Diario di viaggio: appunti sparsi delle isole Azzorre

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Una manciata di rocce vulcaniche buttate là, quasi con noncuranza, a metà strada tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Nove isole che distano fino a 600 chilometri dalla più vicina alla più lontana, piuttosto simili tra loro data la comune origine vulcanica ma ognuna con le sue particolarità.

Dell’arcipelago sono riuscito a visitarne cinque con sufficiente tranquillità per godere dei paesaggi meravigliosi e, soprattutto, per rigenerarmi a contatto con una natura incredibilmente rigogliosa.

Da buon “enogastronauta”, per quanto la cucina locale sia piuttosto semplice, ho cercato di assaporare i piatti tipici e visitare un paio di produttori di vino. Ed ecco quindi appunti di vario genere per ogni isola visitata:

LISBONA: ok, non è un’isola ma la capitale del Portogallo nonché lo scalo che ho dovuto fare prima di raggiungere l’isola di Pico. Con mezza giornata a disposizione qualche “classico” sono riuscito ad assaggiarlo.

Pasteis de nata: sono un’istituzione in tutta la Nazione, con fior di concorsi a decretarne il miglior produttore ogni anno. Si tratta di una piccola tartelletta di pasta sfoglia, quasi croccante come quella delle sfogliatelle napoletane, contenente crema all’uovo e passata in forno per imbrunirne la superficie. Una delizia che i golosi non possono perdere.

Pastel de bacalhau: come è noto il baccalà regna sovrano nella cucina portoghese e questo street food gli rende omaggio in modo egregio. Una crocchetta di patate, uova e baccalà con l’aggiunta di formaggio di pecora Serra da Estreja, da accompagnare rigorosamente ad un bicchiere di porto bianco secco. Come direbbe chef Barbieri un “mappazzone” che ha un suo perché, ottimo pure come aperitivo.

A Ginjinha: nel centro storico si trova un piccolissimo locale dove è custodita la ricetta originale di questa bevanda alcolica. Once upon a time il signor Espinheira, su consiglio di un frate della chiesa di Sant’Antonio, sperimentò la fermentazione di ciliegie nel brandy con aggiunta di zucchero, acqua e cannella. L’enorme successo dovuto alla piacevolezza/dolcezza/basso costo del prodotto ne decretò “vox populi” l’elezione a bevanda tipica di Lisbona. Lo “shottino” dopo il pastel di bacalhau ci stava parecchio bene ma ricordo d’averlo apprezzato a qualunque ora della giornata “solamente” vent’anni fa, durante la mia prima visita di Lisbona.

Pronti per la cena, perché non andare nel ristorante di pesce più in auge della città?! La Marisqueria Cervejaria Ramiro è divenuta negli ultimi anni un punto di riferimento della ristorazione lusitana, oggi forse più frequentata da turisti che da Portoghesi. Il mio parere è che siano stati geniali nello sfruttare cotanta fama e vi spiego perché: non accettano prenotazioni, quando si arriva si imputano su una “macchina diabolica” quanti sono i commensali e in che lingua ricevere la segnalazione del proprio turno. Su un display di fronte all’ingresso viene evidenziato il proprio numero e una voce metallica ci avvisa che è il nostro turno, un numero che non è progressivo così non saprai mai esattamente quando ti tocca e loro sono liberi di gestire i tavoli come preferiscono senza dare adito a discussioni. Nell’attesa, i “furboni” hanno installato a fianco dell’ingresso un distributore di birra automatico, si prende il bicchiere di plastica dal supporto accanto e con due euro ci vengono serviti circa quattro decilitri di birra. Considerando la folla in attesa (pare che qualcuno abbia aspettato più di due ore prima di entrare) e il caldo estivo, non potete immaginare quanto lavora quel distributore! Una volta dentro si viene guidati al proprio tavolo – cosa necessaria perché è piuttosto grande e su più piani – e finalmente si può ordinare da un menù focalizzato sulle specialità di mare. Le ostriche non mi hanno impressionato, buone le due tipologie di granchi provate, così come il guazzetto di vongole e gli scampi, ma il posto d’onore è toccato ai percebes, quei particolari crostacei che ricordano un artiglio di pterodattilo, considerati (non dal sottoscritto) il non plus ultra delle crudités. Interessante la particolare callosità e il deciso sapore iodato. Il tutto è stato abbondantemente annaffiato da un Alvarinho Deu La Deu 2018 Vinho Verde, un Doc piacevole e beverino nonostante i 13,5° alcolici.

PICO: l’isola, tra le più grandi dell’arcipelago, è dominata dalla Montanha do Pico, un vulcano estinto e la vetta più alta di tutto il Portogallo con i suoi 2.351 metri. Alle sue pendici si estendono le caratteristiche vigne sui terrazzamenti con i muretti a secco riconosciute dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.

Safari marino: dal paese di La Madalena, giusto di fronte all’isola di Faial, è possibile imbarcarsi in uno dei potenti gommoni per andare in mare aperto a vedere i vari mammiferi marini oltre a squali, pesci volanti e tartarughe se fortunati. In agosto si vedono soprattutto capodogli femmina e delfini, in inverno molti altri cetacei. Arrivati a largo si rimane in balia delle onde finché da terra, grazie all’impiego di potenti cannocchiali (come facevano una volta anche per la pesca), segnalano al timoniere dove dirigersi. Con il mare mosso è stato uno spasso sfruttare tutta la potenza dei motori per raggiungere in fretta il luogo dell’avvistamento, d’altro canto le condizioni del mare hanno probabilmente reso schive e timide queste grandi creature delle quali abbiamo potuto ammirare solo i dorsi ad una trentina di metri di distanza. Mezzi bagnati e con la schiena dolente per i ripetuti colpi all’atterraggio dai salti, siamo rientrati un po’ delusi in porto.

Vulcano di Pico: una delle principali attrattive è la salita alla cima del vulcano. L’accesso limitato a 160 persone al giorno ci ha costretto ad una levataccia partendo dalla base a circa 1200 metri alle 6,30. Alla Casa do Montanha si paga l’accesso, si viene dotati di gps per il tracciamento per l’eventuale recupero in caso d’infortunio e si viene avvisati sulla durezza del percorso: circa 1000 metri di dislivello su rocce vulcaniche con pochissimi tratti di sentiero facile e una costante pendenza impegnativa, tempo stimato tre ore a salire e quattro a scendere. Salendo ancora nella penombra (il sole sorge sull’altro versante), immersi nelle nuvole e pertanto bagnati come sotto la doccia, mi ripetevo che prima o poi il percorso sarebbe migliorato. Nada!!! È stata una vera “mazzata” ma la soddisfazione di salire sulla vetta del piccolo cono interno alla caldera principale come secondi assoluti della giornata ci ha ripagato della fatica iniziale. Tra un panino e una bibita e, soprattutto, senza l’urgenza di liberare la vetta velocemente per dare accesso agli altri, si gode di una vista unica sulle isole più vicine che ti ricarica a dovere per l’inevitabile discesa. Come avvisati in partenza il rientro è stato decisamente più arduo della salita soprattutto per il rischio di scivolare sulle rocce meno stabili, ma in un totale di cinque ore (tempo tra i più bassi per i non esperti!) siamo arrivati al “campo base” stanchi ma felici.

Azores Wines Company: è stata fondata il 3 aprile 2014 dai partner António Maçanita, Filipe Rocha e Paulo Machado (Insula Vinus). È un progetto nato da persone con consolidata esperienza sull’isola e anche in altre aree vinicole del Portogallo ed è volto a recuperare e a valorizzare i vitigni autoctoni delle Azzorre. Di seguito i vini assaggiati:

TERRANTEZ 2018: 100% terrantez do Pico, 12.5%, secondo anno di produzione. Nel 2010 erano presenti solo 100 piante sull’isola. Molto chiaro si apre su note floreali, fruttato di ananas, minerale e un tocco di aghi di pino. In bocca risulta piacevolmente più secco che al naso, dritto, sapido e minerale, finisce abbastanza lungo sulle ali dell’acidità citrina.

VERDELHO “o Original” 2018: 100% verdelho, 12.5%. Il titolo vuole evidenziare che è la varietà autoctona, da non confondersi col verdelho-gouveio o il verdelho-verdejo. Il naso piuttosto minerale mostra un bel fruttato di passion fruit, di ananas e un goccio di miele. Al palato è corrispondente con evidenza delle note iodate e dell’acidità citrina.

ARINTO DOS ACORES 2018: 100% arinto dos Açores, 12.5%. Anche in questo caso vietato confonderlo con l’arinto vinificato sul vecchio continente. Agrumato con spunti balsamici e vegetale oltre l’impronta “oceanica” iodata. In bocca denota una buona intensità ben supportata da una buona dose di minerale e acidità citrina.

ARINTO DOS ACORES sur lies 2018: 100% arinto dos Açores, 12.5%. Rispetto al precedente la fermentazione avviene in piccoli tini di acciaio dove viene effettuato il battonage come nelle botti. Naso più balsamico. Anche in bocca è più intenso e complesso. I lieviti smussano un po’ le asperità acido-minerali. Dinamico e persistente.

BRANCO VULCANICO 2018: 15% verdelho 85% arinto, 12.5%. La nota esotica del verdelho ben si integra con l’agrumato dell’arinto. Decisa la spina acido-minerale. Finale leggermente amaro.

ROSE’ VULCANICO 2018: merlot e syrah con piccola aggiunta di numerosi altri vitigni, 11.5%. Piccola frutta rossa, ciliegia e ricordi di marmellata di fragole bruciacchiata. Al palato si evidenziano note vegetali di peperoni che poi lasciano il campo alle fragole. Buona la sapidità come pure l’acidità.

TINTO VULCANICO 2017: merlot e syrah con piccola aggiunta di numerosi altri vitigni, 11.5%. Rosso scarico apre sulla frutta rossa, poi spunti vegetali-balsamici, iodati e leggera speziatura di chiodo di garofano. Al palato è contrastato tra una certa dolcezza e la ficcante acidità. Tannini praticamente impercettibili.

A PROIBIDA 2017: vecchi vitigni (?),12%. Soprattutto Isabella, ossia uva fragola. Inconfondibile al naso, si aggiungono note di lime, passion fruit e marmellata di fragole. In bocca è corrispondente e beverino grazie alla immancabile acidità citrina e alla sapidità.

VERDELHO 10 ANOS: 18% vino fortificato. Campione da botte, non ancora arrivato a dieci anni, siamo sui nove e mezzo. Frutta secca molto evidente, mallo di noce, fico e albicocca, infine anche la nota alcolica. Al palato è di buon corpo e piuttosto corrispondente, in evidenza la noce per tutta la lunghezza. Sul finale si avverte la gradazione alcolica.

Dopo questa azienda ho visitato anche la cantina della Cooperativa Vitivinicola di Pico, dispiace dirlo ma i loro vini si sono rivelati di un livello decisamente inferiore a quelli sopra descritti.

FAIAL: soprannominata l’isola azzurra per le numerose ortensie presenti, oggi è una tappa d’obbligo per tutti i velisti impegnati in attraversate oceaniche.

Horta e Porto Pim: nel porto di Horta, paesino di una certa eleganza, lungo il moletto si può ammirare una sequenza coloratissima delle testimonianze dei navigatori che vi sono attraccati. Piccoli riquadri pitturati con i nomi delle imbarcazioni, le rotte seguite e altro, si susseguono con fantasiosi motivi. Imprescindibile la sosta al Peter Café Sport, storico punto di ritrovo dei velisti di tutto il mondo. Poco distante merita la visita alla Fabrica da Baleia, oggi museo, dove si può approfondire la conoscenza dei capodogli e l’uso che ne facevano un tempo, motivo di una caccia feroce fortunatamente abbandonata da anni. Il museo si trova a Porto Pim, piccolo paesino caratteristico e luogo del racconto di Antonio Tabucchi “La ragazza di Porto Pim”. Affacciato sul mare si trova anche il ristorante Genuino, dal nome del proprietario Genuino Madruga, primo portoghese a navigare intorno al mondo in solitaria. Dopo una scorpacciata di pesce, circondati dai memorabilia (t-shirt, bandiere, ecc.) raccolti durante le tappe del suo viaggio, è stato abbastanza emozionante parlare con questo piccolo-grande uomo.

Caldeira di Cabeco gordo e vulcano dos Capelinhos: si sale alla caldera per strade immerse nel verde e nell’azzurro dell’ortensie, giunti a destinazione si può percorrere un sentiero sul bordo da dove scorgere scenari mozzafiato. Di tutt’altro genere il vulcano dos Capelinhos, sorto per le eruzioni sottomarine tra il 1957 e il 1958, ha generato un promontorio oggi percorribile solo in parte. Lo scenario è unico, la vegetazione non è ancora riuscita ad impossessarsi di questo nuovo lembo di terra dove domina il nero delle rocce laviche.

Queijaria o Morro: qui si possono assaggiare ed acquistare delle caciottine di formaggio più o meno stagionate o aromatizzate. Molto buone e dal costo veramente basso, diventano valide occasioni di pause durante le camminate. Ovviamente non manca la versione all’aglio, un aroma largamente impiegato (anche troppo) nella cucina delle Azzorre.

FLORES: la piccola Flores è la più distante dalla terra ferma e per questo risulta essere il punto più occidentale dell’Europa, tanto lontana che geologicamente si trova sulla placca nordamericana. Questa isola mi ha conquistato con i suoi scenari da “Avatar” o “Jurassic Park”, con la sua varietà in così poca estensione, con l’inimmaginabile abbondanza di fiumi e laghi considerato che siamo in mezzo all’enorme vastità salata dell’oceano Atlantico. Cotanta bellezza naturalistica la rende un luogo perfetto dove riprendersi dalle frenesie cittadine, dove dare un significato diverso alla parola “tempo”.

Isola di Corvo: a circa un paio d’ore di gommone da Flores si trova l’isola di Corvo, poco più di un piccolo cono vulcanico. La bellissima caldera sulla cima del monte Gordo vale la pena del viaggio durante il quale, con un po’ di fortuna, si può incontrare qualche delfino o tartaruga, oppure ci si può divertire a fare a gara (come ho fatto con mia nipote) a chi conta più caravelle portoghesi, piccole meduse galleggianti tanto belle quanto pericolose. Al rientro un approccio lungo la costa di Flores ci ha permesso di ammirare una scogliera spettacolare e numerose cascatelle “tuffarsi” direttamente in mare.

O pescador: sulla punta settentrionale dell’isola, nel piccolo abitato di Ponta Delgada, c’è un piccolo bar-ristorante gestito da una famiglia di pescatori. Cucina semplice, la migliore per non sciupare una materia prima importante come quella a disposizione: aragoste, cicale magnosa (batti batti), squalo mako, ecc. Dopo un antipasto di patelle di mare, un assaggio di squalo e batti batti, sono rimasto stupito dalla murena fritta: tranci alti un centimetro passati nella farina gialla hanno offerto un connubio perfetto tra la croccantezza del fritto e la “scioglievolezza” del grasso della murena. Ci sarebbe stata bene una bella bollicina ma su quest’isola bisogna sapersi accontentare.

SAO MIGUEL: dall’isola più lontana siamo volati a quella più grande dell’arcipelago, ultima tappa del viaggio. L’impatto è stato piuttosto ostico: come nel caso del jet lag mi ci è voluto del tempo per ricalibrare il fisico e i sensi, stavolta non per il fuso orario ma per il ritorno ai ritmi e ai rumori della civiltà moderna. Consiglio “seriamente” di evitare lo shock durante la vacanza e fare di Sao Miguel la prima tappa del viaggio, è comunque un’isola che sa offrire attrattive naturalistiche e culturali molto interessanti.

Sete Cidades e Lagoa do Fogo: il primo è un giro panoramico da cui si gode una vista eccezionale su alcuni laghi vulcanici. La sosta più gettonata è quella del Miradouro del Rei dove si possono ammirare il Lagoa Verde e il Lagoa Azul; i più temerari e trasgressivi possono fare come il sottoscritto ed entrare in un ex albergo abbandonato dal cui tetto si domina il panorama sottostante. Per gli appassionati di fotografia anche lo stesso albergo, nella sua decadenza e con le sue opere di writers, offre degli scatti interessanti. Lagoa do Fogo è un bellissimo lago che merita tempo da dedicare a lunghe passeggiate per ammirarlo da più punti di vista.

Piantagioni di tè: sono le uniche a produrre tè europeo, la più antica, risalente al 1883, è Cha Gorreana l’altra è Fabrica de Chà. Entrambe sono visitabili e durante il giro si possono apprendere informazioni interessantissime su tutti i processi di lavorazione, sulle diverse tipologie di tè prodotto, osservare macchinari antichi lavorare tutt’oggi e godere di scenari incredibili in mezzo alle piantagioni.

Calderas: in quanto isola vulcanica ci sono varie sorgenti di acqua calda. La Caldera velha si presenta con due vasche con temperature diverse, una cascata e una vegetazione lussureggiante. Se lo spettacolo è garantito c’è però da mettere in conto la capienza limitata delle vasche il cui affollamento sminuisce parecchio la bellezza e la godibilità del posto. A Furnas troviamo due attrazioni interessanti: le calderas dove in buche fumanti, proprietà di ristoranti o privati, viene cucinato il cibo sfruttando l’energia geotermica – piatto tipico è il “cozido das Furnas”, un bollito di carne mista e verdure simile al nostro ma con quel tocco ”vulcanico” in più. Poi c’è il Parque Terra Nostra, un’area attrezzata all’interno di un meraviglioso parco con tanto di villa, dove l’attrattiva principale è una vasca enorme con acqua calda dal caratteristico color ocra dove “il naufragar m’è dolce in questo mare (per ore…)”. Attenzione a non indossare costumi chiari che saranno inevitabilmente e indelebilmente tinti di giallo.

Quejadas do Morgado: per gli amanti dei dolci a Vila Franca do Campo non potete perdere una sosta nella pasticceria dove si produce una piccola e pluripremiata cheesecake così buona, leggera e delicata da creare dipendenza.

Safari marino: come Pico anche Sao Miguel è un ottimo punto di partenza per i safari marini. A differenza del tour precedente stavolta ci siamo rifatti con gli interessi! Il mare piattissimo, in alcuni punti tanto da sembrare una distesa di olio, ha facilitato l’avvistamento e la tranquillità dei suoi abitanti: cetacei, tartarughe e pesci volanti, giusto per citarne qualcuno tra quelli visti. Così, tra delfini giocosi a seguir i gommoni, abbiamo avuto la grandissima fortuna di osservare da vicino (10-15 metri) tanti capodogli, alcuni fermi mentre riposavano altri addirittura che saltavano fuori dall’acqua. Lacrime agli occhi per l’emozione, non poteva esserci conclusione migliore del viaggio!

Bene, qualche suggerimento l’ho fornito e spero di avervi incuriosito abbastanza… A voi il piacere di riscoprire queste isole uniche e imperdibili!

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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