Il Rosso d’Asia e il Bricco Riva Bianca di Andrea Picchioni: una verticale “sinottica”

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Andrea Picchioni da Stradella è un vignaiolo che si è fatto da sé, cominciando da zero a vent’anni dopo la scuola di agraria e il servizio di leva. Nel 1988 recupera alcuni vigneti abbandonati, e storicamente vocati, in Val Solinga, proprio dietro la cantina di Campo Noce a Canneto Pavese, terre calde e ventilate che per secoli non hanno mai conosciuto la coltura dei seminativi, solo quella della vite. A guardarli non è difficile capire il perché: si gettano a capofitto lungo spietati rittochini giù per le linee di maggior pendenza della collina con dislivelli da paura. Chi mai ci pianterebbe dei cereali? In questi dieci ettari Andrea produce – con la complicità agronomico-enologica di Beppe Zatti – rossi di territorio che sono ormai da anni tra i protagonisti dell’enologia italiana, anche se non tutti se ne sono accorti.

Tra due Bonarda in chiave frizzante, una rifermentata in bottiglia (Da Cima a Fondo) e l’altra in autoclave (Ipazia), e due Pinot nero in purezza in differenti tipologie (il Profilo Rosé, un metodo classico rosa, e il rosso Arfena), spiccano due vini che possiamo considerare speculari e che rappresentano quanto di meglio possa oggi offrire l’Oltrepò Pavese in termini di carattere, complessità, longevità: il Rosso d’Asia e il Buttafuoco Bricco Riva Bianca.

Il primo, prodotto dal 1995, anno in cui è nata la figlia Asia, cui il vino è dedicato, proviene da una vigna di 1,3 ettari – localmente chiamata “Le Vigne” (dal nome della cascina) – piantata nel 1990, composta per il 90% da croatina e per il restante 10% da ughetta di Solinga o di Canneto, più conosciuta come vespolina. Il vigneto, esposto a sud a 180 metri di altitudine con pendenza di 25 gradi, ha terreni sabbioso-ciottolosi con piccola quota argillosa. L’età delle viti è di sei, quindici e trent’anni.

Il secondo, in produzione dal 1990, nasce dall’omonimo cru piantato nel 1988, quasi adiacente alla vigna del Rosso d’Asia, con cui condivide estensione, altitudine, terreno (c’è solo una minor presenza di argilla) ed esposizione solatia, ma con più pendenza (45 gradi!), una composizione ampelografica leggermente diversa (croatina 65%, 25% barbera, 10% ughetta, tutte vendemmiate congiuntamente) e un’età superiore delle viti (dai trenta ai quarant’anni). Ambedue i vini sono vinificati nello stesso identico modo: raccolta manuale delle uve (i vigneti hanno certificazione biologica, anche se questa non compare sulle etichette dei vini), fermentazione spontanea, macerazione di una quarantina di giorni, maturazione per due anni in botte grande da 5, 15 e 40 ettolitri.

L’uva che li sostanzia è la croatina, nobile varietà tardiva (viene vendemmiata a ottobre) che secondo molti ha avuto una sola sfortuna nella vita: essere nata in Oltrepò. «È un vitigno trasversale perché se coltivato e vinificato in un certo modo può generare degli ottimi vini fruttati d’annata e se invece viene coltivato e vinificato in un altro modo può dare dei grandi rossi da invecchiamento».
Una delle vigne di Andrea porta il nome di Buttafuoco, giusto per dire che siamo nel cuore di una denominazione. «Il nome Buttafuoco, insieme a Val Solinga e alla vicina frazione di Monte Bruciato, sottolinea il calore di questa vigna di sabbia e sassi esposta a sud. I tre vigneti che danno il loro nome ai tre vini più importanti dell’Oltrepò sono sullo sperone di Stradella, a poca distanza l’uno dall’altro: il Sangue di Giuda del signor Guidotti, nel comune di Canneto Pavese, il Barbacarlo di Lino Maga, nel comune di Broni, e, appunto il Buttafuoco, suddiviso in tre proprietari, nel comune di Stradella».
Visto la natura speculare del Rosso d’Asia e del Bricco Riva Bianca – anche nel colore, un rosso porpora intenso – ho pensato di organizzare questa doppia verticale comparata in chiave “sinottica” o parallela, assaggiando ambedue i vini in ogni singola annata, anziché procedere con la più comune degustazione diacronica.

ROSSO D’ASIA 2017
BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2017

Il 2017 è un’annata in cui Andrea crede molto, più ancora del 2016, che per me rasenta invece la perfezione. Questo millesimo d’apertura fotografa appieno l’analogia tra i due rossi accanto alle sfumature che li differenziano. Il Rosso d’Asia, che ha un punto di porpora in più nel colore, rimarca maggiormente la polpa succosa del frutto, il Riva Bianca sosta tra le selvatiche frescure del sottobosco. Il primo è più succoso, il secondo più trascinante. Ambedue condividono il graffio sapido-tannico e l’incidenza dell’acidità. Potente e incisiva, è una grande annata da invecchiamento.

ROSSO D’ASIA 2016
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2016

Il Rosso d’Asia esplora tutti i rivoli dei frutti neri di bosco, mora di rovo in primis. C’è polpa, cremosità, naturalezza, è tenero e compatto, ha contrasto e sapore. Il Riva Bianca ha un sottobosco pazzesco, un invitante frutto selvatico: fragranza e frescura di cassis, espansione balsamica. La bocca è carnosa e fluida, compatta e tesa, piena di pulsioni sapide e vibrazioni tanniche. Che allungo, che percussione. C’è più di un dettaglio che mi ricorda il Barbacarlo.
«Hanno note comuni sull’impianto, sull’assieme, sull’habitat, giusto per non chiamarlo terroir. Stiamo parlando di vitigni simili, e di una matrice geologica analoga, quella della prima collina dell’Oltrepò Pavese. Qui c’è più ciottolo, profili più emergenti di marna, ma la matrice del conglomerato è la stessa», dice Zatti mentre Picchioni, che da sempre guarda il Barbacarlo e Lino Maga come fonti di ispirazione, si è assentato per un attimo (Andrea, loquace ed estroverso in privato o nelle occasioni conviviali, diventa laconico, perfino timido, quando deve parlare di se stesso e dei suoi vini, o quando si trova in pubblico).

ROSSO D’ASIA 2015
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2015

Il Rosso d’Asia ha preziose note speziate, tratto di sottobosco, visciole, succose note amaricanti e selvatiche, un tannino di tempra, una stazza vigorosa, un rivolo alcolico in più rispetto alle due annate precedentemente assaggiate. Sembra accorciare le distanze dal Riva Bianca, che si presenta caratteriale, più chiuso sulle prime senza essere ermetico, per poi aprirsi a ventaglio, quasi cangiante, con un centro bocca pieno di succo, uno sviluppo tonico, un punteruolo acido-sapido che continua a spingere, con note amaricanti-alcoliche e un rilievo tannico di primo piano.

ROSSO D’ASIA 2013
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2013

Nel Rosso d’Asia c’è un filo di cipria olfattiva, il palato è tanto succoso quanto teso, ha un tannino spiccato e un’alcolicità sostenuta quanto integrata. Il Riva Bianca profuma di boschi, di menta, di liquirizia, di tabacco. Al palato escono le spezie, i toni balsamici, e poi il mirtillo, la mora, un che di lampone, che scioltezza, che carattere, che allure! «È un vino che continua a proporre nuove idee» (Zatti).

ROSSO D’ASIA 2012
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2012

C’è più convergenza cromatica tra i due vini rispetto alle ultime annate: il Rosso d’Asia tende a riunirsi al Riva Bianca. Il primo ha belle accensioni balsamiche, un’aria di sottobosco, un’anima vinilica che si stempera nell’amarena, un calore speziato, un tannino di tensione e sprezzature acido-sapide. Il secondo sfoggia una punteggiatura selvatica, una sintassi da sottobosco, una succosità mai disgiunta dal contrasto, dalla reattività, da un tannino semprevivo, con sapidità crescente.

ROSSO D’ASIA 2011
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2011

Il Rosso d’Asia ha frutto cospicuo e fondo terroso, una menta che si accende, un ritorno di ghianda. Anima selvatica, bel carattere, sviluppo fresco-balsamico, tonico, con un palato di continua crescita sapida e salivare. Che contrasto e che tannino! Il Riva Bianca profuma di menta, di sottobosco e di altre cose balsamiche. Ha frutto succoso, cospicuo e croccante, meravigliosamente aereo e mentolato, con sfoggio ricamato di tannino e nonchalance espressiva. Che espansione, che respiro!

ROSSO D’ASIA 2010
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2010

Aria di menta dall’Asia, offerta balsamica che profuma di eucalipto, respiro balsamico, con bocca succosa, tonica, sciolta, contrastata, sensazioni turgide di mora e più fresche di lampone. Magnifica l’acidità, incalzante il sapore. Dal fronte del Riva Bianca le correnti balsamiche si fanno selvose, profumate, pinose. Tutto è succo e tensione, un contrasto rifrescante, una corrente di sensazioni, con gocce di amarene che piovono nel finale sul capo di un tannino che si espande.

ROSSO D’ASIA 2009
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2009

L’Asia è sottobosco, macchia mediterranea, sfumature medicinali-mentolate. Il palato è fortemente balsamico, risplende di eucalipto, di erbe officinali, di rosmarino e timo. Il tannino è regale, il finale lunghissimo, pieno di echi. Il Riva Bianca è impregnato di umori di sottobosco, di sensazioni selvatiche, di profondità fruttata, tutto è compatto e verticale, succo e contrasto, l’acidità rinfresca e dona dinamismo, il profilo è vigoroso quanto elegante.

ROSSO D’ASIA 2008
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO BRICCO RIVA BIANCA 2008

Arriviamo all’essenziale. L’Asia è terroso, balsamico, con prima formazione di liquirizia, un incontrastato vigore sapido-tonico, un terziario scalpitante, un contrasto che vivifica. Il Riva Bianca ribadisce la sua natura selvatica e la sua statura succoso-balsamica, con tratti incisivi, tonici, dinamici.

ROSSO D’ASIA 1998
OLTREPÒ PAVESE BUTTAFUOCO STORICO BRICCO RIVA BIANCA 1998

C’è un salto di dieci anni e non è un flashback nostalgico. Pulsa un colore porpora vivo e integro sia nell’uno che nell’altro. Goudron di rango per l’Asia, terriccio e fresco fogliame di sottobosco, succo e sale, l’evoluzione porta con sé fierezza e brio, il contrasto ancora una volta è determinante, l’acidità va di pari passo con il sapore. Naso di sottobosco selvatico (avrebbe potuto essere altrimenti?) per il Riva Bianca, qui con lo stemma dello Storico sul vetro della bottiglia [1], un’evoluzione di grinta e vivezza, di acidità e tannino, di freschezza congenita, di allure e allungo, di pregnanza e carattere. Al tempo il vino era maturato in barrique, che non si sente, è come un soffio.

[1] «Il 5 marzo del 1996 viene registrato lo statuto, che vincola i soci a produrre il Buttafuoco secondo un rigido regolamento interno. Il marchio adottato è composto da un ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepò Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco e dal quale si dipartono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, che delimitano la zona storica di produzione; all’interno la sagoma di un veliero sospinto da vele infuocate a ricordare che nella seconda metà del 1800, la Marina Imperiale austro-ungarica varò una nave dal nome “Buttafuoco”.
La leggenda vuole che il nome sia il ricordo di una battaglia perduta da una compagnia di marinai imperiali, comandati a operazioni di traghettamento sul fiume Po nei pressi di Stradella e successivamente impiegati su queste nostre colline nella guerra contro i franco-piemontesi. Un vino del luogo chiamato Buttafuoco ebbe più successo del fuoco della battaglia nell’attirare a sé i baldi marinai, i quali, dentro una grande cantina, fecero strage di botti e bottiglie» (www.buttafuocostorico.com).

Fotografie di Britta Nord.

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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