Dalle risaie al cielo: in bici verso le vigne di Gattinara

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Castellazzo Novarese, pianura piatta in mezzo alle risaie a nord di Novara, sabato mattina. Tiro fuori la bici dalla macchina, infilo la ruota davanti e chiudo il perno. I miei due compagni d’avventura fanno altrettanto, poi riempiamo la borraccia alla fontanella. Eccoci.

Erano anni che sognavo di fare questo giro: partire dalle risaie del novarese per attraversare la collina di Ghemme e infine salire in cima alle vigne del Gattinara. Negli ultimi mesi chiusi in casa ci pensavo continuamente: salire e scendere su quei crinali in bicicletta. Il mio sogno di libertà.

Ho disegnato accuratamente il percorso, l’ho rifinito e aggiustato a lungo: volevo che fosse perfetto. Una cavalcata che partisse dal basso dei campi di riso allagati e salisse su, prima sulle curve morbide del Ronco di Ghemme, poi che ci portasse davanti alla maestosità e alla durezza delle pendenze dei cru di Gattinara. Per me un viaggio da sindrome di Stendhal: bici e vigne, vino e salite, geologia e geografia, mappe e panorami, riso, nebbiolo e vespolina.

Giriamo attorno al castello, svoltiamo in una strada a sinistra dove inizia lo sterrato: oggi ne macineremo a decine di chilometri di sterrato. Inutile dire che la sensazione è di magia: pedalare su una linea asciutta con a destra e a sinistra le risaie… le piantine di riso sono spuntate da poco, hanno un verde tenue e le linee di semina sono come fili di un ordito immenso. La pianura è totalizzante, e un po’ di nuvoloni del mattino impediscono la visione del grande scenario alpino, col Monte Rosa immenso che si staglierebbe a ridimensionare anche la vastità della piana. Canali, risaie, aironi, e ogni tanto una quercia isolata ai bordi di un fossato. Scorriamo intimiditi da questa bellezza, un occhio al navigatore e poi avanti a godere di questo spettacolo verde. Ben presto si profila davanti a noi un castello, quello di Briona, segno che la pacchia sta per finire, tra poco si fa sul serio, attraversata la statale che scende verso Novara, l’abitato di Briona fa presto a terminare, come il suo asfalto: iniziamo a salire sul Ronco di Ghemme.

La collina di Ghemme è una lunga lingua che si sporge sulla piana novarese, lascito delle glaciazioni e dell’azione fluviale, ha la forma morbida di un cuscino che si sviluppa tra i 220 e i 300 metri d’altitudine, e al centro è un vasto altipiano boscoso. Briona sta all’estremità sud di questa lingua d’argilla.

Poche svolte tra le strade strette, siamo talmente concentrati che ci perdiamo pure la vista del Castello di Briona, giusto una svolta a sinistra, e verso nord la strada diventa sentiero: si inizia a salire. L’impatto è tosto, il fondo è sassoso e la pendenza non da poco, fortuna che non dura molto; dopo poche centinaia di metri all’improvviso ci guardiamo intorno e vediamo la pianura molto più in basso. Che sensazione strana, in poche pedalate siamo in quota, sull’altopiano d’argilla.

Parlando di vino, su questo lungo promontorio collinare assai omogeneo, andando da sud a nord incontreremo tre denominazioni: il Fara DOC (sotto cui rientra anche Briona), il Sizzano DOC, quindi il Ghemme DOCG. La peculiarità di questo sistema collinare sono le forme morbide della collina, la gran presenza di boschi a intervallare le vigne, e la nettissima presenza di suoli argillosi. Ce ne accorgiamo ben presto: ha piovuto da pochi giorni e la strada sterrata che costeggia i vigneti è tutto un intervallarsi di pozzanghere di dimensioni assai preoccupanti e di tratti fangosi ancora più insidiosi.

Proseguiamo verso nord osservando le vigne: non è una monocoltura, anzi in certi tratti il bosco e i prati hanno la maggioranza. Incontriamo alcuni vigneti vecchi, con ceppi di dimensioni notevoli, alcuni vigneti a maggiorina semplificata, vigneti moderni e vari nuovi impianti. Si percepisce che la zona sta piano piano aumentando di importanza a livello vinicolo, e che c’è attenzione di molti produttori su queste terre, che rispetto a Gattinara hanno per adesso prezzi ancora abbordabili.

Dopo circa cinque chilometri dall’inizio della collina imbocchiamo un ripido sentiero acciottolato in discesa, appena sistemato, ci lasciamo distrarre e perdiamo la traccia che ci indicava di risalire, in breve siamo già in basso, a Sizzano. Poco male, un rapido aggiustamento della mappa e ci dirigiamo a nord in direzione Ghemme, stando però alla base della collina. Spuntiamo proprio davanti alla cantina dei vigneti Cantalupo, cento metri di statale e poi si svolta a destra: si risale sul ronco e si riguadagna l’altopiano. Eccoci a costeggiare la storica costruzione del castello del Cavenago, una antica costruzione in mattoni con torri angolari. Oggi è un ottimo agriturismo dove si mangia in saloni storici; per gli amanti delle spigolature, ne parlò Stendahl ne La certosa di Parma. Dalla letteratura ripiombiamo ben presto nel fango argilloso, qualche chilometro dopo, un sentiero non proprio ben tenuto ci consente di bypassare l’autostrada Gravellona-Toce, ma c’è un’enorme pozzanghera da superare. Uno di noi ci prova con ottimismo ma a metà del guado l’acqua fangosa arriva a mezzo metro non lasciando altra scelta che mettere il piede a terra per evitare il tuffo. Ne conseguono improperi e scarpe fradice, oltre a qualche risata.

Avanti con difficoltà su un tratto boscoso mal tenuto, poi finalmente la vista si apre su un bel vigneto che digrada a ponente, siamo in località Mauletta, zona molto vocata costellata di bellissimi vigneti pettinati col righello. Passiamo davanti all’azienda Ioppa, ed infine ci immettiamo sulla provinciale che con una veloce discesa ci immette nel paese di Romagnano Sesia. Ci riposiamo in un parco mangiando qualcosa; tra poco arriverà il bello, superata la Sesia, inizieranno le rampe micidiali dei vigneti di Gattinara, c’è di che preoccuparsi.

Eccolo qua il grande fiume alpino che scende impetuoso portando a valle le acque del Monte Rosa; passiamo il ponte, ci dirigiamo verso sud percorrendo un breve tratto di statale. Poi imbocchiamo sulla destra una vietta che costeggia la collina. Sopra le nostre teste, a breve, si intravvederà il cru dell’Osso San Grato, mitica vigna resa celebre dai vini di Antoniolo, la vigna più a est della denominazione. Ma c’è poco tempo per pensare: ad un certo punto mi tornano in mente le parole delle telecronache di De Zan: “…e adesso la strada svolta a destra e inizia la salita”. Improvvisamente. Inizia la strada verso la torre di Gattinara: prima sono ville e villette, poi a suon di rampe e tornanti siamo improvvisamente nelle vigne. Tostissime le pendenze, oltre al 10%. Incredibili anche le pendenze delle vigne, che hanno terrazzamenti vertiginosi che seguono il profilo tormentato della collina.

Se Ghemme era la quintessenza della collina morbida, qui, a un tiro di schioppo, siamo in una situazione diametralmente opposta, collina ripida e rocciosa, pendenze da capogiro. Se Ghemme è il regno dell’argilla, qui siamo nel regno dei porfidi vulcanici, e spesso a bordostrada affiorano rocce rossastre a testimoniarlo. Il terreno è fortemente drenante, tutta un’altra situazione rispetto ai ristagni argillosi della collina di fronte. Incredibile come in pochi chilometri si possano verificare differenze geologiche così accentuate. L’Alto Piemonte da questo punto di vista è una sorpresa continua.

Rocce, vigne, boschi, pendenze dure e costanti. Per fortuna dopo un bel po’ di sofferenza arriva il cartello che indica a sinistra la stradina che porta alla Torre delle Castelle. Superato il bivio, unico momento di respiro, inizia un’ultima rampa micidiale, ma per chi ha mantenuto un briciolo di lucidità, lo scenario che si apre a ovest è da brivido: l’intero sistema delle vigne del Gattinara, tutto a vista d’occhio, colline e colline scavate da profondi valloni quasi interamente coperti di vigneti. Uno spettacolo indescrivibile.

Poi arriva finalmente la spianata della torre, la costruzione solitaria che domina l’abitato di Gattinara. Un tempo la sua sagoma veniva riprodotta sulle etichette della denominazione (oggi solo un paio di produttori la mantengono, Franchino e Patriarca). Oltre alla torre e al panorama quassù c’è un’altra particolarità: proprio sotto la torre, in direzione sud, c’è un vigneto sperimentale che raccoglie decine di cloni differenti di nebbiolo, una specie di biblioteca vivente del nebbiolo; merita farci una passeggiata per percepire le differenze tra foglia e foglia, e in stagione, dei diversi grappoli.

Ma per noi ciclisti non c’è tempo per i cloni di nebbiolo. Il nostro spauracchio è lassù, sopra le nostre teste, verso la montagna: i ruderi del Castello di San Lorenzo. È lì che vogliamo arrivare, nel punto più alto del Gattinara, a 530 metri di quota. Disegnato sulla mappa, il percorso è evidenziato in rosso, segno che qui si toccano punte al 18%, su fondo sterrato. Ci guardiamo: ce la faremo? “Nel caso aspettatemi”, è lo slogan che parte subito. Bivio, sinistra, breve tratto tranquillo, poi si intravvede il cartello che indica il cru San Francesco.

Impossibile distrarsi: sette, dieci, dodici per cento, tornanti su fondo in cemento e via andare. Il bello è che dopo un altro bivio a destra, la pendenza aumenta ulteriormente. Da non crederci. In mezzo a vigneti di una bellezza incantevole, nel cielo che si è rasserenato e conserva l’azzurro del lapislazulo, sei obbligato a guardare per terra per non cadere, a volte la ruota davanti si stacca da terra quando dai il colpo di pedale. Grondo di sudore e sto ansimando come un mantice mentre supero con lentezza esasperante gruppetti di camminatori a piedi. Ecco un tratto di bosco, e a complicare le cose arriva lo sterrato, sempre con pendenze assassine. Stacco il blocco dei pedali per non rischiare di cadere, la ruota dietro spesso slitta sul fondo sassoso. Tengo duro per non mollare davanti a questi camminatori, ma le energie sono al lumicino. Fortuna che a un certo punto c’è un tratto in piano. Ci aspettiamo e ci ricompattiamo: l’ultima rampa del castello la faremo insieme.

Eccoci in cima. Proprio sotto al castello quest’anno hanno piantato una nuova vigna, 520-530 metri di quota, la più alta del Gattinara. Fantastica la vista, che gira quasi a 360 gradi. Da est si vede la collina di Ghemme, a sud la torre di Gattinara e il paese sotto, la pianura che si perde all’infinito, poi verso ovest le vigne storiche, i cru della Valferana e Molsino, poi il bosco di Lozzolo e i vigneti del Bramaterra, e sullo sfondo a ovest una interessante macchia gialla-arancio: sono le sabbie di Lessona, fatte affiorare da uno scasso per un nuovo vigneto. Poi a nord-nordovest un sistema di colline dal profilo tormentato: è quel che rimane del cosiddetto supervulcano della Valsesia, un vulcano collassato in età antichissime, che ha dato origine ai terreni così peculiari dell’Alto Piemonte. Infine, alle spalle del castello, si intravvedono Boca e Maggiora, altri luoghi di culto per gli amanti del vino.

È il momento di ripartire. Ma la salita non è finita: nelle mia foga da disegnatore di mappe e di impallinato di cru storici, non potevo chiuderla qui. Ecco che scendiamo dal castello, ritroviamo un bivio leggermente a destra, saliamo a 390 metri il colletto in cima al cru Permolone, poi giù in picchiata per una stradina in cemento che sembra una pista da bob; all’inizio ha una pendenza assurda, dobbiamo mordere i freni con forza, le vibrazioni del cemento fanno ballare le forcelle delle bici, poi per fortuna ritorna a più miti consigli e possiamo “bere” il mix indescrivibile tra il verde chiaro delle vigne e l’azzurro del cielo. Pazzesco quanto sia bella questa vallata.

Ancora poche curve e arriviamo alla strada di fondo, la cosiddetta Strada delle vigne Lozzolo-Gattinara, uno sterrato agevole che viene usato principalmente dai vignaioli per raggiungere l’attacco delle salite dei cru che si succedono. Ecco che alla nostra destra compare il cartello che indica la salita alla Valferana, uno dei cru più importanti del Gattinara. Proseguiamo ancora un po’, quanto basta per prendere l’attacco delle Vigne Nervi, altro cru da sogno (per i ciclisti, questa salita è “la Nervi”).

Ci risiamo: dopo un inizio duro ma fattibile, le pendenze iniziano a martellare a doppia cifra. Quota 320, 330, 340, 350 in pochissimi metri e non smette di picchiare. Vado in debito d’ossigeno e imprecando metto il piede a terra. Ma faccio bene, nonostante l’affanno ho modo di guardarmi intorno e di rendermi conto della bellezza che mi circonda: sulla destra la vallata della Valferana, davanti a me, in cima, il casottino dei Nervi; a sinistra, verso ovest, i filari ripidi del Molsino, poi oltre c’è il bosco che separa Gattinara da Lozzolo (là inizia la Doc Bramaterra). Guardo un attimo il terreno di queste vigne, è uno ghiaino quarzoso di colore rosso pieno. Non mi fossi fermato non l’avrei notato. Che cru meraviglioso.

Ultime battute, manca poco al casottino, e finalmente arriviamo sul piazzale panoramico usato dalla Nervi per le manovre dei trattori e i rifornimenti d’acqua. C’è un grande calice in metallo che segnala un percorso di installazioni artistiche tra i vigneti. Va detta una cosa: la segnaletica qui nel Gattinara è encomiabile: sia per la mountain bike, dove ci sono percorsi ad hoc ben tenuti, sia per la corsa e l’escursionismo, tutto è perfettamente segnalato, in una integrazione ottima tra percorsi di vino e percorsi sportivi.

Due trattoristi hanno finito i trattamenti, per loro è l’ora di staccare per il pranzo. Noi dobbiamo accontentarci di qualche barretta (il più stoico di noi tre non cede alle barrette e si rifugia in una più sana banana, che ha resistito nella sua tasca posteriore tutto questo tempo). Tante vigne ma zero acqua purtroppo quassù; la sete ci attanaglia ed è l’ora di tornare a valle. Imbocchiamo in discesa lo sterrato del Molsino, cru dall’orografia molto complessa, di una bellezza indescrivibile. Eccoci adesso tornati sulla strada di fondo, proseguiamo verso Lozzolo per alcune centinaia di metri poi svoltiamo a sud. Ma non passeremo dalla statale per tornare a Gattinara: disegnando la mappa, avevo individuato una sottile traccia, chiamata “vecchia strada Lozzolo-Gattinara”. Molto poco battuta, ha un fondo di ciottoli, in questo periodo quasi interamente coperto da un rigagnolo d’acqua che scende dalla collina. Acqua chiara e corrente, dà la sensazione fresca e curiosa di pedalare in mezzo a un ruscello.

Infine arriviamo a Gattinara: percorriamo lo storico Corso Garibaldi e pieghiamo a sud in Corso Vercelli. Al pavé del centro si succede l’asfalto, ma non ci fa dispiacere, dopo tutto questo sterrato. Lo rimpiangeremo sonoramente dopo poco, quando ci immetteremo nel lunghissimo tratto sassoso dell’alzaia del Sesia. Un segmento praticamente dritto di dieci chilometri (dieci!) dal fondo ghiaioso-sassoso, che mette alla prova braccia, gambe e sistema nervoso. Ho i crampi al piede quando finalmente vediamo di nuovo l’asfalto: svoltando a est, attraversiamo il ponte della Sesia. Ancora un po’ di asfalto, passiamo Carpugnano Sesia e Sillavengo. Poi ci rituffiamo negli sterrati delle risaie. Ultimi chilometri in relax, in mezzo all’acqua e agli aironi, in un paesaggio orizzontale; ormai si chiacchiera e si scherza, ma tra le risate ci troviamo davanti un guado inaspettato. La via è attraversata dall’acqua corrente che alimenta le risaie, e non sembra nemmeno poca. Scaliamo marcia, stacchiamo i pedali, un due tre via! L’acqua fredda entra nelle scarpe con un brivido piacevolissimo. Abbiamo fatto anche questa. In un campo alla nostra destra un ibis dal becco arcuato becchetta in mezzo al riso. Eccoci in vista di Castellazzo, chiudiamo il giro. Non può mancare la foto di rito alle bici infangate, la bevuta alla fontanella, il racconto della fatica e della bellezza.

In 59 chilometri una moltitudine di paesaggi, dalle risaie alla collina morenica, dalla roccia vulcanica alla pianura fluviale, fino di nuovo alle risaie. In mezzo, vigneti da sogno.
Grazie ai miei compagni d’avventura: Andrea e il Gianco.
Dalle risaie al cielo, e ritorno.

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Castellazzo-Briona-Ghemme-Romagnano-Gattinara-Castellazzo
Lunghezza: 58,9 km
Dislivello: 634 metri
Altezza massima: Castello di San Lorenzo, 530 m
Link al percorso, disegnato sull’applicazione Komoot

Alcuni vini notevoli nelle località toccate dal giro:
Briona:
Fara Bartòn 2015, Vespolina Favolalunga 2017, Rosato Rosadisera di Boniperti Vignaioli
Fara Doc 2015 e Vespolina Nina 2018 di Francesca Castaldi
Sizzano:
Sizzano Doc 2015 di Paride Chiovini
Ghemme:
Ghemme DOCG Ronco Maso e Vespolina di Platinetti Guido
Ghemme DOCG e Nebbiolo Agamium di Antichi Vigneti Cantalupo
Ghemme DOCG “Dei Mazzoni” e Vespolina Il Ricetto di Tiziano Mazzoni
Romagnano Sesia (loc. Mauletta):
Ghemme DOCG e Vespolina di Ioppa
Gattinara:
Gattinara DOCG Osso San Grato e Gattinara DOCG San Francesco di Antoniolo
Gattinara DOCG “Pietro” 2015 e Coste della Sesia Nebbiolo 2017 di Paride Iaretti
Gattinara DOCG 2015 di Franco Patriarca
Gattinara DOCG 2016 di Mauro Franchino
Gattinara DOCG 2015 e Coste della Sesia Nebbiolo 2018 di Luca Caligaris
Gattinara DOCG Vigna Valferana 2014 e Gattinara DOCG vigna Molsino di Nervi

Per la cartografia dei vigneti di Gattinara, segnalo l’impagabile opera di Alessandro Masnaghetti:
Enogea-Gattinara

Per acquistare online i vini il portale di riferimento è:
www.altopiemonteitalia.com

Informazoni su Le Vie dei Calici, Gattinara
www.leviedeicalici.it

Consorzio Nebbioli Alto Piemonte
www.consnebbiolialtop.it

Promozione turistica
www.visitaltopiemonte.com

GALLERIA 1: MAPPE E VISTE PANORAMICHE

GALLERIA 2: FOTO

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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