Il cuore oltre l’ostacolo. Parole per il Natale (e oltre!)

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Italo Calvino aveva deciso di intitolare quelle che sarebbero diventate le sue Lezioni americane Six Memos for the Next Millennium, sei appunti per il prossimo millennio. Era il 1985, il mondo era  ancora diviso in due blocchi, l’informatica stava facendo passi avanti e ci si domandava che ruolo avrebbe avuto la letteratura davanti alle incognite che presentava il nuovo millennio incombente. Calvino individuò sei valori che partendo dalla letteratura di tutti i tempi potessero dare una luce nuova alle impasse del presente e traghettare verso il futuro. Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Coerenza.

Ma oggi? Abbiamo scollinato il millennio, con Internet si può fare anche il caffè, ma da un anno un piccolo virus ha letteralmente inceppato tutto. Tutto e anche di più: ha messo in crisi dalle radici la nostra capacità relazionale.

Isolamento, distanziamento, mancanza di contatto, sono strategie per combatterlo, ma rischiano di diventare meccanismi mentali in cui ci rinchiudiamo: rischiamo di uscirne tutti più soli, più impoveriti dentro.

Suona il telefono una sera. “Sono la Maria! Via, che s’ha a fare per Natale? Bisognerebbe fare una cosa come quella volta che si fece il libro di ricette… Altrimenti si sta qui a fare la muffa ognuno per conto suo…” “Grande Marì! Dai facciamo qualcosa!”

E così eccoci qua: un mattoncino alla volta abbiamo cercato di dare un piccolo segno per non rimanere isolati, per dire che nei momenti bui si possono tirare fuori inaspettate risorse interiori, scardinare le maglie del blocco. Bisogna rispolverare Montale, quando diceva:

Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
(E. Montale, In Limine, da Ossi di seppia, 1925)

Allora anche noi abbiamo voluto trovare alcune parole chiave e altrettanti scritti, per gettare il cuore oltre l’ostacolo, per resettare il nostro sguardo in modo da guardare a viso aperto il futuro. E qui dopo Calvino e Montale non possiamo che citare Buzz Lightyear di Toy Story:
Verso l’infinito, e oltre!

Sarà un percorso in tre puntate, per arrivare a Natale, che raccoglierà brevi scritti eterogenei (mail, racconti, ricette, fotoracconti, riflessioni) che illustreranno le parole chiave che ci sembrano più adatte a dare uno slancio ad andare avanti, ad andare oltre.

 

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Parlare

…E riprendendo le parole di Fernando Pardini: “mai come adesso conta il parlarci”, vi racconto che con con l’inizio della pandemia è iniziata un’abitudine quotidiana, un appuntamento fisso ogni giorno: una lunga chiacchierata al telefono con la Maria (Pelletti). Con la differenza dell’ora tra gli Stati Uniti, dove io abito, e l’Italia, per me è sempre l’ora di pranzo quando arrivo all’appuntamento. Si potrebbe chiamare questa storia a puntate: a pranzo con la Maria.

Cosi come quando torno da una passeggiata nel bosco e vuoto le tasche piene di piccole cose raccolte – un sasso, una foglia, un rametto di qualcosa – in queste conversazioni giornaliere parliamo di piccole cose, di tante cose che ci avvicinano, ci trasportano , ci fanno “viaggiare” lontano da queste pareti che adesso ci rinchiudono spietatamente.
E immancabilmente si parla di cibi e ricette! Il venerdì è sempre per il pane. Tante volte si dice: vivrei solo di pane! E pensare che la Maria fa il pane tutti i venerdì in quel bel forno a legna che s’è fatta fare nel suo giardino! E si riempie gli occhi lì nella sua cucina con diciotto filoni di pane profumato appena sfornato che aspetta di essere spartito tra i pochi privilegiati.
Profumo di pane, profumo di casa, di casa vissuta, di tempo vero.

Mail e foto di Isabella Luconi. Farolitos, luminare e vetrine a Santa Fe, New Mexico. (le foto dei farolitos sono tratte da www.santafe.org)

 

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Ricordare

La novena e i cantuccini

Da piccoli nostra madre ci portava alla novena di Natale. Nei nove giorni che precedevano la festa, la sera, verso le sei, si sentivano le campane del paese di Vado e partivamo a piedi al buio verso la chiesa. Ricordo in noi bambini tutte quelle sensazioni: la vibrazione del Natale che si avvicinava, il freddo pungente, il divertimento di uscire da casa per una cosa insolita. In casa io e mia sorella avevamo già iniziato il presepe e c’era quell’odore inconfondibile di muschio secco. Ci vestivamo pesanti con sciarpe e berretti, davamo un’ultima occhiata all’albero e via in strada con la mamma, verso la messa della novena. Camminando contavamo i giorni che mancavano, meno nove, meno otto giorni, era un’emozione tutta fatta di potenzialità e di vibrazioni nella sensibilità di noi bambini. Ricordo la chiesa di Vado, con due statue di santi guerrieri che un po’ mi spaventavano e un po’ mi incuriosivano, e sicuramente mi spaventava la figura tuonante di Don Costia, il parroco storico, accigliato e inquietante, che davanti a una quindicina di vedove ottantenni, una decina di bambini, un sagrestano e cinque casalinghe elargiva durante l’omelia citazioni in latino e in greco come fossero noccioline. Della novena mi piaceva un momento in particolare, quando diceva: “La messa è finita andate in pace”, e allora uscivamo finalmente sollevati, e nel buio trotterellavamo verso casa sognando la neve, le luci intermittenti dell’albero, il profumo del Natale che arrivava.

Non circolavano molti dolci in casa nostra nei giorni prima di Natale. Ma ho un ricordo velato e dolce di una volta in cui la nonna ci portò i cantucci. “Tené” (che sta per “tenete”) ci disse, mi ricordo il gesto e la parola, perché gli anziani ai bambini allora davano del voi, allungandomi un cantuccio dal colore dorato.

I cantucci, anzi i cantuccini, come si diceva da noi, ogni tanto li faceva la mamma. Ma la mamma era cresciuta alla scuola di una certa sobrietà contadina che la spingeva a sfoltire se non dimezzare le dosi di zucchero e uova e lasciare più spazio alla farina… E i suoi biscotti, più che cantucci riuscivano biscotti della salute, che quando per caso si trovava una mandorla io o mia sorella si festeggiava sfottendo l’altro dicendo che s’era trovato il biscotto fortunato.
Ma quella volta arrivò il sacchetto di cantuccini della nonna. Non so se li avesse fatti lei o se li avesse comprati sfusi alla cooperativa. Caspita, quelli eran cantucci!

Gialli, dolci, con tante mandorle. Appoggiavo la lingua sulla doratura sopra, per godermi la sensazione calda dell’uovo, poi li sgranocchiavo piano, lasciandomi la mandorla per ultima. Mi piaceva il tatto ruvido dell’esterno, la compattezza del biscotto, la croccantezza in bocca della pasta e infine l’esplosione del sapore della mandorla, con quel pizzico amaro in fondo che avrei imparato a apprezzare sempre di più crescendo.

Ricette di cantucci non ce ne sono in casa dei miei. Oltre all’immancabile librone dell’Artusi, foderato di carta come si usava un tempo per non sciuparne la copertina, c’è solo il libriccino ormai consumato delle ricette Bertolini, con la figurina di Mariarosa in copertina che mi piaceva un sacco, e qualche torta scritta a mano da mia madre. Ma niente cantucci (anche perché se ci fossero, sarebbero nella versione “dietetica” da biscotto della salute). Prendo allora spunto dal ricettario di Letizia Nucciotti (L’antichef, Stampa Alternativa), una cuoca toscana che nel suo libro racconta storie di vita e di cucina e le alterna a ricette molto pratiche e alla mano, da osteria di paese insomma.

Cantucci
Per farne una gran quantità (2 placche da forno casalingo):

farina 00 500 g
mandorle grezze 250 g
zucchero 500 g
sale un pizzico
3 uova intere
lievito per dolci 1 bustina
2 tuorli
2 cucchiai di miele

Si mette la farina a fontana sulla spianatoia con al centro lo zucchero, 2 uova intere e 2 tuorli, un pizzico di sale e la bustina di lievito setacciato, e intanto si scalda il forno a 170°.

Si impasta e si lavora fino a formare una pasta mediamente morbida.

A quel punto si aggiungono le mandorle. Il segreto è farle tostare in forno prima, così vengono più croccanti.

Verrà un impasto ricco di mandorle, quasi difficile da lavorare. Si divide l’impasto in quattro parti.

Spolverando un poco di farina sulla spianatoia si prende una parte d’impasto alla volta e lo si arrotola con le mani avanti e indietro fino a fargli prendere la forma di filone, lungo il giusto per farlo entrare nella placca da forno o nella teglia.

Dopo aver messo un foglio di cartaforno sul fondo, si dispone il filone sulla teglia. Conviene mettere due filoni per teglia, tenendoli ben distanziati.

Si scaldano un paio di cucchiai di miele a bagnomaria, e si spennellano i filoni. Poi si fa il secondo giro per la doratura, spennellandoli con l’ultimo uovo sbattuto.

Si mettono in forno a 170° per 20-25 minuti; vedrete che si allargano sulla teglia. Si tirano poi fuori e dopo averli fatti raffreddare alcuni istanti, si mette un filone alla volta sul tagliere e lo si taglia con un coltello ben affilato, in fettine oblique di circa 1,5 cm di spessore. Il taglio va fatto netto e deciso, non in verticale ma muovendo il coltello per lungo.

Poi si prendono i cantucci e li si mette sulla teglia distanziati, e si rimettono in forno per 10 minuti a seccare e dorare.

Una volta fuori dal forno li si fa raffreddare completamente, poi si possono conservare nella classica scatola di latta, o si possono insacchettare in bustine di plastica per fare dei piccoli regali di Natale.

Paolo Rossi
(la ricetta è basata su quella di Letizia Nucciotti)

 

Appuntamento a giovedì prossimo per nuove parole e nuovi racconti. 

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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