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Le viti che non ho

Vengo via da Cortona anche se sarei dovuto restare. Perché la circostanza di conoscere Arnaldo Rossi ed i suoi vini di pura matrice artigianale imporrebbe di per sé l’approfondimento.

Più di tutte, avrei dovuto conoscere di persona certe viti maritate su a Castiglion Fiorentino; maritate all’acero campestre, viti di una volta, arcaiche geometrie, vera e propria rarità culturale e colturale. In altri termini, reliquie pagane.

A solleticarmi sono state le parole di Arnaldo, che alla sua Taverna Pane e Vino di Cortona ha costruito una carta dei vini in direzione ostinata e contraria che letteralmente mi fece sobbalzare, anni fa, e dalla quale avrei assaggiato TUTTO.

E dopo le parole i vini, in particolare Cibino, le cui uve discendono da quelle viti. Trebbiano, malvasia di candia, canaiolo bianco. Non so se altro ancora.
Frutto di vendemmie scalari su su fino alla tardiva, è un bianco schietto la cui fibra terragna nulla concede alle ruvidezze e alla rusticità, conservando una tiepida solarità in un gusto accordato, goloso, sapido.
La quota parte di macerazione sulle bucce ne esalta lo spessore tattile, senza intaccare i sapori di déjà vu.
La sincerità espressiva smuove l’empatia. Ne apprezzerai il ricordo.

Ma sono quelle viti, quelle viti lì, ad imporre il ritorno.

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