Il vino non filtrato: avvertenze e modo d’uso

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Riassunto, ovvero il succo della faccenda

Filtrare il vino è un bene e un male. I vini non filtrati si devono conservare a 12 gradi centigradi, massimo 14.   

Svolgimento

Premessa della premessa. Di tutte le premesse che ho fatto in passato, la più ricorrente riguarda la stringente necessità deontologica di non avventurarsi in terreni che non competono al critico: come si dovrebbe coltivare la vigna, come si dovrebbe fare il vino, come si dovrebbe affinarlo, eccetera. Il critico dovrebbe limitarsi – ed è già un compito significativamente complesso – a valutare il prodotto finito.
Questo nella mia opinione.
Fatta questa premessa, premetto oggi che sto per contraddirmi parlando di un aspetto che riguarda la lavorazione dei vini: la filtrazione.

Filtrare un vino vuol dire in soldoni togliergli delle componenti per stabilizzarlo, per renderlo più limpido, per impedire alterazioni di aromi e di gusto. La filtrazione è stata per decenni una pratica pacificamente accolta dalla platea dei bevitori; o meglio, proprio ignorata.

Da quando alla tesi del vino standardizzato in protocolli/camicia di forza si è contrapposta l’antitesi del vino naturale, anche la filtrazione è entrata nel cono d’ombra della contestazione radicale: filtrare vuol dire impoverire, snaturare, sterilizzare. Sterilizzare in senso metaforico e letterale: da una filtrazione più larga e sgrossante si può infatti arrivare – e un tempo si arrivava nella stragrande maggioranza dei casi – a una filtrazione sterile, che elimina ogni residuo microbiologico.

Ora, va bene entrare nel campo altrui, ma non voglio esagerare ficcandomi nella fitta boscaglia della scienza enologica, delle eccezioni e contro-eccezioni. È ovvio che i tecnici più sensibili sanno modulare il loro intervento tagliandolo su misura: filtrare un vino dolce è diverso da filtrare un rosato, eccetera. Nella mia esperienza esistono comunque eccellenti vini filtrati (magari non proprio sterilmente) ed eccellenti vini non filtrati.

Quello che mi interessa è capire se noi bevitori possiamo ricavarne qualche lezione pratica. E la risposta è: sì.

Ci aiuta una ventennale ricerca condotta dal francese Vincent Gerbaux dell’Institut Tecnique de la Vigne et du Vin (Unité de Beaune). Due masse di Beaune Premier Cru dell’augusta annata 1999 sono state ripartite in 12 lotti, secondo questo schema:

– 2 temperature di conservazione, 12 e 18 gradi
– quattro livelli di filtrazione: vino non filtrato, vino filtrato a 5 micron, a 1,2 micron, a 0,45 micron
– 2 dosi di solforosa, bassa e normale (non meglio specificato)

Dopo anni e anni e anni e anni e anni e anni e anni e anni di analisi dei dati, è stata organizzata una degustazione informale congiuntamente dall’I.T.V. France e dalla rivista Bourgogne Aujourd’hui. I risultati sono univoci: i vini giudicati migliori sono quelli conservati a 12 °C. E all’interno di questo gruppo, le note migliori vengono attribuite ai vini poco o non filtrati. Agli ultimi posti si trovano gli stessi lotti, ma conservati a 18 °C. Infine, il vino giudicato meno bene è quello non filtrato, imbottigliato con poca SO2 e conservato a 18°C. I commenti delle degustazioni mettono in evidenza un’alterazione microbiologica legata allo sviluppo di lieviti del genere Brettanomyces. Le analisi confermano questa alterazione.”

Ne consegue che: “se la temperatura della cantina di stoccaggio non è stabile, o se non si possono controllare le condizioni di trasporto all’acquirente, occorre evitare i vini non filtrati oppure occorre consumarli rapidamente. Ma se tutte le condizioni di conservazione nella cantina, durante il trasporto e presso il cliente sono simili, si può optare per il vino non filtrato. Ciò vale soprattutto nel caso in cui il vino è destinato ad essere conservato a lungo in bottiglia.”

Bene così dunque. Con la solita avvertenza: il vino è materia viva eccetera. Quindi tende a contraddire le previsioni più solidamente scientifiche e basate sull’esperienza comune. Quindi si diverte a fregarti. Quindi a tutto questo è giusto credere in una giusta misura. “Importa poco ciò a cui si crede, a condizione che NON vi si creda del tutto”.

Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

2 COMMENTS

  1. Interessante ma niente di nuovo, come é ovvio.
    In una mia precedente vita, quando facevo vino, per principio non filtravo e non aggiungevo solforosa. Ciò mi dette diversi problemi. Ad es. un quotato ristoratore si lamentò che il vino conservato sotto una tettoia all’aperto degradasse dopo un paio d’anni e che, peggio ancora le bottiglie sviluppassero deposito. Mi spiegò “ noi dobbiamo fare la scena di decantare il vino se il cliente lo chiede ma non ci devono essere depositi nella bottiglia perchè diventa una complicazione!”
    Un altro esempio fu un importatore Svizzero che ansioso di presentare questo nuovo vino, genuino, ecc. organizzò una degustazione una settimana dopo l’arrivo nel suo magazzino con pessimi risultati. Mi confessò che pensò di avere avuto una fregatura. Solo 6 mesi dopo, ri-assaggiandolo ritrovò il vino che gli era piaciuto.
    La realtá, almeno nella mia esperienza, é che molti predicano all’altare della genuinità, naturalezza, ecc. ma poi vogliono comunque il prodotto standardizzato, con una lunga shelf life, assolutamente esente da difetti, ecc.
    Come disse il mio contadino di allora, il cliente vuole essere preso in giro.
    Non ho quindi esperienza di filtrazione non avendola mai fatta ma quanti sanno che fino a non tantissimo tempo fa’ i filtri erano in amianto?
    Io non lo sapevo, lo scoprii quando cantiniere/enologo di una azienda più grande e meglio strutturata, chiacchierando mi confessò che erano stati vietati ma lui, avendo una grossa scorta continuava ad usarli. “Nessuno si é lamentato finora, vuoi che comincino proprio ora?!”
    E magari aveva ragione purché forse effettivamente l’amianto nei filtri non é nocivo e forse tutte le ns. preoccupazioni sulla genuinità, ecc sono esagerate.

  2. Pietro, Fabio, sul filtraggio, come su tanti altri aspetti, penso che pesino le indeterminatezze legate ai concetti stessi di naturalezza e gusto. Personalmente non vedo niente di innaturale nel filtrare un prodotto alimentare. Si dirà che si perdono componenti, cosa vera ovviamente, ma che questo sia meglio o peggio è legato al gusto che è parametro squisitamente soggettivo. A me piacciono più le mele con la buccia, ma non direi che chi le sbuccia mangia un prodotto meno naturale. E neppure è vero che un prodotto raffinato sia meno salutare di uno grezzo visto che l’uomo ha raggiunto i propri livelli di sviluppo fisico andando a selezionare e trasformare quanto di più commestibile offre la natura.

    Sul fatto che poi un vino non stabilizzato regga meglio se tenuto al fresco la cosa non mi meraviglia (i batteri amano il caldo), ma neppure tirerei conclusioni come Fabio fa (ben evidenziando che serve sempre la giusta misura!) basandosi su un solo articolo che tra l’altro cita i risultati di “una degustazione informale”. Già la degustazione ci riporta alla soggettività, e poi la scienza non basa mai le proprie concusioni su una sola prova, bensì sul lento accumulo di conoscenza dovuto a esperienze indipendenti e ripetute.

    Concordando assolutamente sul fatto che il vino sia materia viva, e complessa, direi che se da una parte si possono senza dubbio fare ricerche scientifiche basandosi su fattori più quantitativi del gusto, dall’altra vedo sano il provare e riprovare, seguendo quello che più piace, ma tenendo fermi due caposaldi: di non adulterare il prodotto (che quello sì che può avvelenare!) e di ricordarsi che il vino è una cosa, l’aceto un’altra!

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