La Valtellina di AR.PE.PE, una tradizione famigliare che continua

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Il mio incontro con Isabella Pellizzatti Perego è avvenuto circa un mese e mezzo fa in quella che oserei definire una splendida giornata. La definisco tale non solo perché le condizioni meteo sono state particolarmente favorevoli, caratterizzate da un sole estivo mai sopra le righe e una ventilazione costante – tipica della Valtellina – ma soprattutto perché finalmente, dopo tanti anni che degusto regolarmente i vini di questa storica cantina di Sondrio, siamo riusciti ad organizzare una bella sgambata tra vigne spettacolari, vero patrimonio aziendale.

Capita talvolta di conoscere talmente bene una determinata realtà vitivinicola, che inspiegabilmente non le si dà la priorità che merita in termini di visita in loco; mi è già capitato con altre illustri cantine piemontesi, tuttavia non è mai troppo tardi per rimediare agli “errori”. Isabella è titolare, assieme alla mamma Giovanna e ai fratelli Emanuele e Guido, di questa bella cantina valtellinese che ha origini lontane e tradizioni secolari. Nata nel 1860, ai tempi dell’Unità d’Italia, semplicemente come «Pelizzatti», rinata nel 1984 e indubbiamente sviluppatasi ai massimi livelli nel 2004, AR.PE.PE vanta una tradizione valtellinese a carattere prettamente familiare e una storia che continua giorno dopo giorno spinta dalla passione tramandata dal suo pioniere, Arturo Pelizzatti Perego (da cui deriva il nome AR.PE.PE),  scomparso prematuramente all’età di 62 anni.

E’ una storia fatta di conquiste e riconquiste: nel 1973, dopo varie peripezie, il marchio – e l’attività vera e propria – furono ceduti a un altro gruppo. Arturo dedicò tutto sé stesso allo studio della sua terra e a quello dei vini prodotti con l’utilizzo di chiavennasca (è così chiamato il nebbiolo in Valtellina), spinto dalla voglia di creare prodotti unici e fortemente legati a un territorio arduo da coltivare ma indubbiamente generoso in termini di qualità della materia prima. La sua caparbietà lo porta già nel 1984 a fondare AR.PE.PE, a rientrare in possesso della sua parte di vigneti e degli spazi utilizzati per l’affinamento, al “Buon Consiglio”, ovvero l’area di confine tra il comune di Sondrio e il comune di Montagna, in Valtellina, ai piedi del Grumello.

Arturo riesce così a spianare la strada per la quinta generazione di famiglia con un solo obiettivo: esaltare al massimo le potenzialità del Nebbiolo delle Alpi in un terroir unico quale è la Valtellina. Di seguito le parole di Isabella: “Nel 2004, sulla strada intrapresa da papà, abbiamo unito le nostre energie continuando con impegno il cammino verso la realizzazione del suo progetto, da molti ritenuto visionario. Oggi come allora, la qualità dei nostri vini continua a essere il prezioso risultato di anni di lenta evoluzione: la loro giusta maturazione può richiedere tempi anche molto più lunghi di quelli previsti dai disciplinari. Attendiamo quel momento e solo allora procediamo con l’imbottigliamento, ancora rigorosamente scandito dalle fasi lunari. Poi, ancora riposo, questa volta in bottiglia. Non potrebbe essere altrimenti, poiché per noi l’affinamento tradizionale del Nebbiolo risponde ad aspettative precise: il progressivo guadagno in raffinatezza e l’esaltazione delle singole vigne con le sfumature e i colori delle diverse annate”.

L’azienda è ubicata nella cosiddetta area centrale, denominata Terziere di mezzo; i terreni di queste colline sono particolarmente ardui da coltivare, i vigneti, spesso allevati a rittochino – ovvero piantando le viti da nord a sud sulla linea di massima pendenza – crescono su sentieri impervi e terrazzati, sorretti dalla cosiddetta arte dei muretti a secco (Patrimonio Unesco), il più delle volte a strapiombo. Tutto ciò consente di poter lavorare una terra letteralmente strappata alla montagna, e di transitare con i pochi macchinari necessari a compiere un lavoro totalmente manuale che costa fatica, sacrifico. Basti pensare al fattore determinante “ore di lavoro per ettaro”: se in Piemonte ne bastano in media 330, fra queste colline pseudo montane ne occorrono 1200.

Non dimentichiamo che la Valtellina è una valle di origine glaciale solcata dal fiume Adda, si sviluppa da Est a Ovest per 120 chilometri, dal passo dello Stelvio fino al lago di Como. Racchiusa fra le Alpi Retiche e le Orobie, corre parallela all’arco alpino e gode di un microclima favorevole e per certi versi unico. I vigneti terrazzati sono incastonati come un diamante nel versante retico, totalmente esposto a sud e mitigato dai venti freschi del nord. Altitudini che oscillano dai 260 metri sul livello del mare a 900, e circa 1.200 ettari di vigneto dove il nebbiolo la fa da padrone. Volendo ulteriormente specificare quanto già asserito sopra, l’uva chiavennasca è da sempre oggetto di studio, vista l’antichità delle sue origini: le stesse risalgono all’epoca carolingia (750- 987 d.C.); oggigiorno sono stati individuati tre biotipi principali: chiavennascone, briotti e l’intagliata.

Isabella, orgogliosa di poter mostrare una vera eccellenza del territorio, ci accompagna all’interno della cantina ipogea costruita nel 1973. Questo imponente edificio è stato realizzato, già a quei tempi, con tecniche all’avanguardia. Perfettamente integrata nel versante terrazzato del Grumello, ha una struttura architettonica che consente il naturale controllo di umidità e temperatura, due tra le caratteristiche più importanti per una cantina che si rispetti. Per AR.PE.PE l’aspetto ambientale è importantissimo, la salvaguardia del territorio una priorità costante, così come la gestione del vigneto e le continue migliorie atte ad innalzare la qualità delle uve, e allo stesso tempo rendere più agile l’operato dei viticoltori.

Diversi gli esempi concreti: la potatura soffice di Simonit&Sirch, le attrezzature leggere a batteria Pellenc e l’utilizzo di piccole cassette per la raccolta, azioni concrete messe in campo per migliorare a 360°. La teleferica installata in uno tra i vigneti più vocati della szienda, denominato Rocce Rosse, consente il trasporto delle uve a fondovalle, così come accadeva già 100 anni fa. Un continuo richiamo alla tradizione, anche se Isabella mi conferma che oggigiorno, con le normative per la sicurezza, non è stato facile realizzare il tutto

Il progetto legato ai nuovi spazi d’accoglienza e degustazione è stato affidato all’architetto Enrico Massimino, per i 150 anni di attività, un’opera importante che segue le più moderne teorie sull’impatto ambientale, tanto in cantina quanto in vigna. Gran parte è stata realizzata a giardino pensile, mentre la pavimentazione esterna fotocatalitica abbatte le sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera. L’azienda inoltre utilizza la geotermia, una fonte rinnovabile e alternativa che permette di ridurre le emissioni di CO2. In che modo? Molto semplice, con la trasformazione naturale del calore dell’acqua di falda, insomma nulla va sprecato quando si tratta di difendere la natura.

Durante un’amabile sgambata tra i terrazzamenti bassi della sottozona Sassella, perpendicolari a quello che considero il vero e proprio grand cru di AR.PE.PE, ovvero Rocce Rosse, Isabella mi racconta il vero patrimonio dell’azienda, ovvero la propria filosofia in vigna e in cantina: “Possediamo 13 ettari vitati completamente inerbiti, nel cuore del Valtellina Superiore DOCG, distribuiti fra Sassella, Grumello e Inferno. Le lavorazioni vengono effettuate completamente a mano; la morfologia dei nostri vigneti non consente in alcun modo di ricorrere all’utilizzo di trattori. I trattamenti fitosanitari si rendono necessari in maniera più o meno frequente, a seconda delle piogge; anche questa indispensabile operazione è svolta manualmente. La vigna è meteoropatica – è risaputo – e i vignaioli sanno quanto può essere impegnativo prendersene cura. E’ facile così arrivare ad impiegare 1500 ore per coltivare un solo ettaro di vigna. Si combattono oidio e peronospora senza farne una guerra allo sterminio, ma a volte convivendoci, tramite una lotta integrata attenta all’impatto ambientale che questo tipo di salvaguardia comporta. Nonostante tutto ciò esistono annate in cui il raccolto, se non è del tutto perso, produce vini che non verranno commercializzati, come ad esempio la pessima vendemmia 2008.”

L’azienda vuole offrire al consumatore un prodotto che possegga diverse qualità. La prima è indubbiamente l’aderenza al territorio, caratterizzato principalmente da una matrice sabbiosa, originatasi durante il periodo del ritiro dei ghiacciai, rilievi che si sono a mano a mano formati per via dello sfaldamento delle rocce granitiche; un terreno dunque permeabile, particolarmente indicato alla coltivazione della vite. Un altro elemento importante è mettere in commercio vini caratterizzati che posseggano il giusto equilibrio, senza che tutto ciò significhi precludere ulteriori possibilità d’invecchiamento. AR.PE.PE, soprattutto riguardo certe etichette della gamma, non ha certo fretta di uscire sul mercato, dunque è facilissimo oggigiorno trovare un Sassella Rocce Rosse 2013 come nuova annata in commercio. A tal proposito mi sembra giunto il momento di descrivere le sei etichette degustate: dopo tanta teoria è obbligatoria la pratica.

Rosso di Valtellina Nebbiolo 2019

100% nebbiolo (chiavennasca), esposizione sud/est a un’altitudine di 350/400 metri, resa pari a 55 hl/ha, macerazione 110 giorni in tini di legno da 50 hl., affinamento di 6 mesi in tini e botti da 50 hl, cemento e bottiglia.

Rubino con riflessi rosso-fucsia, eleganza allo stato puro. E’ un saggio della Valtellina e del suo potenziale, soprattutto in termini di eleganza a 360°, a cominciare proprio dal colore. Toni floreali estremamente freschi, violetta e geranio selvatico, erbe officinali e aromatiche, sfumature sottile che si fondono magistralmente con l’insieme di piccoli frutti rossi, quali lampone, ribes e melograno su refoli speziati di pepe nero a chiudere. Il sorso è energia allo stato puro: acidità vibrante, medio corpo su una sapidità che conquista, così come la freschezza del sorso. Perfetto su sciatt (croccanti frittelle di farina di grano saraceno e cuore di formaggio Casera), ricetta tipica della Valtellina.

Valtellina Superiore Nebbiolo Il Pettirosso 2017

Molto più che un vino, uno stupendo ricordo di famiglia. Le etichette un tempo venivano disegnate da Arturo, Isabella – dopo la sua scomparsa – volle a tutti i costi continuare la tradizione. In serate particolari Il Pettirosso, da qui la scelta del nome in etichetta, lo si ritrova a cena sui terrazzi sopra Sondrio che cinguetta allegro.

100% nebbiolo, (chiavennasca), da vigne in Sassella e Grumello, esposizione sud ad un’altitudine di 400/550 metri, resa pari a 45 hl/ha, macerazione 116 giorni in tini di legno da 50 hl., affinamento di 12 mesi in tini e botti da 50 hl, acciaio e bottiglia.

Rubino granato di media trasparenza, tonalità calda, buon estratto. Naso intenso di frutti maturi, tuttavia non privi di eleganza, slancio: perfetta sintonia tra il floreale e le spezia con rimandi terrosi ad aumentare la complessità. Pepe nero, terriccio bagnato, garofano selvatico, mirtilli e susina rossa; in chiusura tabacco e liquirizia. Scorrevole, morbidezza accentuata dalle uve provenienti dalla sottozona Grumello, il finale è nettamente sapido e dai toni speziati. Un sorso sinuoso, goloso, perfetto in abbinamento a un buon risotto mantecato all’onda con formaggio Casera mediamente stagionato.

Valtellina Superiore Nebbiolo Grumello Rocca De Piro 2017

Un omaggio al Castel Grumello ed alla famiglia De Piro, proprietaria attorno al XIV secolo. Assemblaggio di uve provenienti dai due vigneti di proprietà situati nella suddetta zona. 100% nebbiolo, (chiavennasca), esposizione sud ad un’altitudine di 350/500 metri, resa pari a 45 hl/ha, macerazione 118 giorni in tini di legno da 50 hl., affinamento di 12 mesi in tini e botti da 50 hl, cemento e bottiglia.

Rubino intenso di buona trasparenza, riflessi granato inclinando il calice. Naso dolce, sinuoso, qua e là rinfrescato da refoli balsamici che lottano ad imporre il loro carattere, il frutto è maturo, non privo di vitalità: ciliegia, susina, arancia rossa, mirtillo su eucalipto, pino mugo e noce moscata; in chiusura terriccio umido, sottobosco. Sorso energico, materico, rotondità smussata da un tannino protagonista e dolce, freschezza notevole e lunga scia sapida in chiusura; un vino goloso, che si fa irresistibile se abbinato a una zuppa valtellinese.

Valtellina Superiore Nebbiolo Sassella Stella Retica 2017

Un’etichetta che funge metaforicamente da stella cometa in grado di identificarsi attraverso la stella alpina: cercarla, inseguirla, non perdere tutto ciò che sa di traguardo, ma anche di pronta ripartenza; in poche righe è a mio avviso questa la storia di AR.PE.PE. La Sassella è a mio avviso più di tutte la sottozona che incarna l’essenza stessa della Valtellina, tra le massime espressioni italiane dove sua maestà nebbiolo incanta.

100% chiavennasca, esposizione sud/est ad un’altitudine di 400\600 metri, resa pari a 45 hl/ha, macerazione 120 giorni in tini di legno da 50 hl., affinamento di 12 mesi in tini e botti da 50 hl, cemento e bottiglia.

Rubino-granato a vantaggio di quest’ultimo con l’invecchiamento, riflessi chiari, eleganti, mostra consistenza. L’impronta marcatamente minerale del suolo non passa inosservata: pietra frantumata, toni fumé, incenso, erbe aromatiche tra cui timo limone e un agrume stimolante di arancia sanguinella; con lenta ossigenazione pepe nero, foglia di tabacco e ribes rosso spremuto. Naso grandioso che evolve magistralmente, è un vino cangiante minuto dopo minuto. In bocca strabilia: freschezza ai massimi livelli coadiuvata da un corpo adeguato, privo di alcol e muscoli totalmente inutili; danza con la leggiadria di una ballerina della Scala e impegna – grazie ad una profondità gustativa di tutto rispetto – come la trama di un film di Fellini, che tuttavia ha sempre il pregio di lasciarti un sorriso stampato fra le labbra. Abbinato a un buon piatto di pizzoccheri valtellinesi è un omaggio doveroso ad una terra straordinaria.

Valtellina Superiore Riserva Inferno Sesto Canto 2013

Entriamo nell’ambito delle riserve, iniziando da una sottozona molto particolare della Valtellina denominata Inferno. Una vigna che ha più di cinquant’anni, quella di AR.PE.PE, situata a 450 metri di quota sul terzo tornante della strada denominata proprio “Circuito dell’Inferno”. E’ nata così l’idea del nome in etichetta: nell’Inferno di Dante il terzo cerchio si trova nel Sesto Canto e identifica proprio i Golosi.

100% nebbiolo, (chiavennasca), esposizione sud, macerazione di 70 giorni in tini di legno da 50 hl., affinamento di ben 39 mesi in tini e botti da 50 hl, acciaio e bottiglia.

Rubino-granato piuttosto profondo, riflessi caldi, buon estratto. Un tripudio di frutti maturi, ben lontani dall’essere esausti s’intende, ciò che colpisce è l’estrema varietà degli stessi: arancia rossa sanguinella, lampone, susina matura, financo pesca dopo opportuna ossigenazione. Un floreale nitido, sa di violetta a tutto ciò che richiama le alte vette di montagna; immancabili le spezie, sinuose, dolci e al contempo stimolanti, così come il sorso, caratterizzato da un timbro notevole e una persistenza pressoché infinita. Freschezza e tannino presenti all’appello, non manca la chiusura ammandorlata e una salivazione continua; grande vino. Su una guancia di manzo brasata è la morte sua e la gioia nostra.

Valtellina Superiore Riserva Grumello Sant’Antonio 2013

Seconda e ultima Riserva propostaci da Isabella, l’etichetta è dedicata alla chiesa di Sant’Antonio a Montagna in Valtellina, spostata più a est rispetto alla Rocca De Piro. Dall’alto dei suoi 450 metri ha protetto per secoli i vigneti che scendono lungo il “Risc di Sassina”, tra le zone migliori del Grumello.

100% nebbiolo, (chiavennasca), esposizione sud, macerazione 68 giorni in tini di legno da 50 hl., affinamento di 39 mesi in tini e botti da 50 hl, acciaio e bottiglia.

Rubino intenso caldo, riflessi granato luminosi, un colore affascinante. Al naso sprigiona subito tutta la sua essenza fruttata, un connubio interessante tra il frutto dolce, scuro – mora, mirtillo nero, amarena – e un agrume che si rivela pian piano ingentilendo il quadro olfattivo, soprattutto dopo opportuna ossigenazione. Continua su spezie orientali e tracce di rosmarino, timo, refoli balsamici che rinfrescano e si identificano magnificamente con il territorio circostante. In bocca la morbidezza prevale, intervallata qua e là da guizzi sapidi e da una freschezza commisurata alla rotondità del frutto, in un crescendo di sensazioni dall’equilibrio gustativo ragguardevole. Abbinato ad un buon piatto di polenta taragna con spezzatino di cervo, fa subito venir voglia di vivere l’inverno e le bellezze della Valtellina.

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Crediti fotografici di Danila Atzeni

 

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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