Il Merlot, da re a sguattero

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Re incontrastato delle classifiche “guidesche” di una volta, il Merlot è tragicamente passato di moda. E non da oggi, da molto tempo ormai.

Questo scrivevo circa dieci anni fa: “Qualcuno conosce questa strana varietà di uva, chiamata ‘merlot’? Pare che sia un vitigno a bacca rossa. Dicono che se ne ricavi una bevanda molto apprezzata nel Borneo, e presso alcune tribù dell’America Centrale. Chi riesce a procurarsene una bottiglia, è pregato di farcene provare almeno un sorso.

Uno dei più classici vizi italici – oltre ovviamente a quello di rinfacciare da italiani agli italiani i vizi nazionali – è quello di abbracciare acriticamente una parte, per poi rinnegarla disinvoltamente a favore della parte opposta. Una sorta di trasformismo che si coglie bene anche nel mondo del vino. Un tempo amato appassionatamente, oggetto di tutte le attenzioni di produttori, giornalisti, enologi, enofili, enotecari, esperti, il Merlot è oggi una sorta di brutto anatroccolo. Un intoccabile, un appestato. Deriso dal vero esperto, che gli preferisce (ma vuoi mettere?) il pallagrello nero, l’achibusone a foglia frastagliata, il caramogio di Noto.

Un tempo ubiquo, era presente sia in purezza, sia in uvaggi leciti, alla luce del sole; sia, più piduisticamente, in miscele segrete e innominabili, all’interno di denominazioni prestigiose che certo non lo contemplavano tra le varietà di base. Un tempo, appunto. Ora lo beve l’ingenuo di turno, il neofita entusiasta che vive degli slanci naif della prima ora.”

La situazione, un decennio dopo, non è cambiata. Solo che il fenomeno non è più esplosivo/reattivo; non implica più il senso di una rivendicazione politica contro gli eccessi della turboenologia. L’anti-merlottismo non è più agitato come bandiera del ritorno ai valori della terra: è semplicemente un elemento assodato. Per un enosnob di oggi è pacifico che il merlot non sia un’uva degna di avviare una conversazione sui vitigni “che traducono meglio il terroir”; men che meno una conversazione sui “vini d’arte”.

Esaltare un rosso da uve merlot equivale insomma a parlare con entusiasmo del Philadelphia spalmabile in un consesso dove si sta discettando dottamente sulla differenza tra un Pont-l’Évêque fermier e un Pont-l’Évêque laitier.

Al netto degli eccessi modaioli, che da sempre critico, un fondo di verità c’è, inutile negarlo. Nel loro recente volume Le goût retrouvé du vin de Bordeaux, Jacky Rigaux e Jean Rosen scrivono in maniera tagliente:

Il merlot, arrivato in forza sulla Rive Gauche della Garonna dopo la fillossera, è la varietà del degustatore debuttante e di una viticoltura senza ambizione gustativa. Si è imposto nel Dopoguerra come il più redditizio dei vitigni. Produce molto, fin da giovane, e con regolarità. Non è mai mediocre, ma dona raramente un grande vino.

Eppure, eppure. Se la grassezza, l’untuosità, la morbidezza da divano orientale di un rosso da uve merlot non sono elementi dominanti e tirannici del gusto, ma hanno una loro controparte dinamica, anche un cosiddetto “Merlot in purezza” ha qualcosa da dire. È, al solito, un gioco di spinte e controspinte architettoniche.

Un Merlot molle e ruffiano, come se ne contano tuttora in Italia, dai tannini plasticosi e dal finale bruciaticcio, è per me da buttare nell’indifferenziata. Un Merlot di carattere, invece, ha ancora una sua dignità espressiva.

Come, guarda caso, il Messorio di Le Macchiole: uno dei due o tre Merlot più noti della Toscana e di sicuro il più ricercato (e fra i più costosi) della Maremma livornese. Il 2013, bevuto un paio di giorni fa accanto a un vino eccellente, lo Château Latour-Martillac 2010*, si è difeso molto bene. Dove il bordolese arrivava con la tipica, entusiasmante freschezza balsamica di menta, il Messorio arrivava con una salivante vena salina. Dove il bordolese arrivava per finezza tannica e allungo, il Messorio arrivava per fittezza tannica e spazialità gustativa.

Certo, trascritto tutto questo, i limiti della varietà si coglievano. Inevitabilmente. Ma il giudizio di un critico, e anche quello di un bevitore, hanno da essere misurati. I vini da merlot ben fatti non sono né dei fuoriclasse né dei liquidi da scaricare nel water. Sono vini fatti da uve merlot.

* ok ok, uvaggio diverso, terroir diverso, annata diversa, etc etc

Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

7 COMMENTS

  1. Il merlot è scarsamente considerato se proviene da zone diverse dal bordolese. A Bordeaux è alla base della gran parte dei vini della riva destra di Bordeaux, da Petrus a scendere (come prezzo). Sulla riva sinistra si assiste negli ultimi anni a una riduzione del suo utilizzo nel vino finito cui corrisponde un aumento della quota di cabernet sauvignon. Questo è dovuto anche alle annate particolarmente calde che permettono una perfetta maturazione del cabernet sauvignon.

  2. Curioso, proprio stamane leggevo l’ultimo libro di Samuel Cogliati, Introduzione a La Francia del Vino (Possibilia Editore, ott. 2019), che nel capitolo dedicato a Bordeaux riporta che negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della superficie vitata a merlot (due terzi del totale tra i rossi) con connesso arretramento del cabernet sauvignon (pagg. 104-105 del libro citato).

  3. Ciao, grazie, qualcuno sta tornando a piantarlo nel nord est dove si allevava e si consumava a ettolitri!
    molto sta, oltre che nelle uve chiaramente, negli affinamenti; non parlo di legni, ma magari nel cemento? conoscete qualcuno che abbia provato?

    Anche il Franc è stato bistrattato nell’ultimo decennio, ma piano piano sta trovando viticoltori che lo celebrano, anche in purezza… al consumator l’ardua sentenza!

    prosit

  4. Nella mia sperïenza non c’è paragone tra le potenzialità del cabernet franc rispetto a quelle del merlot (a tutto favore del primo).
    Quanto al ripiantamento – o ripiantazione, o ripiantatura, o ripiantezza – del merlot nel bordolese, non può ahinoi che essere interpretato come un segnale preoccupante.

  5. La verità è che il Merlot, come tante varietà, viene bene in poche situazioni ( almeno in Toscana) e invece è stato piantato ovunque andando a screditarlo nel corso degli anni anche per effetto del cambio climatico, dei portainnesti sbagliati e di gestioni agronomiche non proprio ottimali.

  6. Il taglio rinnegato.
    Ma esiste anche chi ha fatto come i salmoni. D’Alessandro ad esempio, abbandonando Cortona per Sarteano, ha posto il merlot al centro col sorprendente QUARTALUNA di Terra Quercus

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