Il Sorriso di Cielo di Stefano Pizzamiglio. Una verticale aromatica

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Nessuno spazio concesso al silenzio e al caso. L’estroverso Stefano Pizzamiglio è un fiume incessante di parole che contiene il demone dello studio e del controllo. Non perde mai il filo del discorso, non è mai banale, ha dentro di sé il soffio della fantasia.

Nasce a Milano nel 1960 da padre milanese, ma mantovano d’origine, e madre piacentina. Fa il liceo classico al Parini e intraprende, senza portarli a compimento, gli studi in medicina perché sembra destinato a seguire le orme del padre medico, ma la passione del vino ha il sopravvento. A 18 anni si iscrive all’AIS, «anche se al tempo potevi sostenere l’esame solo se dimostravi di lavorare nel settore da tre anni», ricorda.

Collabora con la rivista quadrimestrale di poesia e letteratura «Niebo» diretta da Milo De Angelis, fondata nel 1977 e chiusa nel 1980 (il nome di Stefano tra i collaboratori è riportato su Wikipedia alla voce Niebo). Il 1980 è l’anno in cui Stefano acquista con il fratello maggiore Ferruccio, da sempre innamorato della campagna, una cascina chiamata La Tosa e due appezzamenti di terreno sulla collina di Vigolzone, il paese della madre.

L’anno dopo, nel 1981, lascia la poesia, «che vivevo con un attaccamento quasi morboso». Nel 1984 i due fratelli decidono di trasformare l’hobby dell’agricoltura in una professione, trasferendosi definitivamente sui colli piacentini. Stefano si iscrive ad Agraria presso l’università di Piacenza, studiando con Fregoni. Il primo “vin de garage” nasce nel 1985, mille bottiglie di Gutturnio, il vino del padre, che scompare due anni dopo.

Nel 1988 Stefano trascorre un anno presso Ca’ del Bosco, poi viaggia in Francia, dalla Provenza alla Loira, dalla Borgogna all’amata Alsazia, frequenta l’INRA di Montpellier e l’Università di Bordeaux («Di italiani c’eravamo solo io e Cristina Geminiani di Fattoria Zerbina»). Gira, studia, ricerca, sperimenta. «Tutti chiedevano il vino frizzante, ma noi pensavamo di fare qualcosa di diverso».

Nasce così il Sorriso di Cielo (per Stefano il vino è «l’aquilone che si libra in cielo collegato alla terra da un filo», e anche Niebo, il nome della rivista di poesia, significa “cielo”). È una Malvasia ispirata ai modelli alsaziani e rivoluzionaria perché ferma e secca: le malvasie del tempo erano tutte mosse e dolci. Non è una Malvasia qualsiasi, ma una Malvasia di Candia aromatica, varietà tra le più eleganti ed eclettiche di questa numerosa famiglia.

Il Sorriso di Cielo nasce da due principali corpi vitati: la parte terminale del vigneto Ronco, clos alle spalle dell’azienda esposto a ovest e risalente al 1992, dove la malvasia condivide lo spazio con alcune piante di sauvignon (segnalate da un nastro azzurro legato intorno alla vite), e alcuni appezzamenti del Morello, piantati a partire dal 1983, su un fianco esposto al sole del mattino. Qui i nastri azzurri segnalano invece le piante di malvasia destinate a varcare il cancello del Sorriso di Cielo.

Le vigne poggiano su antiche terre rosse ferrose caratterizzate da una consistente presenza di argilla e limo e una parte minoritaria di sabbia (nello strato più profondo il Morello, che a dire di Stefano è il vigneto più polifonico, presenta anche una fascia di carbonato di calcio). Dal 1991 tutti i vigneti sono inerbiti e da due anni l’azienda è certificata biologica. «Facciamo tutto manualmente, perfino la cimatura con il falcetto».

«Nel Ronco esce il tannino e il carattere mediterraneo della malvasia. Nella parte finale del vigneto gli acini appassiscono più facilmente». La prima annata prodotta è il 1990, che però non viene messa in commercio. Viene affinata interamente in rovere senza bâtonnage e regalato al convento dei cappuccini, che dall’anno dopo avrebbero tempestato di telefonate l’azienda per chiedere se era avanzato ancora un po’ di quel bianco buonissimo. La prima uscita ufficiale è il 1991.

Il Sorriso di Cielo è un vino che ha conosciuto nel corso della sua storia evoluzioni e cambiamenti nell’interpretazione, sia dal punto di vista viticolo (sfogliatura, diradamento, vendemmie differenziate), sia enologico (legno, sosta sulle fecce, per tacere del lavoro sui lieviti: «curiamo molto la fermentazione e la nutrizione naturale dei lieviti solo con cellule, se i lieviti si nutrono bene e non sono stressati compiono le giuste catene metaboliche»). Ecco perché, conoscendo il suo percorso, ho deciso, contrariamente a quanto uso fare, di procedere con la verticale partendo dall’annata più vecchia per arrivare a quella più recente.

Il Sorriso di Cielo è una Malvasia dal tratto tardivo ed esotico, di chiara ispirazione alsaziana (non è un mistero l’amore di Stefano per il Gewürztraminer di quelle terre), che tuttavia non diventa mai ampolloso, barocco, aneddotico. È invece un bianco aromatico definito, modulato, dispensatore di piaceri sensoriali, giocato sul filo di equilibri sottili.

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Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 1993

Colore dorato intenso e antico, ancorché vivo. Naso che apre a ventaglio le note tardive: il sentore spiccato della caramella al miele si mescola al tono balsamico della menta e della propoli. L’odore del grano. Palato pieno e balsamico da morire, fresco-eucalipto, evocativo, sfumato, di bel ritmo gustativo. Vinificato in crio-macerazione, poi abbandonata, e interamente affinato in barrique nuove.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 1997

Paglierino brillante e luminoso, di bella trasparenza e nitidezza. Naso da tardiva, con qualche rintocco esotico che lascia poi spazio alle note balsamiche di eucalipto e menta, i due registri aromatici più classici della Malvasia quando invecchia. Palato pieno, alcolico, balsamico, caramella al miele, erbe aromatiche, pini silvestri. È l’ultimo anno del legno.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 1998

Dorato intenso. È il primo anno che il Sorriso incontra il residuo zuccherino, per l’interruzione della fermentazione: negli anni a seguire avrebbe oscillato da 7 ai 23 grammi/litro. All’olfatto c’è l’albicocca e qualcosa di esotico. Il palato è morbido, quasi abboccato, un po’ statico, pieno, goloso, di un suo equilibrio interno nonostante lo sbilanciamento sul versante della dolcezza (12 g/l di zucchero), ancora capace di accensioni balsamiche al di là di una certa sofferenza sul piano del ritmo.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2000

Paglierino brillante. Profumi di botrite («10% di sviluppo della muffa nobile su tutta la parte del Ronco»), di frutto esotico, con la nettezza – cromatica e aromatica – del mango che si staglia sull’orizzonte olfattivo, poi sensazioni a pioggia (papaya, litchi, pesca, albicocca). Il palato è succoso, morbido, tardivo, goloso, invitante, molto alsaziano, con grande carica esotica, glicerica e alcolica (15 gradi svolti, come già il 1998). È l’ultimo anno del diradamento in vigna.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2006

Dorato brillante. Naso fragrante, profumato di litchi e fiori. Palato morbido nel volume, con zucchero residuo consistente (22 g/l), tratto setoso, registro gourmand, finale statico.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2007

È fin dal colore -giallo dorato brillante- un “gemello” del 2006. Il naso è ancora sul litchi, poi ci sono anche la papaia e la pesca bianca. In bocca il respiro è balsamico, il palato succoso e tonico nonostante la consistente parte zuccherina. Finale di dolcezza tenera e setosa. Spensierato, morbido, goloso. «Per me è stata un’annata particolare, e non solo per i 23 grammi di zucchero residuo o l’annata calda. Era qualcosa di più di un’annata calda. Secondo una ricerca del CNR in quell’anno si è riscontrato il valore più alto di ozono, il sole mi dava quasi fastidio e le giornate erano spesso terse. Ho avuto l’impressione che tutto fosse dovuto alla radiazione ultravioletta, che accelera la maturazione senza bruciare l’acidità».

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2009

Ancora un paglierino dorato brillante. Olfatto di luminoso frutto tardivo accarezzato da sensazioni di papaia e litchi. Il palato è pieno, goloso, mentolato, esotico, accogliente, invitante, quasi un pendant del 2007, che a sua volta lo era del 2006. Finale più statico per la morbidezza, ma profilo limpido, succoso. Gioia d’uva.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2010

Paglierino dorato brillante. Naso ancora tardivo-esotico, ricco e morbido, tenero-goloso, sempre balsamico, maturo, invitante. C’è sempre un fascinoso equilibrio interno, una modulazione del gusto, una sorprendente sapidità di fondo.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2011

Giallo dorato brillante. Esotico-succoso, pieno-polposo, balsamico con registro di menta-eucalipto, grande espansione gustativa, persistente, invitante, tenero, morbido, modulato.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2012

Paglierino brillante con olfatto che sorprende per un registro sensoriale più fresco e pimpante: foglie di erbe aromatiche (la salvia soprattutto), verbena, erbe di campo, sembra quasi “sauvignoneggiare”. Al palato è succoso, tonico, molto ritmato. Vendemmia anticipata al 30 agosto.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2013

Qui la vendemmia è stata invece lunga, classica, di quelle come non se ne vedevano da anni: 19 settembre. Colore paglierino brillante con ritorno olfattivo nel registro più esotico, ma anche sentori di limone, della scorza del limone. Bocca conseguente: esotica quanto agrumata, tonica, contrastata, incisiva. Quasi un punto di svolta, una chiave di volta nella storia di questo bianco aromatico. Più secco, più asciutto, di grande succo e sapore.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2014

Un colore paglierino brillante a introdurre profumi di agrumi, fiori di limone ed echi di frutta esotica: profilo fresco, arioso. Palato conseguente: succoso, tonico, tanto agrumato, la cui morbidezza resta stemperata nell’acidità e nel sapore. Notevole ritmo, con allungo di agrume e sale.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2015

Giallo paglierino intenso, naso aromatico, balsamico, erbaceo, agrumato: che sintesi e che ariosità! Erbe aromatiche a gogò ed erbe balsamiche a iosa, che ampiezza e che ritmo! Palato morbido-succoso, fresco-aromatico, di bella polpa e vivezza, con sviluppo contrastato, l’equilibrio tra la morbidezza e il sale, il sale che cresce. Persistente. «Abbiamo cambiato il momento di raccolta, anticipandola per conferire più freschezza e sapore al vino. La vendemmia differenziata arriverà nel 2017».

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2016

Paglierino brillante con naso “petaloso” che sembra quasi il prodotto di una leggera macerazione, anche se così non è. Palato ancora morbido-succoso, intrigante côté di frutta esotica e spezie, centro bocca cospicuo, tardivo, godibile, lungo.

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2017

Paglierino gioioso e brillanti sensazioni di agrume, notevole varietale balsamico con sviluppo di menta, mirto, foglia di pomodoro, salvia: che rilievo e che espressione! Palato pieno di succo e di tonicità, pimpante-invitante, continuo e ritmato, che allungo e che souplesse! Finale di asciuttezza e sapore con lunga scia finale di erbe aromatiche. «Quattro temporali da giugno a fine agosto, 120-140 millimetri d’acqua che hanno rinfrescato, la vite doveva nutrire meno le foglie, era tutto verde, verdissimo, nessuna pianta ha sofferto. Con il sauvignon abbiamo raccolto una parte di uva non perfettamente matura, cosa che non ho né avrei più fatto, per innervosire il vino».

Colli Piacentini Malvasia Sorriso di Cielo 2018

Paglierino brillante. Fresco-fruttato, balsamico-agrumato. Palato tenero di succo, di incisiva tonicità, aromatico e ritmato, modulato, che scioltezza e che levità! Giocato in sottrazione, con allungo prorompente di sapore.

«Due vendemmie scalari, il 30 agosto e il 5 settembre, con il taglio del tralcio su una parte del nostro vigneto più polifonico, il Morello. Dal 2019 le vendemmie scalari sono tre. Dal 1998 prelevo gli acini sempre negli stessi filari e nello stesso modo, ho vent’anni di statistica coerente. Lo faccio alle otto di mattina, mentre canto dentro di me, senza pensieri, senza riflessioni, li colgo e basta. Faccio l’analisi sul mosto ottenuto dallo schiacciamento, analizzando l’acido malico che è un parametro fondamentale. Raccogliamo quando l’uva è matura, quando il succo in bocca è persistente, secondo una lunghezza prospettica. Il laboratorio ci dice in genere di raccogliere una settimana prima di quanto in realtà facciamo. Ci regoliamo a pelle». Ci vogliono istinto e rigore per interpretare questo vino.  «La Malvasia è femminile ed è una donna moderna: suadente, ma indipendente, di carattere».

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La Tosa è un luogo di storia, accoglienza, buon gusto. C’è un Museo del Vino, dedicato al padre Fernando Pizzamiglio, visitabile su appuntamento, che è luogo di memoria, didattica e passione, frutto di un lungo e certosino lavoro iniziato nel 1988 con la raccolta di oggetti e strumenti che oggi compongono un’emozionante collezione brillantemente allestita negli spazi sopra la cantina. Tra i pezzi rari la “castellata”, una botte per irrorare le viti e distribuire concimi; un grande torchio posto su un carro della metà del XIX secolo; una botte per il Vin Santo piacentino, misconosciuta gloria locale, e un filtro a sacchi chiuso in un armadio unico nel suo genere.

C’è una biblioteca enologica composta da libri e trattati che dal 1750 arrivano ai primi anni quaranta del Novecento, tra cui l’Etude sur le vin di Jacques Pasteur del 1873 e l’Ampelografia di Molon del 1906; ci sono inoltre riviste (con 27 annate del «Giornale Vinicolo Italiano» a partire dal 1876), stampe, mappe, incisioni, grida e tavole didattiche.

E infine c’è l’agriturismo (i Pizzamiglio vantano la licenza n. 13 dell’Emilia Romagna) dove nulla s’improvvisa e dove si può gustare una cucina ancora autenticamente territoriale. È il regno di Elise Francese (in cucina), la moglie di Ferruccio, e di Augusta Bianchini (in sala), la moglie di Stefano.

La Tosa, un sorriso a cielo aperto.

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Contributi fotografici di Massimo Zanichelli e Britta Nord

 

 

 

 

 

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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