Il diario del secondo lockdown. 26 novembre – 2 dicembre

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Giovedì 26 novembre

Il Relogio 2011 di Ca’ Orologio (carmenère e cabernet franc di Baone, a sud dei Colli Euganei) dispensa attimi di assoluto piacere (la macchia mediterranea tipica di questo comprensorio, i sentori di pepe, le note di erbe aromatiche, gli umori del sottobosco), in una giornata altrimenti monotona.

Male già esistenziale, la monotonia è una degli effetti collaterali della pandemia. Produce noia, frustrazione, aggressività. Le cronache parlano di un accrescimento dei disturbi alimentari: bulimia e anoressia, specialmente, segnano un aumento del 30% e una maggiore diffusione del disturbo tra gli uomini rispetto al passato. Gli studi elaborati dal ministero della Salute della Regione Umbria coordinati dalla psicoterapeuta Laura Dalla Ragione, che leggo sul portale del «Fatto Quotidiano», definiscono un’incidenza esponenziale: dieci anni fa la popolazione maschile colpita da questo tipo di disturbo era l’1%, oggi è il 10%, che sale al 20% nella fascia tra i 12 e 17 anni, tra dieci anni si ipotizza che non ci saranno più differenze tra maschi e femmine.

Venerdì 27 novembre

Partecipo online alla degustazione del Buttafuoco Pianlong 2017 di Cantina Scuropasso. Sullo schermo del computer ci sono Fabio Marazzi con la giovane figlia Flavia, che rappresenta la quarta generazione e il futuro della famiglia. Il 2017 è la sua seconda vendemmia e questo vino uno dei primi che ha visto nascere. Arriva da una piccola vigna a conduzione biologica di 4000 metri quadrati nella “zona delle ghiaie” (così chiamata per la tipologia del terreno) di Canneto Pavese (frazione Cravè), storicamente vocata alla produzione di questo vino, delimitata da soli sette comuni: Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cicognola, Pietra de’ Giorgi.

Un’enclave di quel vasto, affascinante e controverso bacino vitivinicolo chiamato Oltrepò Pavese. L’uvaggio vede la presenza maggioritaria della croatina, seguita dalla barbera e da un saldo di uva rara (vitigno delicato) e vespolina o ughetta di Canneto (vitigno speziato). Tutte le uve sono state vendemmiate nello stesso momento e vinificate congiuntamente. Fermentazione spontanea, macerazione prolungata per una cinquantina di giorni, quattordici mesi di maturazione in botte grande da cinque ettolitri. Il vino ha frutto carnoso e selvatico, sottile speziatura, sapore che tende a infiltrarsi, tannino di rango. Troverà ulteriore modulazione con l’affinamento in bottiglia. «Il terroir di Canneto Pavese produce vini fini che durano nel tempo», chiosa Beppe Zatti, che ha curato la parte agronomica ed enologica del vino.

Sabato 28 novembre

Giorni di sole, giorni di luce.

La morte di Maradona si tinge di giallo. Secondo il «Clarín», l’infermiera del turno mattutino, pur sentendo dei rumori provenire dalla sua stanza intorno alle 7.30, non avrebbe controllato il paziente.

Guardo Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki, uno dei suoi capolavori. Una favola dei nostri tempi, coraggiosa e bellissima.

Domenica 29 novembre

È morto, all’età di 85 anni per le conseguenze del COVID-19, David Prowse, culturista britannico conosciuto per aver interpretato il ruolo di Dart Fener (da noi Darth Vader) nella prima trilogia di Guerre stellari (Guerre stellari del 1977, L’impero colpisce ancora del 1980, Il ritorno dello Jedi del 1983). L’immagine di Dart Fener appare sulle copertine, virate al nero, dei tre volumi dell’ultima edizione de Il Mereghetti. Dizionario dei Film 2021, curato, appunto, da Paolo Mereghetti con la collaborazione di un pugno di valenti collaboratori (6653 pagine di schede + 2163 pagine di indici).

Tra le novità, la voce tematica dedicata a Star Wars con la riscrittura di tutte le schede della saga per un totale di una ventina di pagine (in pratica un fascicolo tematico all’interno del volume). Non amo particolarmente l’idea di cinema di Mereghetti, che sento molto lontana dalla mia, ma le schede del suo dizionario (che ho sempre comprato fin dalla prima uscita, nel 1993), sono un esempio perfetto di sintesi narrativa e critica sul piano dello stile (che è peraltro molto diverso da quello dell’autore quando scrive sul Corriere della Sera), e come tale l’ho sempre indicato come un modello di riferimento anche nelle scuole (ai tempi in cui vi insegnavo, ormai “tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”).

Sui giudizi (le celebri stellette, che poi sono asterischi, in scala da * a ****) non entro più di tanto nel merito (so cosa significa lavorare con i punteggi e un giorno scriverò qualcosa sul rapporto tra le guide dei vini e i dizionari dei film), perché le discordanze fanno parte del gioco, anche se, scorrendo le valutazione del Mereghetti, si ha l’impressione che ogni tanto latiti una certa “oggettività” o coerenza interna…

Lunedì 30 novembre

«“Felici di fare la coda”. La febbre da shopping nella Milano liberata. L’assalto a corso Buenos Aires già all’apertura dei negozi. “C’è ottimismo, spero di ritrovare il lavoro”. La rabbia dei ristoratori: “Siamo i soli a piangere”» (la Repubblica).

Nuove indiscrezioni sulla morte di Maradona. «La Nación» riporta le affermazioni del legale di Gisela Madrid, infermiera di Maradona, secondo cui «Maradona è caduto e ha battuto la testa proprio una settimana prima della sua morte, il mercoledì. Nessuno però lo ha portato in ospedale per una Tac. Maradona non era in grado di decidere da sé che cosa fare ed è rimasto chiuso nella sua stanza per ben tre giorni». È indagato per omicidio colposo (incuria nel ricovero domestico e negligenza) Leopoldo Luque, il chirurgo che ha operato Maradona al cervello (ematoma subdurale) e che si difende così: «Perché non indagano su chi era Maradona? Mi cacciava di casa e poi mi richiamava indietro. Non voleva neppure alzarsi dal letto per ricevere le figlie. Nessuno poteva obbligarlo a fare qualcosa, tantomeno ricoverarlo in manicomio contro la sua volontà. E comunque è morto di cuore, la cosa più comune al mondo. Diego odiava tutti ma era mio amico e aveva bisogno di aiuto. Dopo l’operazione ha lasciato la clinica perché era autorizzato e stava bene».

Guardo La belva di Ludovico Di Martino. Tentativo parzialmente riuscito di riprodurre i modelli dell’action americano, qui peraltro ricalcati su Taken, di produzione francese, con Liam Neeson protagonista. Considerevole la metamorfosi fisica e attoriale di Fabrizio Gifuni.

A tre giorni dalla stappatura, il Buttafuoco Pianlong offre sentori di erbe mediterranee.

Martedì 1 dicembre

Nevica.

«A me piace scrivere. Ho scritto dappertutto, e nelle condizioni meno confortevoli. Non mi occorre né solitudine, né silenzio, né scrivanie speciali. L’unica cosa di cui ho bisogno è la macchina da scrivere, una qualsiasi, anche la più scassata» (Giorgio Scerbanenco). Da tenere a memoria nei momenti delle idiosincrasie.

«Cinque milioni di nuovi poveri. La pandemia inasprisce la crisi: in tutto oltre 14 milioni di italiani costretti a vivere in gravi difficoltà economiche. Spostamenti vietati a Natale: allo studio norme per non lasciare soli gli anziani. Scontro con i governatori sullo sci» (la Repubblica).

L’Inter vince fuori casa contro il Borussia Mönchengladbach 3-2 e si concede la chance del passaggio agli ottavi di Champions League, giocandosi tutto mercoledì prossimo in casa contro lo Shakhtar Donetsk (deve vincere e sperare che Real Madrid e Borussia non pareggino). È stata un’altra partita sofferta, che doveva essere chiusa dopo l’1-3 e che invece l’Inter ha rischiato di pareggiare (il terzo gol di Pléa è stato fortunatamente annullato per fuorigioco, altrimenti la frittata era fatta). Conte non riesce ancora a venire a capo della malattia endemica dell’Inter, la follia, la squadra prende ancora troppi gol e soffre di rendimenti altalenanti. Qualora passasse il girone, che speranze avrebbe di continuare il percorso in Champions?

Da qualche turno di coppa a questa parte, Sky ha avuto la bella pensata di accompagnare le interviste ai calciatori e i commenti del dopo partita in studio con una colonna sonora che non si accontenta di rimanere in sottofondo, ma vuole essere protagonista, arrivando perfino a coprire con il proprio imbarazzante volume le voci dei protagonisti. Per Borussia-Inter è stata scelta addirittura della musica techno. I dirigenti di Sky non dovrebbero dare in mano ai disc jockey le trasmissioni sportive: non c’è creatività in quest’uso decorativo e sconsiderato della musica, solo fastidio. La bontà dei loro servizi è nella qualità dei commentatori, e loro hanno i migliori. Non è sufficiente? Bisogna necessariamente disturbare le loro parole?

Mercoledì 2 dicembre

Giornata nebbiosa.

In cantina ritrovo una bottiglia di Ghemme Collis Carellae del 1997 che Alberto Arlunno di Antichi Vigneti di Cantalupo mi diede ormai molti anni fa, prendendola direttamente dalla catasta e appiccicandoci sopra un’etichetta provvisoria scritta a mano. Oggi è un nebbiolo favoloso, che profuma di menta, sottobosco, terra. Mi ricorda certi Barolo di Beppe Colla degli anni Ottanta. Al palato il tannino è al contempo coriaceo e setoso.

Riguardo per l’ennesima volta uno dei miei cult movie preferiti, The Warriors di Walter Hill (1979), da noi I guerrieri della notte, di cui so le battute quasi a memoria («Warriors, come out and plaay-aay», in italiano “Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?”, ripetuta quattro volte dall’attore David Patrick Kelly mentre fa tintinnare rumorosamente tre bottigliette di birra, https://www.youtube.com/watch?v=E4xVl-ViesE).

Una delle prime cose che ho visto a New York, una metropoli che è un set a cielo aperto e una fonte continua di ricordi e rimandi per ogni cinefilo, è stata la spiaggia di Coney Island. Vi ho perfino mangiato un indigesto hot-dog che dicevano essere il migliore della città, non riuscendo a finire una barattolo enorme di Coca-Cola (anche questo è territorio). Poi ho guardato sulle piantine della metropolitana la distanza che separava Coney Island dal Bronx: un viaggio infinito, un’odissea. È su Netflix da poco, in versione originale, e per la prima volta ho avuto l’occasione di vederlo in HD. La storia (ispirata all’Anabasi di Senofonte), i colori, i personaggi, le scenografie urbane, tutto è spettacolo, letteralmente. La violenza è stilizzata, coreografata, con un senso del ritmo da musical. Oggi risultano ancora più pretestuose le accuse, mosse al tempo al film, di istigazione alla violenza. Ma i magnifici Settanta sono stati anche anni ideologici e isterici.

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Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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