente da questa “caoticità” che scaturisce la grande complessità dei nostri vini, inimitabili esattamente perché è impossibile ripetere la stessa ricetta in altre regioni o in terreni anche non lontani dal Carmignano», scriveva Vittorio Contini Bonacossi nei suoi appunti, letti non senza commozione da Benedetta al Deus Cycleworks Café.

«Le terre di Trefiano sono estremamente diverse tra le tre vigne e nelle stesse vigne. La vigna di cabernet sauvignon poggia su argille collose e gialle nella parte più alta e terre sabbiose e tufacee nella parte più bassa; la vigna di Pietraia è ricchissima di pietre, come è facile dedurre dal nome, mentre la terra è argillosa. La vigna di Le Croci ha anch’essa argille, ma di differente colore, più bianche nella parte verso Poggio a Caiano e più gialle al centro, mentre tornano bianche e povere, ma molto calcaree, nella parte verso Seano».

Benedetta tiene a sottolineare anche il lavoro di cura e ricerca operato, in collaborazione con FoodMicroTeam, sui lieviti spontanei che governano le fermentazioni dei vini di Capezzana al fine di sorvegliarne il comportamento: «Nelle cinque vendemmie seguite sono stati rilevati ben 56 ceppi diversi di Saccharomyces cerevisiae. Il ceppo “CA III” si conferma essere ricorrente e dominante tra le vendemmie, contribuendo, in concerto con i molteplici ceppi minoritari, alla caratterizzazione dei vini della Tenuta di Capezzana» (fig. 1).

Il Trebbiano nasce da una selezione massale del trebbiano di Capezzana, da una selezione delle migliori uve della tenuta e da una vendemmia tardiva localizzata intorno al 10 ottobre (il trebbiano per il Vin Santo viene invece raccolto a metà settembre per conservare maggiore acidità). Bâtonnage in barrique e tonneau usate. Ricordo che nelle prime annate (questo vino nasce con il millesimo 2000) il peso del rovere non era indifferente. Oggi ha invece acquisito più agilità, soprattutto nella versione 2016, maturo sì ma anche tonico e molto nocciolato al gusto. Più polposo e potente il 2017: densità, calore, frutto morbido, con spezie e fiori gialli a primeggiare.

Il Carmignano Villa di Capezzana, taglio di sangiovese 80% e cabernet sauvignon 20% (la quota più alta di questo vitigno secondo disciplinare), è il rosso tradizionale della casa: ci sono in cantina ancora bottiglie del 1925. Fino al 2014 la maturazione avveniva in tonneau da 350 litri, ora gli si affianca anche una quota di botte grande per 15 mesi. Il 2016 ha frutta rossa, alloro, erbe, un tessuto armonico, un alcol integrato, un tannino di bella qualità e un sottofondo di sapore. Il 2015 sfoggia quasi un senso di garrigue (oliva), polpa e carne armonizzati con il tannino, un’acidità che conferisce ritmo e allungo. A dimostrazione del potenziale d’invecchiamento del Carmignano, dal 2006 l’azienda fa uscire sul mercato in 3000 esemplari la versione Dieci Anni del Villa di Capezzana. Il 2009 ha profumi intensi, evoluzioni di sottobosco, terra bagnata, fiori rossi macerati, buon succo, sviluppo declinato sul binomio energia e potenza, alcol importante, finale speziato: c’è l’alloro del sangiovese abbinato al tono fresco-piccante del cabernet. Il 2007 ha uguale potenza alcolica mista a toni di evoluzione, sentori balsamici, tannino solido, chiusura di buona tensione.

Nato nel 1979 da un’idea di Vittorio Contini Bonacossi (il cui nome in etichetta compare dal millesimo 2015), la Riserva Trefiano è il Carmignano più ambizioso e rappresentativo della famiglia; nasce solo nelle migliori annate da un uvaggio di sangiovese 80%, cabernet sauvignon 10% e canaiolo 10% dai tre vigneti che circondano la villa cinquecentesca di Trefiano, costruita nel 1570 dal Buontalenti per la famiglia fiorentina Rucellai, che ne conservò la proprietà fino al 1880. La maturazione avviene in tonneau da 350 litri per due anni. Il 2015 è figlio della sua annata: sfoggia una grande polpa fruttata, un tannino imponente e grintoso, uno sviluppo sciolto e dinamico. C’è tensione dietro la potenza, con un finale sinuoso scandito dall’alloro del sangiovese. Assaggiato lo scorso anno alla tenuta, il 2013 presentava succosità, fluidità, naturalezza e contrasto.

Dedicato al padre, il rosso Ugo Contini Bonacossi (prima annata 2013) è una versione in purezza di sangiovese della vigna Viticciana, piantata nel 2003. Ideata dallo stesso Ugo, ha filari interrotti da due strade a girapoggio in contropendenza che canalizzano l’acqua piovana, evitando l’erosione. Il suolo è formato da terreni scistosi, limosi e argillosi, l’esposizione è solatia. Il 2015 è un vino che unisce potenza e profondità: svetta il carattere del sangiovese in una versione più energica che sfumata, dotata di un solido impianto tannico, di un alcol importante (ma non prevaricante), di un andamento ordinato e compatto.

Fu proprio Ugo Contini Bonacossi a creare il Ghiaie della Furba, ovvero il vino “internazionale” dell’azienda, che nasce dalle vigne ghiaiose piantate a cabernet sauvignon, merlot e syrah (le cui uve compongono l’uvaggio rispettivamente con il 50%, 25% e 25%) poste vicino al torrente Furba. Maturazione in barrique e tonneau per 24 mesi. L’anteprima del 2016, in uscita a settembre, rivela un bordolese dal tratto “carmignanese”, imporporato fin dal colore, saldo, grintoso, pepato, dotato di un sottile fraseggio gustativo e di una buona trama tannica.

continua……

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Contributi fotografici dell’autore, quando non gentilmente concessici dalla famiglia Contini Bonacossi

La foto del gruppo familiare è di Serena Laudisa

GALLERIA

 

 

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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