A Cuna oggi Il sole picchia duro. Eppure la luce non sembra luce di calore, ma luce che illumina.
Che poi le temperature qui, di notte, scendono giù secche, e quella sì che è una fortuna, assieme ai suoli di scisti argillosi e a un clone particolare di pinot noir dal quale si guardan bene i produttori borgognotti di medio cabotaggio, in virtù della scarsa sua produttività.
A guardia della vigna c’è Federico, Federico Staderini, di mestiere enologo, di fatto molto di più.
A Cuna ha preso vita la sua scommessa personale: 3 ettari e mezzo fra pinot nero e la misteriosa abrostine, trasformati in vino così, come mamma li ha fatti, frutto di una viticoltura che non sai dire se più arcaica o più contemporanea. Di certo, con scarsi mezzi e l’arte di arrangiarsi, in piena aderenza ai canoni della più autentica artigianalità.
Cuna 2016 – pinot nero del Casentino – è ariosità allo stato puro. Difficile realizzare un sentimento di eleganza senza pensare a lui. Per questo è un conseguimento raro.
Mi piace però ricordare Brendino, perché Brendino è stato uno degli ultimi contadini a lasciare il Casentino quando dal Casentino iniziò l’esodo. Lui non voleva mollare.
L’atto finale fu la cessione di un pezzo di terra disposto a 550 metri di altitudine a Federico Staderini. Dopodiché, dagli spazi aperti di Cuna fu costretto ad emigrare all’Isolotto di Firenze. La parabola vitale di Brendino durò poco, all’Isolotto. Non resse il colpo della lontananza, e morì.
Federico oggi gli dedica il vino più esclusivo, Pinot Noir da vigna singola che esce sui mercati se e quando estri ed annate lo consentono. Brendino è tornato a casa.