Arcipelago Bussìa

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A Pasquetta ci ho dato di Bussìa. Per realizzare una volta di più come gli esiti possano essere diversi, pur appellandosi – “essi loro” vini – alla stessa menzione geografica e alla stessa annata.
L’arcipelago Bussìa è esteso, quello è, e già da questi due esemplari lo vedi e lo senti.

Il Bussìa ’16 di Amalia ha dalla sua le altitudini significative (per la Langa intera) del vigneto Fantini e il conseguente potenziale di freschezza, a far da contraltare al generoso temperamento alcolico.
E poi le sabbie di queli suoli tortoniani, a connotare un Barolo che cerca di muoversi sulle punte, poco estrattivo, trasparente (a cominciare dal colore), che a fronte di una aromaticità dispiegata e attraente, appena screziata da un rivolo di dolcezza in sopravanzo ma impreziosita dal commento floreale e minerale, lascia evaporare il disegno gustativo in una nuvola eterea e rarefatta, rendendo il finale più brevilineo e rugoso che non ampio o continuo. Epperò fa di tutto per conquistarti per fraseggio, dettaglio, modulazione nei toni, e per un approccio stilistico comunque condivisibile.

Il Bussìa ’16 di Claudio Fenocchio è semplicemente figlio dell’Elveziano e della Bussìa Sottana. Qui cambiano le giaciture e cambiano i suoli. Così come cambiano il peso strutturale e la densità, e pure l’architettura tannica, per concretizzare un vino con l’eco incorporata, baritonale e nobilmente austero, di profondità rilevante e con il futuro davanti. Di più, l’etichetta della gamma Fenocchio che anno via anno si sta confermando di una regolarità qualitativa impressionante, tanto da assurgere a riferimento.

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FERNANDO PARDINI

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