Come scriveva in un sonetto Shakespeare, “chi conosce davvero i segreti dell’animo di una donna? e più misteriosamente, chi conosce davvero i segreti dell’animo di un ristoratore?”. Per una volta occorre dare torto al Grande Bardo, con tutta l’arroganza che una simile posizione comporta: l’animo di un ristoratore non ha segreti. L’animo di un ristoratore è pieno di pensieri, tutti convergenti sugli euro; o almeno, l’animo del ristoratore italiano*.
Se il ristoratore italiano – anche stellato e stellatissimo – fosse più aggiornato, e più sensibile ai desiderata dell’enofilo, offrirebbe di prassi un servizio che all’estero è comune: il sacrosanto diritto di portarsi il vino da casa, di aprire quello che più ci aggrada, di scegliere a botta (quasi) sicura tra i vini della nostra cantina. Pagando questo diritto, naturalmente.
Certo, esiste qualche sporadica eccezione al diniego seccato che oppone di solito il gestore anche alla più cortese e preventiva richiesta di usufruire del diritto di tappo, o corkage. Nel Regno Unito il corkage, o cork fee, è la somma aggiunta nel conto finale a chi si porta le proprie bottiglie al ristorante. Dai noi è considerato uno sgarbo al lavoro di selezione del sommelier. Un’offesa “al progetto di rapporto cibo/vino del nostro locale”. Una mancanza di rispetto “verso il considerevole immobilizzo di capitale che ci siamo sobbarcati per offrire al cliente una lista di vini originale”. E, in misura ancora più stringente e decisiva, un attentato ad una delle principali fonti di guadagno – tramite ricarichi certo non marginali – dell’intera attività ristorativa.
Sia pure. Lo trovo perfettamente comprensibile. Ma quanti saranno i monomaniaci del vino che si caricano tre o quattro bocce, se le portano al ristorante e ci pagano sopra una tassa? Il 2% del totale? il 3%? facciamo il 5%? E a te cosa cambia se questo drappello di fanatici si accolla il vino da casa e ti dà pure altri soldi oltre al conto di base?
Mi ha scritto ieri un amico enofilo di ritorno da Londra: “in UK il pagamento del cork fee è pratica corrente anche in locali stellati. Con 20-30 sterline di corkage puoi portarti bottiglie che, se pure fossero in carta, te ne costerebbero sul conto finale magari 1000 e oltre. Per esempio, sabato sera ho portato Bollinger 1996, Corton Clos du Roi 2000 Chandon de Briailles, Meursault 2002 Coche Dury. Senza contare il fatto che – rischi di tappo a parte – andavo sul sicuro, conoscendo in anticipo cosa avremmo bevuto.”
Lo trovo un diritto negato all’appassionato italico. Perché poi? Perché? Penso quindi di fondare, entro la fine del 2019, la LaLiCaVi, ovvero lega per la liberazione dalle carte dei vini; in alternativa, dovessi ricevere troppe proteste, premerò invece per la nascita della LoLeViCa (lobby per la legalizzazione dei vini da casa).
* si scherza, eh: questo è un post ristoratore-friendly; le immagini di crudeltà contro i ristoratori sono pura finzione scenica; nessun ristoratore è stato realmente maltrattato durante la scrittura del relativo testo.
Completamente d’accordo!
Inoltre: 1) i rilievi menzionati potrebbero o possono applicarsi ad alcuni eccellenti o almeno costosi locali ma non certamente alla quasi totalità degli altri. In questi, in generale, la carta dei vini viene stilata solo sulla base della convenienza (prezzi bassi di acquisto) o della commerciabilità.
Come una volta mi disse un ristoratore “ogni mattina passa almeno un rappresentante con offerte speciali…sarei uno stupido a non approfittarne”.
2) Anche nei locali blasonati non sarebbe preferibile per loro incassare la cork fee senza rischi invece che vendere una sola bottiglia e magari di basso prezzo?
3) La battaglia da portare avanti con la LERAPREVI (LEga per il RAddoppio dei PREzzi dei VIni) sarebbe di vietare ai ristoratori di triplicare il prezzo. I clienti berrebbero più vino, il ristorante farebbe gli stessi guadagni e i produttori ne trarrebbero vantaggio ma in generale ci sarebbero maggiori opportunità di far conoscere altri vini meno pubblicizzati.
Cheers!
PS per il produttore, almeno il piccolo e appassionato, è sempre uno shock, vedere che il ristorante (l’ultimo della catena, che non ha dovuto penare, non ha subito la grandine, non ha rischi, ecc.) si prende la maggior parte del guadagno