Nel vino il problema non è l’alcol contenuto, ma l’alcol percepito. Secondo un modello cognitivo ormai pacifico per il bevitore avveduto, il buon vino sa vestire la sua pelle alcolica, mentre il vino mediocre la mette a nudo.
“Il buon vino ha un finale rinfrescante, che ti fa venir voglia di berne un altro sorso, mentre il vino cattivo finisce bruciante per l’alcol”, nelle parole dell’enologo di fama mondiale Paul Pontallier, che ci benedice ormai dai Campi Elisi.
Tutto ciò vale in senso strettamente edonistico: dal punto di vista medico ed epidemiologico l’alcol è una potente neurotossina e il suo abuso crea vere devastazioni.
Questo semplice schemetto di analisi sensoriale ci è utile da decenni per dare il giusto valore ai rossi più generosi, ma personalmente credo che mostri oggi dei limiti interpretativi.
Oggi il problema è sia l’alcol contenuto che l’alcol percepito.
C’entrino o meno il progressivo smottamento causato dalle alterazioni climatiche e/o un cambiamento nelle lavorazioni agronomiche ed enotecniche, sta di fatto che tipologie un tempo costituzionalmente capaci di gestire la frazione dell’alcol, integrandola in un quadro aromatico più ampio e articolato, mostrano oggi lembi di pelle alcolica sempre più estesi.
Non sono un nostalgico dei Brunello di Montalcino o dei Chianti che sviluppavano 12,5 gradi d’alcol. O meglio lo sono, però questo sguardo retrogrado non mi impedisce di trovare piacevoli molti vini attuali nonostante i loro intensi vapori alcolici.
Un esempio virtuoso dei giorni scorsi il magnifico Barolo Perno 2015 dell’appartato, poco mediatico Elio Sandri. Un Barolo delicato, classico nell’espressione dei profumi e trasparente al palato, dove tutto quello che succede di buono è introverso, raccolto, confidenziale, profondo. Un Barolo quindi agli antipodi del rosso sguaiato e volgare nell’esibizione della sua muscolatura estrattiva. Un Barolo, tuttavia, che è come immerso in una nuvola alcolica molto fitta. Che lo fa virare, nel finale, sulla connotazione di un distillato.
L’alcol che evapora dalle botti è chiamato la parte degli angeli. Purtroppo ultimamente le potenze angeliche e arcangeliche sembrano essere diventate astemie. Lasciano troppo alcol qua giù a noi mortali.
Perciò appare sempre più urgente sollecitare i vignaioli e i produttori a trovare una nuova quadra. A sperimentare soluzioni più radicali, in vigna e in cantina. Perfino a rinunciare a una parte di naturalità, di maniacale rispetto della natura, se un qualche escamotage non invasivo può aiutare a uscire dalla morsa sempre più potente delle gradazioni alcoliche elevate.
Quest’ultimo paragrafo suonerà controverso. Eppure penso che non esistano solo gli estremi del vinnaturismo più intransigente da una parte e le bieche manipolazioni turboenotecniche dall’altra.
Esiste un’enologia sana, rispettosa della terra e del suo carattere, capace di trovare soluzioni oneste, che deve conquistare una sua centralità nel dibattito.
Complimenti Fabio, bellissimo articolo.
Per quanto riguarda il Barolo Perno 2015 di Elio, concordo pienamente sulle tue note: vino intrinsecamente elegante, un bel blues che vira verso il rock più classico, simbolo di un’annata generosa e probabilmente da attendere…
Un caro saluto