I bianchi (friulani) dei Clivi: essenzialità ed espressione

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In un caldo pomeriggio milanese di fine settembre, Mario Zanusso, titolare della cantina friulana I Clivi, è a Milano presso Lo Spazio NEFF per raccontare la storia, l’azienda, i vini della sua famiglia.

È il 1995 quando Mario si laurea in economia a Milano e il padre Ferdinando Zanusso, rientrato dall’Africa dopo 40 anni di lavoro per una ditta francese di trasporti, decide di stabilirsi in Friuli, terra natale della moglie, e acquistare alcune vigne. Ferdinando approda al mondo del vino quasi per caso: ragioniere astemio (il vino che assaggiava nell’osteria trevigiana del padre Adolfo, dove faceva il cameriere, non gli piaceva per niente), scoprì solo grazie ad alcune esperienze parigine l’esistenza di vini che non avevano nulla a che spartire con la rusticità di quelli cui era abituato.

La conoscenza si trasforma in passione, la passione in produzione. Ferdinando compra un vigneto di due ettari sul versante sud del Monte Quarin, a Brazzano di Cormòns, dove dimorano vecchie viti di tocai e malvasia. Poco tempo dopo ne acquista un altro di tocai e verduzzo a Gramogliano di Corno di Rosazzo. Nascono così il Brazan e il Galea, due cru che la geografia giuridica assegna a due distinti territori nonostante siano situati a pochi chilometri l’uno dall’altro: da una parte la zona del Collio, dall’altra la denominazione Colli Orientali del Friuli.

Se le province differiscono (la prima ricade sotto Udine, la seconda sotto Gorizia), la matrice pedologica rimane sostanzialmente la stessa: su queste pendici collinari (da cui il nome aziendale, abbreviazione di “declivi”) regna incontrastata la ponca friulana, un mix vocato di arenarie cementificate e marne argillo-calcaree. Le vecchie vigne – 60 (Galea) e 80 (Brazan) anni d’età – godono di esposizioni differenti: sud-est nei Colli Orientali, sud-ovest nel Collio, dove l’ombra del monte Quarin vela al mattino la superficie dei vigneti, rinfrescati anche dal primo fronte dei venti provenienti dal mare di Grado.

Marco aiuta il padre ed entra poco a poco in confidenza con i lavori di campagna e con la poesia della terra, dedicandosi a tempo pieno al mestiere di vignaiolo. Dapprincipio, e per qualche anno, dietro consiglio di Mario Schiopetto, le uve vengono vinificate da Gaspare Buscemi, sperimentatore versatile, pioniere del vino “naturale” italiano, fondatore di un’azienda di consulenza e servizio per i piccoli vignaioli “artigiani”. Buscemi indica agli Zanusso la via che ritiene più genuina per vinificare i bianchi friulani: lieviti indigeni per la fermentazione e acciaio per la maturazione.

Nel frattempo gli ettari diventano dodici, otto nei Colli Orientali e quattro nel Collio (dal 2007 tutti a conduzione biologica) e gli Zanusso costruiscono la loro cantina, decidendo di escludere malvasia e verduzzo, piuttosto invasivi, dai due uvaggi per privilegiare la purezza del tocai, o friulano come si dice oggi. Pigiano uva intera, ottenendo mosti più puliti ed evitando le chiarifiche; usano solo il mosto fiore (con una resa del 60% dell’intero grappolo); controllano le temperature di fermentazione; impiegano il legno solo per il trattamento delle fecce fini, separate prima dal mosto e nuovamente accorpato dopo un lungo bâtonnage; utilizzano poca solforosa e una leggera filtrazione prima di andare in bottiglia. L’intento è quello di produrre vini bianchi – rigorosamente secchi, «perché», chiosa Mario, «qualsiasi zucchero residuo banalizza i vini» – che restituiscano il sapore della terra dove nascono.

Il Friuli Colli Orientali Friulano San Pietro 2018 arriva dalla parte del Galea occupata dal tocai verde, biotipo o varietà di tocai che si differenzia da quello giallo (più nobile e destinato ai due cru) per una maggiore fragranza olfattiva. Il naso profuma infatti di fiori ed erbe di campo: un naso longilineo, giocato sulla riduzione, sulla freschezza. Così anche il palato: pieno, contrastato, saporito. Più passa il tempo e più il vino respira, si amalgama, si insaporisce. Finale nocciolato.

Il Collio Friulano San Lorenzo 2017 vinifica il tocai verde del Brazan con più affinamento sulle fecce fini. Paglierino brillante e leggero. Profumi spiccatamente varietali di erbe e fiore di mandorlo, palato energico, tonico, modulato, sapido. Il San Lorenzo fotografa perfettamente lo stile rigoroso, asciutto, dinamico della casa.

La vocazione a esprimere bianchi corposi e nitidi traspare anche nel Collio Goriziano Clivi Brazan 2016, nel suo colore paglierino brillante, nelle sue fragranze sottili ed eleganti di fiori di campo e anice, nella sua bocca polposa, di tonica modulazione e infiltrazione sapida, nella sua persistenza discreta e continua. L’essenzialità non fa rima con povertà, ma con eleganza ed espressione. «Con questo 2016 parliamo di qualcosa che non è più sotto controllo, qui parla la terra», commenta Mario.

Nel Friuli Colli Orientali Bianco Clivi Galea 2016, proveniente da terre più calde e argillose, il naso si contorna di elementi di pietra focaia, di erbe tagliate, mentre il palato sfoggia la consueta pienezza di polpa senza risultare statico: il peso della struttura non ha sacrifici sul piano dell’equilibrio e dell’allungo, al contempo lento e spiccato. I vini di Mario Zanusso nascono sotto l’egida della stilizzazione e della sottrazione: «Faccio mie due delle forme che hanno ispirato Calvino nelle sue Lezioni americane: leggerezza ed esattezza».

Ci si inoltra così nelle annate più vecchie, senza millesimi intermedi di accompagnamento, una scelta radicale e coraggiosa che ben esprime lo spirito di famiglia. Nel Collio Friulano Brazan 2002 il colore si fa dorato intenso, i profumi tracciano un’evoluzione che vira verso il miele, l’agrume candito, le spezie orientali, con un palato spesso e ricco che mantiene sapore e vigore, stoffa, personalità, allungo. L’architrave è tutta nel sale contenuto e rilasciato dal flysch di Cormòns, la marna calcarea-argillosa. Sorregge da sola le peculiarità di un vino che ha fatto fermentazione malolattica (in uso fino al 2005) e che è frutto di una tecnica un po’ diversa rispetto a quella attuale.

Ancora più clamorosa la sapidità del Colli Orientali del Friuli Bianco Galea 2002: colore più dorato del Brazan, meno profumi, molto miele, con un palato ricco e sostanzioso che diventa dinamico per la verve di sapore che si diffonde nel finale di bocca, trasformandosi in trazione gustativa. «Mi piace la decadenza del 2002, quel suo sentire di acqua piovana».

Anche il Collio Clivi Brazan 2000 tempera il suo colore dorato, i suoi profumi di fiori d’acacia e balsami, il suo palato che sa di grano e miele con un sapidità che sostiene, sorregge e rilancia lo sviluppo in bocca. Nonostante la marcata evoluzione, il vino mantiene dirittura e modulazione. Accade, seppur in misura inferiore, anche nel Colli Orientali del Friuli Bianco Galea 2000: tinta dorata intensa, profumi di fiori secchi, grano, acacia, spezie, miele, palato maturo, pieno, un po’ statico ma non privo di sapore.

Ormai è ora di cena. In compagnia del RBL Brut Nature 2018, uno spumante a base di ribolla gialla ispirato dalla methode ancestrale (la formazione della carbonica non avviene per rifermentazione, ma con la chiusura della vasca  durante la fine della prima fermentazione e imbottigliamento dopo un paio di mesi), del Friuli Colli Orientali Verduzzo 2017 (versione secca) e del Collio Malvasia 80 anni 2017 (un bianco di bella rarefazione dalla vigna più vecchia dell’azienda) sfilano alcuni gustosi piatti cucinati da Carlo Piasentin del 900 All’Isola di Palazzolo dello Stella (UD): tanto gli antipasti (alici croccanti con verdure in saor, insalata di cappucci e pitina, il classico frico con salsa di cipolle caramellate e polenta) quanto, e soprattutto, il primo (cospicui e deliziosi gnocchi con le susine simili ai cjalsons) e il secondo piatto (zuf con figadel e ricotta) hanno tradotto con mano sicura tutta la consistenza e la concretezza della cucina friulana.

Infine, ancora su I Clivi. Il prossimo anno uscirà uno Schioppettino da una vigna in affitto della zona classica di Albana di Prepotto, mentre nel prossimo futuro è prevista la produzione di un bianco con taglio alla pari di friulano e ribolla gialla, i due più importanti vitigni bianchi friulani.

 

 

 

 

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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