Villa Raiano: un piccolo modello per l’Irpinia

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Frequento i luoghi e bevo i vini dell’Irpinia da molto tempo. Mi ricordo perciò di quando, a fronte di batterie di vini sempre più a fuoco e intriganti (specie sul versante dei bianchi), nelle facce e nelle teste della critica nazionale e internazionale iniziava a materializzarsi l’equazione Irpinia = grande terra da vino. Oggi, dopo qualche anno, l’effetto “uao!” è pian piano diminuito, perché quasi tutti si sono accorti, produttori in primis, delle potenzialità di questa fantastica area vitivinicola. Possiamo allora forse dire che sia iniziata una sorta di era della consapevolezza. In tal senso, il percorso fatto dall’azienda Villa Raiano potrebbe essere portato ad esempio di un processo di crescita che ha interessato molte piccole realtà di quel territorio.

Appena 20 anni fa il vino non era l’attività principale: era una famiglia di imprenditori, proprietaria di un opificio. Il vigneto era un bell’hobby di famiglia, facevano vino per divertimento insomma… Dai primi esperimenti, ai primi riscontri dai critica e appassionati; dalla comprensione del patrimonio che si aveva in mano, alla volontà di emergere e di fare vini sempre più buoni; fino ad arrivare a oggi, quando una nuova generazione sceglie di stare in azienda a tempo pieno non più un gioco o ripiego, ma anzi, come scelta consapevole e convinta di chi (fortuna loro) avrebbe avuto tante altre alternative.

In un contesto dove il passaggio tra la generazione precedente e quella che la segue non è mai stata cosa scontata, Villa Raiano quindi può essere visto come un piccolo modello per tutta l’Irpinia.

Gli ultimi anni sono stati quelli del rinnovamento, sia nella struttura che ospita la produzione, che nelle strategie di comunicazione a 360 gradi. Federico Basso, figlio del titolare, è il “braccio” che gira per l’Italia. Brunella, la cugina, è il cuore. Fortunato Sebastiano, l’enologo, la mente. Il cambio di immagine aziendale è evidente: Villa Raiano è oggi una cantina super attrezzata, ma fortemente radicata al territorio. Otto gli ettari di proprietà a fiano, sette a greco, dieci ad aglianico, per un totale di 25, che non sono per niente pochi in un territorio così parcellizzato. Il progetto di vino è fortemente improntato sulla valorizzazione dei cru, con prodotti molto diversi da zona a zona.

L’occasione per fare il punto sulla situazione mi è stata data da una verticale organizzata a Roma qualche tempo fa, in cui sono stati messi a confronto quattro annate diverse – dalla 2013 alla 2016 – dei due cru di Fiano di Avellino: l’Alimata e il Ventidue.

Il Fiano Alimata, prende il nome dalla contrada che ospita le vigne, a Montefredane; poste a 450 metri s.l.m., sono state impiantate nel 1995 su terreni argillosi su base marnosa. La vinificazione è in acciaio, poi 12 mesi su fecce fini e un ulteriore affinamento in bottiglia.

Per il Fiano Ventidue, invece, il nome nasce dai 22 km separano queste vigne a Lapìo dalla cantina aziendale. Vigne piantate nel 1990, su terreni argillosi calcarei e ceneri vulcaniche. Vinificazione in acciaio con breve macerazione sulle bucce, 12 mesi sulle fecce fini e 12 mesi di affinamento in bottiglia.

I miei due vini preferiti della mini-verticale sono stati i seguenti:

Fiano di Avellino Alimata 2014
Naso elegante e coinvolgente fin da subito. Sensazioni ampie e stratificate, che vanno dai toni vegetali, come aghi di pino, salvia e macchia mediterranea, a sentori fruttati e minerali, vagamente fumé. Il sorso è integro, fresco, appagante. Finale lungo e sapido. E’ vino in perfetta forma, da annata sulla carta complicata, che mostra ancora una volta come ogni vendemmia sia difficile da catalogare a priori, specie nell’evoluzione che poi potrà avere. Questo è uscito grande alla distanza!

Fiano di Avellino Ventidue 2016

Sarebbe stato facile scegliere la 2013, annata spettacolare per i bianchi irpini. Indico invece questo 2016, vino fresco e ancora in divenire. Lo spettro aromatico ricorda la pera, la menta, le erbe di montagna, con una parte salmastra ad impreziosire il tutto. In bocca possiede grande equilibrio dolce-sapido, con un finale mandorlato lungo e piacevole. Crescerà ancora nel tempo.

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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